Il cavallo non beve. La papera non galleggia. O ancora: il corteo funebre non parte e il cero si consuma. Eraldo Crea, rimpianto dirigente della Cisl, amava ricorrere a curiose ma efficaci immagini per rimarcare lo stallo dell’economia. Eppure i suoi erano anni in cui lo sviluppo, anche se stentato, restava nel novero delle opportunità. I problemi erano l’inflazione e la disoccupazione, con buona pace della curva di Phillips. Ora la prima è stata sconfitta ma con la seconda non si sa che fare. La scala mobile è un reperto archeologico, i consumi ristagnano, i salari sono bassi, manca il lavoro e l’indice del disagio sociale tende all’infinito. L’euro ha preso il posto della lira, le svalutazioni competitive sono un ricordo, il debito pubblico è una prigione, la crescita una chimera. A livello mondiale la guerra dei dazi sta uccidendo la favola liberista, il prezzo del petrolio resta alto, le energie fossili vincono su quelle rinnovabili, il clima impazzisce, le multinazionali e il capitalismo comunista della Cina dettano legge, il monetarismo resta una brutta parola, dopo l’apoteosi di Milton Friedman torna di moda John Maynard Keines.
Che direbbe, oggi, il buon Crea? Che si stava meglio quando si stava peggio? No, perché era un uomo onesto e intelligente. Non esiterebbe ad ammettere che i vincoli di bilancio imposti dall’Unione sono un’inderogabile necessità e che la moneta unica ci ha salvato dalla deriva e dal naufragio. Ma, siamo sicuri, andrebbe ogni giorno a bussare alla porta di palazzo Chigi per esigere investimenti, incalzerebbe gli industriali a reinvestire i pur magri profitti in innovazione e ricerca, griderebbe che la produttività e la qualità non crescono diminuendo il costo del lavoro e che semmai è vero il contrario, ripeterebbe come un mantra che il Mezzogiorno è la vera emergenza nazionale.
Per la verità anche i suoi successori, che in questi giorni vengono ricevuti in pompa magna dal presidente del consiglio, enunciano tali priorità. Ma è come se tutte le dichiarazioni finissero nel nulla del già sentito. E anche il nuovo governo non buca il muro dell’incertezza. Già, il cavallo non beve perché diffida, teme che la scarsa acqua sia avvelenata. Da anni ogni manovra è venduta come la panacea di tutti i mali salvo poi accorgersi che le cose, invece di migliorare, si complicano. L’attuale ministro degli Esteri non aveva annunciato dal balcone la sconfitta della povertà?
L’incubo dei sondaggi e la campagna elettorale senza fine obnubilano ogni visione strategica. Le promesse occupano il posto della verità. I proclami umiliano la serietà. I mali, non curati, si espandono. Corruzione, burocrazia, ritardi epocali, infrastrutture obsolete, clientelismo, familismo, criminalità organizzata, tasse alte e complicate che sono l’altra faccia dell’evasione, sistema scolastico a catafascio, sanità come sicura greppia della politica.
E allora a che serve capire se il Pil aumenterà dello 0.1 o dello 0,2? La stagnazione è certa e il Sud, con un meno 0,3 per cento, precipita nel gorgo della recessione. Il cavallo sta morendo di sete. E non saranno certo il taglio di deputati e senatori o una nuova legge elettorale a salvarlo. Servirebbero misure memorabili, invoca l’Avvenire. Ma qui di memorabile ci sono solo l’ignavia e la miopia.
Marco Cianca