Gli gnostici sostengono che per conoscere i demoni bisogna mangiare con loro, nello stesso piatto. Una metafora che la sinistra efficientista, dopo aver abbandonato Marx e perso ogni bussola ideologica, non è nemmeno in grado di capire. Un vago e confuso riformismo, intrecciato con il distacco elitario dalle classi subalterne, non consente di uscire da una condizione minoritaria, lasciando praterie ai demagoghi che profetizzano un nuovo mondo affrancato dal liberalismo affamatore. I paladini del capitalismo dal volto umano, la chiamavano la terza via, sono condannati alla sconfitta così come saranno sempre più irrilevanti e autoreferenziali gli intellettuali chiusi nei loro vanitosi fortilizi. Angelo Guglielmi di recente ha confessato di non aver mai letto “I tre moschettieri”: una macroscopica carenza trasformata in un vanto.
Non si ha vera consapevolezza di quanto sia profonda la faglia che sta terremotando la società. Non basta alzare intense, se pur doverose, grida contro il ritorno del fascismo se non si comprendono i turbamenti delle nuove classi sociali appiattite, impoverite e incattivite dalla crisi economica che non sembra aver fine. E così ha buon gioco chi indica le forze progressiste come zerbini del grande capitale, ancelle della finanza internazionale, asservite a Soros, Rothschild, Rockefeller. E anche l’attuale Papa è nell’elenco dei cattivi: si schiera a fianco degli immigranti solo per fare proselitismo, epigono di quel San Paolo cosmopolita e disobbediente che tanti danni ha fatto contro il potere costituito. Il Pontefice, con la sua ingerenza nel campo delle decisioni in tema migratorio, lede la laicità dello Stato e ricorda addirittura la “politica ierocratica di Bonifacio VIII”. Povero Francesco! Difende gli “scarti dell’umanità” e invece che al poverello di Assisi dal quale ha preso il nome, si ritrova accostato a Benedetto Caetani, accusato da Dante di aver trasformato il Vaticano in una “cloaca del sangue e della puzza”.
Sono i sorprendenti concetti contenuti nella rivista mensile “Il Primato nazionale”, “periodico sovranista”, come si definisce, vicino a Casapound. Sembrerebbero amene corbellerie se non fossero i frutti pericolosi di una cultura regressiva che si allarga a macchia d’olio. Che ha come culto la triade “Dio, Patria e famiglia”, come riferimento principale Vladimir Putin e che in Italia ha assunto le fattezze di Matteo Salvini. Al quale è dedicato un illuminante articolo. Al ministro dell’Interno viene attribuita un’unica dottrina “di lotta e vittoria”: il “normalismo”, sublimazione del populismo. Gli italiani sono l’insieme delle persone perbene che formano l’Italia, declinata appunto come Paese normale. E allora “prima gli italiani” diventa puro “buonsenso”, la normalità opposta alle “degenerazioni del pensiero unico”. “Lui bacia il crocefisso che gli ha regalato la signora Maria” e non insegue il voto cattolico, “sono gli attacchi che puntuali arrivano dalle gerarchie ecclesiastiche a farne il rappresentante della fede popolare in una dinamica basso contro l’alto spostata nel campo religioso”.
La strategia comunicativa, diretta e immediata, viene definita invincibile perché tutta basata sulla coerenza. “E’ l’italiano medio sul bagnasciuga con la panzetta o con in mano un pallone, o intento a giocare a flipper. Per questo non ha problemi a darti il buongiorno mentre riprende il mare, ad elargirti un sorriso mentre annusa un fiore o ad augurarti la buonanotte con una canzone”. Così è diventato l’uomo politico più importante, ha marginalizzato Berlusconi e sottratto a Di Maio la metà dei consensi. “Sempre forte di quella normalità devastante che inganna i suoi avversari, cioè chi pensa di saperla più lunga di lui e poi resta sempre fregato. Un muro di gomma refrattario ad ogni attacco”. Con un’ammissione: proprio i movimenti fascisti nel sostenerlo “ hanno contribuito a sdoganarlo agli occhi di chi, a destra, nutriva dubbi a causa del retaggio federalista e secessionista”.
Questo è quanto. Ma non era stato Massimo D’Alema a teorizzare un Paese Normale? Fu anche il titolo di un suo libro. E’ proprio il caso di dirlo: eterogenesi dei fini. O, se preferite, fallimento del perbenismo postcomunista.
Marco Cianca