Nel seminario organizzato dalla Cgil “Welfare e contrattazione: esperienze europee a confronto” le categorie della confederazione di Corso d’Italia, assieme ad alcuni sindacati europei ed esponenti del mondo accademico, hanno cercato di fare luce sulle dinamiche, in Italia e in Europa, del welfare contrattuale, alla luce dei cambiamenti nelle relazioni industriali e della necessità di far fronte ai nuovi bisogni e diritti sociali.
Il welfare contrattuale è una realtà in continua espansione. In Italia un input decisivo è stato il regime fiscale agevolato per tutte le imprese che hanno adottato pacchetti di welfare da offrire ai propri dipendenti. Negli anni della crisi il welfare ha rappresentato anche uno strumento difensivo in mano al sindacato che, di fronte all’impossibilità di un aumento dei salari, ha comunque potuto garantire diritti ai lavoratori e ai loro familiari. Una tendenza alla crescita, dunque, non solo riscontrabile sul nostro mercato del lavoro, ma anche negli altri paesi europei.
Non mancano comunque le zone d’ombra. Accanto al progressivo ritiro del welfare pubblico, quello contrattuale rischia di creare o accentuare diseguaglianze sociali già molto forti. Non solo la disparità tra insider e outsider del mercato del lavoro, ma anche tra gli stessi lavoratori, innescando così fenomeni di una protezione sociale molto elevata per chi ha già molte tutele grazie alla contrattazione collettiva, e lasciando indietro i lavoratori più deboli, soprattutto giovani e donne, e gli atipici.
David Natali, docente alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha tracciato un quadro su quelli che possono essere i modelli di welfare contrattuale in Europa, individuandone quattro.
Il migliore dei mondi possibili rimangono ancora i paesi scandinavi, dove viene garantita una copertura elevatissima (circa il 90% dei lavoratori) accanto a una spesa leggera, che incide per il 15-20% sulle risorse destinate alla protezione sociale. Un welfare privato che si muove come gamba supplementare di quello pubblico.
L’Olanda costituisce un ulteriore modello, dove c’è un’alta copertura (90%), ma, rispetto ai paesi scandinavi, la parte della spesa sociale a esso destinata è più consistente, circa il 30%. Qui il privato gioca un ruolo sostitutivo del pubblico.
Il Regno Unito rappresenta forse lo scenario peggiore. Infatti, la copertura offerta è media (50% dei lavoratori), con un’incidenza sulla spesa sociale medio-alta, pari al 20%. Questo vuol dire che il welfare contrattuale è rivolto a quei lavoratori già molto tutelati, accrescendo il divario con i working poor.
Da ultimo ci sono i paesi come l’Italia dove il welfare occupazionale è ancora molto limitato, nonostante la crescita, con una copertura bassa, pari al 5%, e una spesa ugualmente limitata. Il rapporto tra la sfera pubblica e privata non è ben definito, e oscilla tra la complementarietà e la sostituzione.
Il welfare occupazionale è dunque una materia ma maneggiare con cura. Le opportunità che offre sono molte, grazie alla sua capacità di allargare i diritti dei lavoratori e costituire una leva sull’innovazione sociale, offrendo nuove soluzioni ai bisogni delle persone. Non mancano, tuttavia, le zone d’ombra.
Il settore economico, le dimensioni dell’impresa e la tipologia contrattuale sono tra i principali fattori di diseguaglianza tra i lavoratori e che possono precludere un accesso alle tutele offerte dal welfare contrattuale. Accanto a queste si aggiungono le variabili legate al genere e alla nazionalità.
In questo quadro, quale ruolo può giocare il sindacato?
Le categorie intervenute nel corso del dibattito hanno sottolineato come, sempre più, nei rispettivi settori si assiste a una frammentazione e a una discontinuità nelle carriere dei lavoratori. Un punto sul quale il welfare contrattuale può dare ulteriori garanzie.
Sicuramente la sfida più grande è rappresentata da come e quanto sarà possibile ampliare il raggio d’azione, includendo i lavoratori più deboli e, soprattutto, chi è fuori dal mercato del lavoro. L’idea che lo stato possa ridurre la sua spesa sociale, delegando al privato, potrebbe contribuire ad allargare le disparità sociali e territoriali già presenti.
Ecco perché la discussione sul welfare potrebbe costituire lo spazio per un nuovo protagonismo del sindacato, non più schiacciato dalla contrapposizione tra stato e mercato, ma capace di presentare una propria agenda nella quale il welfare occupazione diventi strumento di innovazione inclusiva e non di divisione.
Tommaso Nutarelli