Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Uila, Stefano Mantegazza, in merito alla trattativa in corso per il rinnovo del contratto dell’Industria alimentare, in scadenza il 30 novembre.
Mantegazza, a che punto siete arrivati con la controparte per il rinnovo del contratto?
Le trattative, che riguardano oltre 400.000 lavoratori sono iniziate il 10 settembre. Per volontà comune si sono svolti degli incontri tecnici con cadenza settimanale e le prime quattro sessioni sono state dedicate alla definizione di un nuovo impianto salariale.
E come è andata?
Ci sembrava di aver fatto un buon lavoro e trovato una quadra con la controparte. Ma nella plenaria, abbiamo preso atto di una veloce marcia indietro. Successivamente, negli incontri tecnici di novembre, abbiamo svolto una ricognizione su tutti gli aspetti del contratto di carattere normativo, che proseguirà nei due incontri di questa settimana.
La situazione è migliorata?
Anche questa verifica non ha comportato risultati significativi. Ci sono stati degli approfondimenti ma in realtà non ci sono aspetti importanti che hanno trovato una soluzione. Partecipazione alle scelte strategiche delle imprese, maggiori tutele per tutti i lavoratori impegnati negli stabilimenti a prescindere dal contratto applicato, migliori garanzie sul fronte degli appalti, sono tutte richieste, al momento, senza risposte positive. Abbiamo ancora due incontri e una nuova plenaria il 2 dicembre. Il negoziato sembrava voler bruciare le tappe per concludersi in maniera concomitante alla scadenza del contratto, cioè il 30 novembre, ma il giudizio che possiamo dare oggi è che siamo in una fase di stallo. Le parti si sono addirittura allontanate rispetto ai passi avanti iniziali.
Cosa rallenta la trattativa?
Posso immaginare che il caso ex-Ilva, la mancata soluzione per Alitalia, la decisione del Governo di inserire nella legge di stabilità, la plastic tax e la sugar tax o i dazi introdotti da Trump, stiano influendo negativamente sul negoziato. Si tratta però di avvenimenti contingenti. Noi rinnoviamo un contratto per quattro anni, gli elementi da guardare sono altri, come il fatturato, l’export e la produzione del settore, che ci confermano che questo è un comparto che gode di ottima salute. La controparte dovrebbe partire da queste evidenze.
Quindi il vostro settore va bene?
Si, il settore alimentare nel panorama del manifatturiero italiano continua per fortuna a muoversi in splendida controtendenza. Dagli ultimi dati Istat, il fatturato dell’industria tra settembre 2018 e 2019 è diminuito dell’1,6% ma quello dell’industria alimentare ha segnato un +4,2%. Anche l’indice generale della produzione industriale, sempre su base annua, è sceso del -2,1%, mentre quello di comparto è salito del +7,8%. La stella che brilla di più è quella dell’export, dove abbiamo registrato una crescita, tra gennaio e settembre, del +7% dei prodotti alimentari, mentre nel settore industriale la crescita è solo del +2,5%. Sono questi dati che le nostre controparti dovrebbero avere in mente durante i negoziati e non solo nelle interviste.
Cioè?
Recentemente il Presidente di Federalimentare ha dichiarato di non essere particolarmente preoccupato dai dazi, asserendo giustamente che il consumatore che oggi spende negli USA 40 dollari al chilo per comprare il parmigiano, probabilmente può permettersi di spenderne anche 45. Mi sembra un’affermazione di buon senso.
Quindi se non ci sono problemi allora come si spiega questo stallo nella trattativa?
Io credo che sfugga al sistema delle imprese che i cambiamenti imponenti che si sono verificati in questi quattro anni e quelli in programma per i prossimi, impongono innovazioni importanti anche nell’impianto contrattuale. E poi c’è la questione salariale anch’essa sottovalutata.
Quali sono su questo fronte le richieste presentate?
Abbiamo chiesto 205 euro di aumento medio, a cui si aggiungono 23 euro per il Welfare. In un settore che performa in misura straordinaria si deve accettare il fatto che il sindacato chieda non solo di difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni ma anche di aumentare la capacità di spesa. Giusta l’IPCA per rivalutare i minimi retributivi se si riconosce che il trattamento economico complessivo può andare oltre.
Si può dire, dunque, che tutto il resto delle richieste è un corollario della questione salariale?
No, perché la piattaforma è ricca di molti temi sui quali divergiamo con la controparte. Alcuni li ho già citati, altri, come il tema dell’inquadramento, sono altrettanto importanti.
Sull’inquadramento cosa chiedete di diverso rispetto al precedente contratto?
Chiediamo di mettere mano ad una vera riforma: e ho notato che c’è una sorta di contraddizione tra quello che le aziende raccontano nei vari seminari, tavole rotonde e convegni e la pratica ricaduta al momento del confronto negoziale.
Cioè?
Si parla tanto di industria 4.0, delle nuove frontiere dell’informatica, delle nuove esigenze dei consumatori che ci porteranno a cambiamenti straordinari in tutto il sistema del lavoro. Federalimentare spiega che le aziende nei prossimi anni assumeranno decine di migliaia di persone, quasi tutte, impegnate verso attività nuove. Tutto giusto, proprio per questi motivi inquadramento e classificazione devono essere modificati e non possono rimanere quelli di 30 anni fa. Così come serve un piano straordinario sul versante della formazione ed è necessaria una specifica attenzione verso i giovani.
Può fare qualche esempio di nuovi lavori?
Sempre più stiamo assistendo al ricorso, da parte delle imprese, a nuove modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, come lo smart working o forme innovative di telelavoro. Non è un caso che con questo rinnovo chiediamo alla controparte, tra l’altro, di sancire il diritto alla disconnessione per questi lavoratori. Grazie all’introduzione di tecnologie digitali nelle linee produttive e di robot operativi, come dicevo, si stanno poi diffondendo lavori e mansioni che fino a qualche anno fa non esistevano. Pensiamo a tutti quegli operatori, solo per fare qualche esempio, che si occupano di smart packaging o di etichette elettroniche. E anche a loro che questo contratto deve iniziare a dare risposte.
Emanuele Ghiani