Il diario del lavoro ha organizzato, presso il Cnel, il seminario “Quale cabina di regia per gestire le crisi aziendali?”, al quale hanno partecipato esponenti delle grandi imprese, sociologi, giuristi, sindacalisti e rappresentanti dell’associazionismo imprenditoriale.
La lunga crisi economica di questi anni ha infatti lasciato una triste scie di aziende in crisi, in numero altissimo, che purtroppo cresce continuamente. Le strutture per gestire queste situazioni sono state in parte smantellate, in parte ristrutturate e questo crea incertezza. Nel corso del seminario sono emerse numerose soluzioni sulle quali poter fare affidamento per affrontare una problematica così complessa.
Ci sono, tuttavia, degli elementi che hanno accumunato i diversi interventi. Tutti hanno ribadito con forza la necessità che la classe politica dia una visione e una politica industriale di lungo periodo, che purtroppo manca da molto tempo. Questo richiede un cambio di paradigma significativo, che metta al centro politiche attive per il lavoro efficienti, che non si limiti al mero contenimento di situazioni ormai incancrenite e irrecuperabili, ma che sappia anticiparle. La prevenzione deve diventare infatti la nuova governance delle crisi.
In tutto questo diventano centrali le relazioni industriali e i lori attori, capaci di applicare al meglio gli strumenti offerti dalla legislazione, di trovare soluzioni innovative, laddove la politica fallisce, e di realizzare buone pratiche in singole aziende, che possono fare da apripista per l’intero sistema produttivo.
Nel momento attuale le crisi aziendali si intrecciano anche con i processi di transizione e trasformazione tecnologica ed energetica ormai ineludibili. La formazione continua diventa così la migliore garanzia occupazionale per il lavoratore.
Tiziano Treu, presidente del Cnel, aprendo il seminario, ha fatto brevemente il punto sullo stato dell’arte delle crisi industriali nel nostro paese. La prima indicazione data da Treu è che bisogna iniziare a guadare le crisi aziendali non sempre e necessariamente come il portato di una crisi economica. È vero che l’Italia esce da un periodo di profonda recessione che ne ha fortemente indebolito il sistema produttivo, ma le crisi ci sono sempre state. Deve cambiare la logica, che non sia solo più di tamponamento. Il ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico non devono intervenire solo per raccogliere i cocci, ma l’auspicio di Treu è che si dia il via a una vera politica industriale di ampio respiro.
Carlo Anelli, responsabile del dipartimento delle politiche industriali della Cisl, ha insisto sulla necessità di una cabina di regia che dovrebbe, prima di tutto, fare chiarezza sui tavoli di crisi aperti. Da troppo tempo, ha denunciato Anelli, manca un confronto serio e serrato con il ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro. Una mancanza di chiarezza e di lungimiranza che per Anelli non si può compensare se il Paese si accontenta di una crescita modesta, nell’ordine dello 0%. Altro elemento di criticità per il sindacalista della Cisl riguarda l’esigibilità degli accordi. Troppo spesso, ultimamente, è accaduto che intese, appena stipulate, venissero disattese qualche mese dopo.
Marco Mondini, responsabile delle relazioni industriale di Wind 3, ha posto l’evidenza sull’importanza delle politiche attive per la gestione delle crisi. Nella sua precedente esperienza alla Elettrolux, ha raccontato come l’azienda, tra il 2013 e il 2014, si sia trovata ad affrontare un momento di crisi e di trasformazione del business. Mondini ha sottolineato le centralità del lavoro sinergico messo in atto dall’impresa, i sindacati e le istituzioni. Nella governance della crisi, oltre all’uso di strumenti classici, come la defiscalizzazione del contratto di solidarietà, l’azienda si è impegnata in un processo di riformazione e riqualificazione del personale. Un processo indispensabile, ha spiegato Mondini, per sopravvivere in un mercato dove il costo del lavoro in Polonia è di 7 euro l’ora, contro i 26 dell’Italia. Tuttavia queste buone pratiche non possono essere lasciate all’iniziativa della singola azienda.
Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali di Fca, ha analizzato il tema delle crisi aziendali attraverso due prospettive: quella industriale e quella occupazionale. Per De Biasi si tratta di due aspetti diversi che devono essere gestiti con differenti strumenti. La prassi migliore, secondo De Biasi, sarebbe quella nella quale la prospettiva industriale fa da traino al tema occupazionale, e le soluzioni che devono essere approntate tengano conto della prima. Ma, quasi sempre, l’ordine è ribaltato. Il risultato è un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali per tenere in piedi aziende zombie. È chiaro che questo meccanismo porta a non ricercare le soluzioni ottimali dal punto di vista industriale, disincentivando l’attuazione di qualsiasi politica attiva. Inoltre la messa in campo di soluzioni ad hoc e di continue proroghe impedisce un approccio sistemico alle crisi e crea anche diseguaglianza tra i lavoratori. In questo modo per De Biasi si crea una selezione della classe imprenditoriale alla rovescia, allontanando chi vuole dare una vera prospettiva industriale.
Giovanna Bellezza, responsabile delle relazioni industriali di Telecom, ha parlato della gestione della crisi aziendali nell’epoca della transizione tecnologica, attraverso anche i nuovi strumenti che la legislazione mette a disposizione, come il contratto di espansione. Si tratta di una misura, ancora sperimentale, adottata da Telecom. L’azienda ha vissuto momenti di grande cambiamento, passando da 100mila dipendenti a quasi la metà. Una decrescita soft, nella quale i lavoratori sono usciti volontariamente. Tuttavia la vera sfida per le aziende consiste nel tenere insieme efficienza e sviluppo. Con il contratto di espansione, ha spiegato Bellezza, si possono favorire le uscite, attivare la riconversione di alcuni lavoratori, attraverso percorsi formativi, e far entrare competenze dell’esterno. Nel settore delle Tlc, che si sta affacciando sul 5G, così come in altri comparti, la formazione e il rinnovo delle competenze rappresentano le migliori garanzie per l’occupabilità dei lavoratori.
Per Emilio Miceli, segretario confederale della Cgil, il nostro paese si trova ad affrontare un momento cruciale all’interno del suo sistema produttivo. I grandi poli produttivi degli anni ’60 stanno vivendo la loro età matura. Dobbiamo capire, sostiene Miceli, quale sarà l’impatto della riconversione ambientali per un paese che, come in nostro, vive di platica, acciaio e alluminio. Acconto a questa sfida, Miceli ha sottolineato anche l’inefficacia di alcuni strumenti pensati per la gestione delle crisi, prima fra tutti i patti territoriali. Infatti dobbiamo fare i conti con una decadenza di certe aree della penisola, dove manca la spinta per un rilancio del tessuto produttivo, anche a causa del fallimento delle istituzioni locali, come le regioni, nella gestione delle politiche di sviluppo. Infine una grande punto interrogativo rimane sul sistema degli incentivi alle imprese, che ha raggiunto i 14 miliardi. Un sistema che per il sindacalista della Cgil deve essere ripensato, visto il bassissimo tasso di crescita dell’economia italiana.
Il giuslavorista Michel Martone nel suo intervento ha posto l’attenzione sulla mancanza di una sistematicità nella gestione delle crisi industriali. Manca una selezione, secondo precisi criteri come avviene in Germania, delle diverse crisi. Per Martone questo ha comportato una logica di intervento irrazionale, che si muove sull’idea del dare risorse a tutti finché non finiscono. Da questa prassi è esclusa ogni prospettiva di rilancio di lungo termine. Martone ha poi elogiato la capacità del sindacato nella gestione delle crisi aziendali, evitando così l’esplosione di bombe sociali. Una capacità che per il giuslavorista non si è vista, tuttavia, nell’implementazione e nella diffusione della contrattazione di secondo livello.
Giovanni Airoldi, responsabile delle relazioni industriali di Acea, l’obiettivo è quello dare meno lavoro possibile alle cabine di regia, attivando strumenti di prevenzione per intervenire sulle cause delle future crisi e non sugli effetti. Le aziende sono degli attori importanti, per il ruolo e la responsabilità sociale che rivestono nel territorio, e per questo, afferma Airoldi, è importante che gestiscano al meglio le risorse per la formazione e la riqualificazione e la transizione occupazionale. Molti settori si sono dotati di strumenti propri ma, spiega Airoldi, è necessario attuare politiche industriali che sappiano accompagnare l’intero sistema produttivo.
Salvatore Cocchiaro, responsabile relazioni industriali Poste Italiane, ha sottolineato che la sfida è la logistica, considerato come questa sia trasversale e stia cambiando l’intera società, e bisogna cogliere i segnali del cambiamento per riuscire a governala, dato che determina una parte di sviluppo della nostra economia. Una cabina di regia per le crisi aziendali sarebbe importante, e Poste Italiane ha proposto che vi partecipassero vari ministeri. L’invito è stato rivolto anche al sindacato confederale. Per Cocchiaro, una cabina di regia con questi attori sarebbe efficace, un luogo ideale per gestire le crisi, e grazie ad essa lanciare una serie di norme per mettere ordine e permettere che la competitività delle aziende non si giochi né sulla pelle dei lavoratori né sulla pelle di chi rispetta le regole.
Filippo Contino, responsabile delle relazioni industriali di Enel, ha sottolineato come una nuova cabina di regia per la gestione delle crisi industriali non può puntare sugli strumenti classici, come gli ammortizzatori sociali. Se così fosse, ha spiegato Contino, sarebbe un investimento inutile. La vera sfida è quella di sapere anticipare le crisi che possono prospettarsi. Una situazione affrontata con successo in Enel, dove tra il 2013 e il 2014 c’era la consapevolezza che, nell’immediato futuro, 23 siti non sarebbe più stati produttivi. Contino ha parlato di come la strategia dell’azienda sia stata quella di puntare sul redeployment dei lavoratori, rioccupandoli in altri business dell’azienda. Questo attraverso la formazione continua, come nuova frontiera della tutela del lavoratore.
Pierangelo Albini, responsabile delle relazioni industriali di Confindustria, si è interrogato sull’effettivo ruolo che dovrebbe ricoprire una cabina di regia nella gestione delle crisi e quali dovrebbero essere i poteri, gli strumenti e le responsabilità degli attori che la coordinano. Albini ha parlato di cinque antinomie che la cabina di regia dovrebbe sciogliere per avere una sua legittimazione. La prima riguarda la dualità tra politiche attive e passive. Per Albini manca la volontà e la cultura di attuare le prime, a tutti i livelli. La seconda è che bisogna saper distinguere tra crisi e crisi. Ci sono quelle industriali e ci sono quelle occupazionali. Le prime devono essere gestite al ministero del Lavoro, le seconde a quello dello Sviluppo Economico. Dunque attenzione a non fare confusione. La terza, per Albini, riguarda i rapporti tra legge e contrattazione. Nella gestione delle crisi l’iniziativa delle parti sociali sta lasciando sempre più spazio all’iniziativa legislativa, con la conseguenza che l’autonomia dei sindacati si sta assottigliando. Il quarto punto è l’aver abdicato alle regole in favore delle eccezioni. Ogni crisi viene gestita nella sua particolarità, attraverso strumenti pensati ad hoc. Infine Albini ha parlato della sostenibilità del sistema di protezione sociale e dell’equità. Per Albini abbiamo un sistema molto sperequato per le protezioni che offre e per le contribuzioni che chiede, dove è venuta meno qualsiasi logica previdenziale.
Il giuslavorista Angelo Pandolfo si è concentrato sugli strumenti che il diritto del lavoro mette a disposizione nella gestione e nella prevenzione delle crisi industriali. Proprio la prevenzione diverrà, da agosto del 2020, un obbligo di legge. Nel codice sulle crisi d’imprese verranno introdotte tutta una serie di norme, ha spiegato il giuslavorista, per diagnosticare in anticipo situazioni di crisi, attraverso tutta una serie di parametri, elaborati dal Consiglio nazionale dei commercialisti, evitando di arrivare quando la crisi si è incancrenita. Il nuovo codice avrà due livelli di gestione delle crisi, uno per le medio-piccole, l’altro per le grandi, è vedrà al centro il ruolo di nuovi organismi detti OCRI, Organismo di composizione della crisi d’impresa, che nasceranno nelle camere di commercio.
Per Cristina Cofacci, responsabile delle relazioni industriali di Leonardo, nell’era della transizione tecnologica e energetica, le competenze sono la vera chiave di volta per affrontare e superare le crisi. In quest’ottica la sinergia non deve esserci solo tra ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico, ma anche con il ministero dell’Istruzione. Per Cofacci non si può prescindere da un confronto costante tra il mondo della formazione e quello dell’impresa. Uno dei problemi è quello del mismatching di competenze in ingresso tra domanda e offerta. In queste situazioni il carico non può essere riversato unicamente sulle imprese, ma deve essere gestito a monte. Un valido strumento, ho sottolineato Cofacci, resta il contratto di apprendistato, soprattutto quello duale. Uno strumento, a volte, di difficile applicazione, ma capace di tenere insieme lavoro e formazione.
Il segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani, ha tracciato la parabola della cabina di regia per la gestione della crisi a partire dagli anni ’90, un decennio caratterizzato da profondi cambiamenti nel mercato del lavoro. Precedentemente il ministero del Lavoro aveva poteri reali per gestire le crisi industriali che poi, negli anni della concertazione, si sono spostati progressivamente a Palazzo Chigi. Con il superamento della Gepi, il primo ideatore di una cabina di regia fu Gianfranco Borghini, che volle superare la visione assistenziale e clientelistica con la quale era gestista la Gepi, per affrontare la crisi secondo una visione industriale di più ampio raggio. Nel suo excursus, Pirani ha ricordato come con la gestione Castano al Mise si è deciso di portare le crisi industriali fuori dai meccanismi procedurali della pubblica amministrazione. L’abbandono di una cabina di regia, privilegiando politiche assistenzialiste, è frutto di una recente volontà politica. In tutto questo, per Pirani, le parti sociali non sono state ferme a guadare. Gli ultimi contratti firmati, di vari settori, contengono gli strumenti per gestire le crisi e i processi riorganizzativi e di transizione.
Per Massimo Forbicini, responsabile delle relazioni industriali di Vodafone, la vera cabina di regia si può attuare nella contrattazione aziendale. Al suo interno infatti ci sono tutti gli strumenti per anticipare e governare i momenti di crisi. Forbicini ha spiegato come la vera sfida sia quella di evitare che la popolazione attiva diventi obsoleta. Non possiamo infatti più parlare di certezza dell’occupazione, ma dobbiamo puntare sulla sua sostenibilità. Questo passa attraverso il concetto di employability e di riconversione professionale. Secondo Forbicini, affinché questo possa verificarsi, occorre un cambio di paradigma significativo, sia nel mondo del lavoro che nel modello sociale. Si deve passare da un modello difensivo, che privilegia le politiche passive, a uno propositivo, con al centro quelle attive.
Laura Di Raimondo, direttore generale di Asstel, nel suo intervento ha spiegato come una cabina di regia non possa non tenere insieme il tema della gestione delle crisi con quello della transizione tecnologica. Nell’ambito delle telecomunicazioni il governo delle crisi è avvenuto, da una parte, attingendo alla cassetta degli strumenti già presente e, dall’altra, con la contrattazione. Tuttavia la logica da perseguire non deve essere meramente conservativa, ma deve ancorarsi ai processi di transizione in atto, per i quali un’azienda in crisi esce da questa condizione e cambia pelle. Anche per Di Raimondo un posto centrale lo occupano le competenze e il continuo scambio tra mondo del lavoro e della formazione.
Mimmo Carrieri, sociologo, ha evidenziato le difficoltà nel passare da un modello frammentario e difensivo delle politiche del lavoro, a uno più dinamico e sistemico, più volte auspicato durante il seminario. Carrieri ha tracciato una linea che, da una parte, divide alcune best practices, messe in campo in campo da alcune aziende, grazie allo loro struttura e al sistema di relazioni industriali presenti al loro interno, e tutto il resto. Ma tralasciando questi esempi virtuosi, Carrieri ha più volte ribadito la difficoltà oggettiva degli attori istituzionali di far funzionare le politiche attive, anche quelle già esistenti. La domanda che ci si deve porre è se le relazioni industriali debbano essere un mero specchio di questa realtà, o se invece possono dare il loro contributo per rendere più sistemiche le politiche di intervento. Altro punto da chiarire è il ruolo e lo spazio di cui potranno disporre le parti sociali in una fase contraddistinta da una forte interventismo della politica attraverso lo strumento legislativo.