I politici danzano attorno al totem della legge elettorale. Un sabba sfrenato, per la conquista o il mantenimento del potere. Invertono le posizioni, gridano insulti, profferiscono minacce, alzano polveroni. Nell’illusione di celare i propri interessi, invocano una presunta volontà popolare che è in realtà intrisa di riottosa confusione. Partigiani del maggioritario che diventano fautori di quel proporzionalismo disprezzato fino al giorno prima. Ed esasperati proporzionalisti che si trasformano in inflessibili maggioritari. Un sistema considerato obbrobrioso e fonte di tutti i mali diventa all’improvviso la soluzione perfetta. Si cambia idea ad ogni stormir di foglia. O meglio, di sondaggio.
Il caso delle preferenze è esemplare. Ai tempi di Tangentopoli furono additate come sinonimo di corruzione. Nel referendum del giugno 1991, il 95,6 per cento dei votanti si espresse a favore dell’abolizione. Eppure, vent’anni dopo sono tornate in auge, evocate da chi allora le aborriva e che ora le considera l’unico rimedio allo strapotere delle segreterie nella compilazione delle liste bloccate.
Negli anni della tempesta giudiziaria, con la scomparsa ignominiosa dei vecchi partiti, prese corpo il concetto del sistema maggioritario contro la degenerazione del proporzionale, dimenticando, i più, che quando nel 1953 De Gasperi tentò di introdurre un pur modesto premio per chi usciva vincitore dalle urne, la sinistra, sconfiggendolo, lo accusò di truffa. Il referendum del ’93, che abolì anche il finanziamento pubblico (persino su questo tema ci sono molti ripensamenti), pose le basi per favorire la governabilità rispetto alla rappresentanza. Da allora, indecisi, siamo andati avanti con sistemi misti: il Mattarellum, il Porcellum, il Rosatellum. In mezzo tante proposte, guardando a esempi esteri, i più disparati, Australia compresa.
Renzi, all’apice del proprio successo, sbandierò l’Italicum che, affiancato alla scomparsa del Senato, avrebbe portato ad un impianto ultra-maggioritario. Fu battuto. Disse che avrebbe gettato la spugna ma ora è tornato, sta fondando un proprio partito e si dice propenso al proporzionale. E la Lega, dalla sua nascita, quante posizioni ha cambiato? No, la coerenza non è certo una virtù italiana.
Come mettere fine alla diabolica danza? Costantino Mortati proponeva di inserire la legge elettorale nella Costituzione, un modo per rendere tutto omogeneo ed equilibrato, assicurando “da una parte la stabilità e l’unitarietà della direzione politica, dall’altra la tutela delle libertà, la certezza del diritto e il rispetto delle minoranze escluse dal governo”.
L’estensore di questa rubrica, nel 2016, alla vigilia del referendum voluto da Renzi, si permise di suggerire, dalle colonne del Corriere della Sera, la formazione di un’assemblea costituente (in questo caso da eleggere con sistema proporzionale e sbarramento al 4 per cento) con lo scopo precipuo di stilare una legge elettorale duratura, affidabile, condivisa, da incidere, come chiedeva Mortati, nella Carta fondamentale.
Non si farà, è chiaro. Nessuno ha interesse a infilarsi in un dibattito vero, trasparente, che guardi al futuro, coinvolgendo le giovani generazioni. Meglio continuare il sabba. Che dire? La sfiducia nella politica è tale che il bianco e il nero cangiano l’uno nell’altro sull’onda dell’emozione del momento, purtroppo sempre al suono del pifferaio di turno.
Marco Cianca