La libertà, ci hanno insegnato gli antifascisti della prima ora, non si perde all’ improvviso, tutta di un botto. Va via a poco a poco. Fugge a rifugiarsi nei meandri della memoria. Diventa ricordo, nostalgia, desiderio. Ma quando ci accorgiamo che non c’è più, diventa difficile richiamarla. Troppi ostacoli bisogna rimuovere, le nuove abitudini diventano scontate, il “così fan tutti” porta ad una muta rassegnazione. Il rischio subdolo di affidarci alle altrui scelte, speranzosi di essere condotti sulla via della salvezza e della sopravvivenza, erode la capacità di discernimento individuale. Sgomenti di fronte all’imprevedibile, invochiamo l’intervento di qualcuno che sappia, che dica, che decida.
Piero Ignazi ha lanciato l’allarme: “Le restrizioni di questi giorni in cui per alcuni-non per tutti, per fortuna-andrebbe addirittura negata l’ora d’aria che si concede anche ai carcerati, spingono al limite estremo il potere dello Stato sui cittadini. Questa situazione eccezionale introduce un sottile veleno nel nostro sistema di cui è meglio essere coscienti fin d’ora: quello dell’invocazione di uno stato, forte nonchè etico, che veda e provveda per tutti noi”. Il suo appello è a limitare nel tempo le misure restrittive, a non prorogarle “qualunque cosa succeda” perché sono in gioco i diritti inalienabili della persona che non possono essere sacrificati sull’altare degli “interessi generali”.
Certo, è impensabile che il governo possa decidere un ritorno alla normalità, in ogni caso graduale, senza evidenti prove di un contenimento del contagio. I numeri sono drammatici, e in un furore mediatico che rasenta l’irresponsabilità, è purtroppo ipotizzabile che il “tana libera tutti” sia ben lungi dall’essere in vista. I decreti sembrano destinati ad essere prorogati oltre le scadenze del 25 marzo e del 3 aprile. Le norme restrittive vengono anzi inasprite, compreso il controllo dei telefonini, forse necessario per fermare gli untori incoscienti o menefreghisti ma inquietante.
E allora le preoccupazioni di Ignazi acquistano maggiore consistenza. Il punto è che in Italia le istituzioni sono particolarmente fragili e la voglia di un uomo forte rappresenta il vecchio e nostalgico fuoco che cova sotto la cenere del discredito politico. Non abbiamo discusso fino a poche settimane fa proprio di questo pericolo? E adesso facciamo finta che l’emergenza sanitaria cancelli tutti i rigurgiti di un populismo che anela ad avere un conducator?
Da trent’ anni la democrazia rappresentativa è in mora, quasi sospesa, a mala pena sopportata. Se non si fosse bloccato tutto, in questi giorni saremmo dovuti andare a votare, con un tripudio di consensi, il taglio dei parlamentari. Nelle strade deserte, i vuoti cartelloni elettorali sono il simbolo della desolazione ideale e progettuale. Il ricorso ai tecnici assume, loro malgrado, il connotato, di prove tecniche, scusate il calembour, di dittatura. Ai tempi di Tangentopoli i salvatori della patria erano i giudici, poi gli economisti sono diventati i paladini dei conti pubblici, ora siamo nelle mani dei virologi. E negli studi televisivi nuove stars crescono.
Tutte persone autorevoli e in gamba, per carità. Di certo, incomparabilmente meglio degli incompetenti presuntuosi che negavano la validità dei vaccini o che definivano lo spread una congiura dei poteri forti. Ma dov’è la Politica, con la p maiuscola? Quella capace di prevedere e affrontare le grandi questioni, epidemie comprese, prima che le emergenze ci travolgano?
Stiamo in casa, accettiamo la prigionia, facciamo buon viso a cattivo gioco, magari cantiamo dai balconi. Ma continuiamo a chiederci: perché siamo arrivati a questo punto? E quando sarà finita, non indossiamo di nuovo i logori panni di una presunta normalità, inconsapevoli burattini pronti ad essere irretiti dal Mangiafuoco-demagogo di turno. Cura del pianeta, sviluppo rispettoso dell’ambiente, giustizia sociale e distributiva, commercio equo, aiuto ai più deboli, accoglienza, sanità pubblica efficiente, istruzione, diritti, bisogni, uguaglianza, diversità, pace: solo imponendo questi temi impediremo che ai tecnici seguano i dittatori. Sconfiggiamo la cultura del coprifuoco.
Marco Cianca