Il prof Giorgio Parisi, Fisico e presidente dell’accademia nazionale dei Lincei, ha calcolato che con l’attuale tasso di incremento degli infettati pari a un fattore 10 a settimana, il tempo per contagiare tutti i sessanta milioni di italiani sarebbe nell’ordine di 5 settimane.
Una previsione sovrapponibile a quella delineata dal più importante studio epidemiologico sull’infezione pubblicato pochi giorni or sono su The Lancet dal titolo “Feasibility of controlling COVID-19 outbreaks by isolation of cases and contacts” firmato da Joel Hellewell, Sam Abbott et al.
In tale studio di simulazione della diffusione dell’infezione è stata identificata come soglia, oltre la quale le misure di distanziamento sociale diventano progressivamente meno efficaci, la presenza di oltre 5000 casi. Una soglia, purtroppo, da noi già ampiamente superata e che rende impossibile identificare e isolare almeno il 70% dei soggetti che hanno già avuto contatto con i soggetti infettati (indipendentemente dalla gravità del decorso clinico della malattia). E’ questa infatti la percentuale di contagiati da mettere in quarantena se si vuole spegnere il focolaio epidemico.
La diffusione ormai esponenziale del virus COV 2 e il precipitoso ritorno nelle regioni di provenienza del sud, in fuga dalla Lombardia, di oltre 20.000 persone, molte delle quali provenienti da aree ad alta diffusione del coronavirus e come potenziali diffusori dell’infezione, ha mutato radicalmente la situazione epidemiologica dell’epidemia COVID 19.
E’ oggi all’ordine del giorno la chiusura su tutto il territorio nazionale di tutte le attività ad esclusione di quelle connesse all’approvvigionamento e distribuzione di alimenti e farmaci. Una situazione inimmaginabile fino a soli pochi giorni or sono che trasformerebbe l’intero territorio nazionale in una Wuhan nel cuore dell’Europa ( ameno che tali misure non debbano essere estese anche ad altri paesi).
Va dato atto al governo di avere assunto decisioni importanti, nonostante titubanze ed errori iniziale, e di cui non sono stati esenti neanche i governatori del Nord e i leader di opposizione, ma ancora incerto è il risultato dei sacrifici finora imposti alle regioni del Nord e ora ai cittadini dell’intero paese.
Le prossime due settimane serviranno per chiarire definitivamente lo scenario che abbiamo davanti e per sapere quale sarà il saldo finale di questa terribile epidemia.
Rimangono invece forti ritardi nella indispensabile riorganizzazione dei diversi servizi sanitari regionali. Il reclutamento del personale sanitario, ora possibile con le nuove norme previste dal DPCM appena emanato, non è ancora iniziato e rischia di avvenire non in tempi accettabili se non si prenderanno una serie di misure ragionevoli e in fondo facilmente realizzabili.
Al primo punto metterei la costituzione in ogni regione di un unico centro di coordinamento che superi i poteri organizzativi delle singole ASL e dei singoli presidi ospedalieri. Le regioni dovrebbero centralizzare la gestione delle risorse umane al fine di potere utilizzare al meglio il personale in servizio, riallocandolo nelle aree più critiche o con maggiore carenza.
Di pari passo si dovrebbero organizzare dei contingenti di riservisti (mi si consenta il termine) immediatamente operativi di personale sanitario da potere utilizzare subito o in caso di ulteriori necessità.
Esiste infatti oggi lo strumento legislativo che consente il reclutamento di personale fresco attingendo dalle graduatorie concorsuali esistenti o tramite chiamata diretta o su base volontaria, come il personale collocato in quiescenza specie per anzianità,
Ribadisco che tali contingenti dovrebbero essere in numero sufficiente a integrare e sostituire il personale sanitario contagiato dal virus o posto in quarantena e dovrebbero essere addestrato alle tecniche di ventilazione non invasiva.
Sappiamo infatti che il vero punto di caduta nell’assistenza ai malati di COVID 19 (circa il 5% degli infettati) è la necessità di fornire loro un’assistenza di tipo respiratorio di tipo non invasivo con maschere e caschi (NIV) e, in caso di particolare gravità, con intubazione e ventilazione meccanica.
A tale proposito ricordo che mentre la NIV può essere eseguita e gestita da tutti i medici operanti nelle strutture ospedaliere la ventilazione meccanica è una competenza esclusiva degli anestesisti rianimatori, categoria professionale ormai esposta a un carico di lavoro che ha raggiunto una soglia oltre la quale è difficile andare.
Rimane infine un ultimo problema da affrontare nel caso in cui la situazione precipitasse; il personale direttamente impegnato nella gestione dei pazienti affetti da coranovirus, ormai concentrato in specifici Hub (Sacco di Milano, Spallanzani a Roma, Ospedali ce civile a Bergamo) non solo dovrebbe essere integralmente protetto con DPI necessari per tutto il tempo passato in servizio (come già avviene tuttora), ma dovrebbe anche essere isolato dal resto della popolazione.
Solo questa misura potrebbe infatti impedire che il contagio possa avvenire extra moenia tra le mura domestiche o nell’ambiente di vita, riducendo ulteriormente il numero già scarsissimo di professionisti da utilizzare in questa che è stata giustamente definita una vera e propria guerra.
Per fare questo servono luoghi specifici (alberghi o caserme) in cui tale personale dovrebbe soggiornare, terminati i turni di servizio, fintantoché non cesserà l’emergenza e l’infezione non sarà stata posta sotto controllo.
Una decisione estrema drastica, dolorosa, impegnativa ma forse indispensabile considerato l’alto numero di medici e infermieri (il 12% del totale) già contagiati o in quarantena e il rischio che questo aumenti proporzionalmente al diffondersi dell’infezione.
L’epidemia da COVID 19 sta cambiando la nostra vita introducendo una dimensione che non conoscevamo dal tempo della Spagnola (1918-19) con 50 milioni di morti o dell’asiatica del 1957 in cui i morti furono due milioni.
La nostra vita sta cambiando e forse nei prossimi giorni potrebbe cambiare in modo ancora più radicale.
Una lezione di verità si può tuttavia già trarre ora: è stata una follia avere indebolito il nostro Servizio Sanitario Nazionale con tagli delle risorse e questo, se la memoria ha un senso, non dovrà più avvenire; una follia ancora maggiore è stata tuttavia avere desertificato corsie e strutture territoriali non sostituendo il personale collocato in quiescenza e incoraggiato a farlo con i recenti provvedimenti legislativi.
In sanità infatti, apparecchiature e tecnologie sono sicuramente fondamentali, ma quello che fa la differenza è la presenza di professionisti competenti in grado di utilizzarle.
E’ la risorsa umana quella più preziosa di cui dispone il servizio sanitario e tale risorsa, in questo momento drammatico per il paese, deve essere salvaguardata in tutti i modi possibili anche adattando le soluzioni più impegnative.
Roberto Polillo