Il premio letterario di LiberEtà, il mensile dei pensionati della Cgil, ha delle particolarità poco frequenti nel gran numero dei premi letterari italiani. Si svolge da più di venti anni, è riservato a scrittori esordienti, indipendentemente dalla loro età, premia i migliori lavori inediti e destina tutto il materiale giunto in redazione all’Archivio Diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, fondato da Saverio Tutino, che ne contiene più di mille. Il Premio coinvolge nelle valutazioni dei racconti in concorso venti gruppi sparsi sul territorio nazionale per un totale di più di cento lettori tra professori, studenti, pensionati e volontari. Non c’è altra giuria se non quella “popolare”, né gli autori, né il pubblico conoscono l’esito del concorso fino all’annuncio pubblico della premiazione.
La finalità esplicita del premio è quella di ricostruire dal basso, a partire da storie individuali, una memoria collettiva e una storia, in qualche caso una controstoria, dei principali avvenimenti del Paese. Quest’anno, per la prima volta, tutti e tre i finalisti raccontavano vicende accadute nel dopoguerra, fino agli anni 70. Mentre in precedenza il baricentro dei racconti e della memoria era legato alla guerra e alla resistenza.
In questi giorni, si è svolta a Trani la ventunesima edizione del Premio, con la partecipazione di tre finalisti di talento: Nunzio Mainieri con “A voce alta”, Liliana Salvatori con “Non ho mai bevuto Coca-Cola” e Ave Govi con “Le vite di Emma”. Pur nella loro diversità i racconti giunti in finale hanno in comune la buona qualità della scrittura, a volte ricercata, e il desiderio di andare oltre il vissuto personale per tracciare atmosfere, esperienze, relazioni e fatti di carattere sociale e collettivo.
Mainieri coinvolge immediatamente il lettore nella ricostruzione che il protagonista, un argentino immigrato in Italia che lavora da operaio fino alla pensione, intende fare dell’abominio morale e civile degli anni della dittatura militare di Videla, dalla quale è fuggito miracolosamente a vent’anni. Amici scomparsi, parenti che hanno voluto rimuovere quei fatti tragici, vecchi compagni che preferiscono non ricordare, le madri di Plaza de Mayo, avvocati antimilitaristi, ex militari dal ruolo ancora ambiguo sono i personaggi che Martin, il protagonista, incontra e coinvolge per ricostruire i vuoti della sua memoria. È un percorso sofferto, che si svolge con l’apprensione di un giallo e che alla fine gli consente di “fare i conti” con quell’esperienza così tragica.
Liliana Salvatori ci descrive il percorso di una “proletaria” romana di borgata che per impegno personale e tradizione di famiglia vive l’epopea della sinistra italiana, dagli anni 50 fino ai nostri giorni, a diretto contatto con i protagonisti e partecipando di persona alle dinamiche, sempre divisorie, di quelle esperienze: Psi, Psiup, Pci, DS, Rifondazione Comunista, Sel… Fino alla vigilia delle scissioni più recenti. Anche nel suo caso da una memoria individuale è facile ricostruire destini molto più collettivi: speranze, trionfi e delusioni.
Ave Govi racconta di una bambina che vive in una famiglia di contadini poveri in un paesino emiliano tra regole ferree che nessuno immagina violabili ma che lei mal sopporta: l’autorità paterna, quella del prete, il potere dei ricchi. Alla fine nessuno dei personaggi descritti (malgrado le tensioni quotidiane, le incomprensioni, le rotture e due omicidi impuniti) si rivela totalmente cattivo (o totalmente buono): ciascuno prigioniero dei propri impulsi irrefrenabili anche quando sembrano essere sopiti. Con una sorta di ineluttabilità della realtà rispetto al volere dei singoli che ricorda l’inevitabilità del destino dei maggiori drammi letterari. Una “tragedia” classica dove, al contrario della tradizione, i protagonisti sono persone comuni e non eroi.
Ha vinto l’edizione 2019 del Premio LiberEtà, Ave Govi. Per aver saputo ricostruire, come dice la motivazione, “Un mondo difficile per tutti. Impossibile per le donne”. E “per averci regalato un personaggio femminile indimenticabile, una ragazza determinata e ribelle, capace di costruire il proprio destino a dispetto della sorte e degli uomini.”