Sono ormai passate lunghe settimane di dibattiti televisivi su Coronavirus, di annunci di politici avventati e informazioni da scienziati di tutto il mondo. Ormai possiamo farci qualche idea su quello che sta accadendo. Sappiamo che il virus ci sta cambiando abitudini, certezze economiche e facendo perdere anche il nostro ottimismo sul futuro. Pur con la certezza che sia necessario non abbassare la guardia e lavarci le mani con perizia, mi permetto di fare alcune riflessioni. Ad oggi gli sfortunati concittadini che hanno contratto il COVID-19 sono poco meno dello 0,007% della popolazione italiana. Nel mondo, compresa la Cina in cui il virus si è presentato all’umanità, poco più dello 0,001% sono i casi clinicamente diagnosticati. E se ci limitassimo alla Cina “solo” lo 0,005% sull’intera popolazione sono i coronavirus diagnosticati, meno appunto dell’Italia. E questo è il dato che dovrebbe spiegare tanto. Nel mondo non sono diagnosticati tutti i contagi avvenuti, si sapeva. Nemmeno in Italia, si teme, ma da noi il riscontro è molto più alto che in tutto il mondo. Di questo “successo” diagnostico la “colpa” è senza dubbio del nostro servizio sanitario nazionale che ha dato seguito ad una promessa unica tra tutti i sistemi sanitari del globo e basata sulla attuazione dell’art. 32 della Costituzione, che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”. Propositi effettivamente realizzati con la legge n.833 del 1978, inserendo i principi di universalità, uguaglianza e equità delle cure che ha dato vita al SSN. E se posso aggiungere anche merito della nostra sanità privata, che integra, stimola e supporta la sanità pubblica.
Dunque dovremmo sottolineare che non stiamo peggio di altri, attenzione alla notizia: sul tema salute siamo i migliori al mondo. Probabilmente dovremmo partire da questa consapevolezza anche giudicando i tagli che nel passato abbiamo improvvidamente fatto fare alla sanità italiana, per poi accorgerci quanto serve nel momento del bisogno. Comunque con tutte le difficoltà note e con i tanti limiti che continuiamo ad avere anche di capacità politica (vedi la nostra reazione al disastro economico: stanziamo 7,5 miliardi ovvero poco più di quanto abbiamo già buttato solo nel 2019 per “quota 100”) in Italia non si lascia indietro nessuno. L’esempio che è passato quasi sotto traccia sono gli sforzi della Farnesina per recuperare i nostri concittadini in difficoltà nelle zone rosse fuori dall’Italia. Fra tutti Niccolò, il ragazzo di 17 anni con la febbre, negativo a Whuan dopo ben 4 tamponi, prelevato con un aereo militare con tanto di barella in biocontenimento da fantascienza. Certamente era un simbolo e ad altri non sarà capitato un trattamento simile ma vale il principio ribadito dagli impiegati di una ditta italiana che sono stati aiutati a tornare a casa e che hanno raccontato nelle interviste quanto siano stati più fortunati di altri loro colleghi americani rimasti a Whuan, perché non potevano permettersi il biglietto aereo del ritorno. Non bastasse ricordiamoci che negli USA il noto tampone per la diagnostica costa 3200 dollari, circa come in Italia ovviamente, solo che da noi interviene lo Stato Italiano, nel grande Paese di Trump direttamente il cittadino americano o dall’assicurazione privata pagata a caro prezzo sempre dal medesimo, se può permettersela.
Quindi la differenza è nell’approccio culturale verso la salute, e su questo, devo ribadirlo, è l’Italia il Paese migliore al mondo. Dovremmo rivendicarlo, farlo presente alla CNN o ai Francesi di Canal Plus, sempre rimanendo modesti, che se mai un cittadino nel mondo dovesse avere un problema sanitario e magari essere indigente o almeno impreparato alla spesa da dover sostenere per curarsi, dovrebbe augurarsi semplicemente di essere italiano.
Massimo Fiaschi