Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, per chiedere come si sta muovendo il sindacato, qual è la situazione del settore metalmeccanico e quali sono le ricette che le parti sociali metteranno in campo in vista di una ripresa.
Palombella, come stanno affrontando i metalmeccanici la crisi in corso?
Bisogna vincere alcune riserve legate alla chiusura delle fabbriche. In questi anni abbiamo sempre lottato per avere le fabbriche aperte, difendere i posti di lavoro e le retribuzioni. Questa volta abbiamo dovuto vincere una sfida diversa: quella della vita. Chiudere una fabbrica significava preservare la salute dei lavoratori e di fatto prevedere anche la salvaguardia dell’impresa stessa e del cittadino. Abbiamo cercato di fermare quelle attività non legate alla catena alimentare o sanitaria. Oggi possiamo affermare che la stragrande maggioranza delle imprese metalmeccaniche si sono fermate. Quelle ancora aperte, previste dal decreto, hanno adottato misure eccezionali per evitare i rischi di contaminazione. Adesso si pongono due problemi: il primo è la quantità di reddito erogato dagli ammortizzatori sociali.
In che senso?
L’importo della Cassa integrazione guadagni è di 1.129,66 euro per chi ha una retribuzione superiore a 2.159,48 euro, cioè per chi sta nella seconda fascia; mentre per salari inferiori alla predetta cifra, quelli della prima fascia, l’importo della CIG è di 939,89 euro. Il problema è che la stragrande maggioranza dei lavoratori guadagna meno di 2.159,48 euro e di conseguenza avrebbero una CiG mensile di 939 euro, non sufficenti per un eventuale mutuo, bollette e altre spese. Quindi abbiamo chiesto al Governo di fare un’unica fascia.
Qual è il secondo problema?
Quello legato ai tempi di erogazione. L’Inps ha dichiarato la sua disponibilità a fare in fretta. Diverse aziende, soprattutto i grandi gruppi industriali, grazie ai tanti accordi a livello nazionale, si sono fatte carico di anticipare la cassa integrazione; ma la maggioranza delle aziende medio-piccole non hanno la liquidità per questa operazione. Quindi chiediamo al Governo di trovare una soluzione. Il calendario scorre e abbiamo bisogno di risposte celeri.
Quanto potrà durare la chiusura delle fabbriche?
È troppo presto per determinare quanto dovrà durare la serrata. Questa situazione dipenderà esclusivamente dall’andamento dell’infezione.
Il sistema riuscirà economicamente a reggere?
Abbiamo chiesto al Governo di continuare a reperire risorse, ma qui entra in gioco un assente eccellente: l’Unione Europea, che continua a fare orecchie da mercante, anzi rischia di creare una competitività tra le nostre aziende e il ruolo della stessa Europa.
Quale competitività?
Per esempio la Germania ha un consumo di energia elettrica del 25-30% mentre l’Italia del 5%. Questo vuol dire che la Germania non ha rallentato la sua attività produttiva. Sappiamo che una parte delle nostre aziende rischia di non potere riaprire e di andare fuori mercato. Chi acquisirà quelle quote di mercato? Probabilmente saranno le aziende francesi, austriache, svizzere. Molte realtà già oggi avvertono con forza questo fenomeno.
Ad esempio?
Noi abbiamo chiuso la siderurgia. Non stiamo producendo acciaio. Ma ci sono aziende europee che continuano a produrlo. Le aziende nel bresciano, ArcelorMittal e altre realtà non stanno producendo. Quindi le aziende che continuano a rimanere in marcia useranno l’acciaio degli altri paesi. Dobbiamo rivendicare un ruolo europeo che eviti questa situazione.
Nel senso di evitare lo sciacallaggio delle imprese in difficoltà dopo la crisi?
Certo, fare ad esempio un memorandum tra le aziende ma soprattutto in Europa, per evitare operazioni simili. Ma se non serve a questo l’Europa, a cosa serve? Qual è il ruolo dell’Europa? Se nel momento in cui ci sono dei problemi in uno Stato, invece di aiutarlo si cerca di affossarlo? Ci vengono ad aiutare cinesi, i nostri cugini albanesi, i cubani, mentre la Germania e la Francia ci hanno bloccato pure i trasporti di mascherine verso l’Italia. Penso che qualche problema per l’Europa che tutti sognavamo ci sia e debba essere riconsiderato.
Da riconsiderare quindi anche i pilastri stessi dell’economia di mercato capitalista?
Sappiamo che, dopo una guerra, il capitale si rafforza: chi è ricco diventa più ricco, mentre il povero rischia di diventare ancora più povero. E noi dobbiamo evitarlo. Questa non è una guerra come le altre, gli altri Stati hanno un decorso diverso dal nostro in termini di salute, noi dobbiamo fare i conti con chi in questo momento sta sopportando la vera guerra. La solidarietà è la parola chiave, che mai come in questo momento viene meno tra i nostri cugini europei. Nei momenti di crisi, economica e sociale, vengono fuori gli individualismi, che significa difendersi da soli, ma che alla fine si traduce nel morire tutti insieme.
Qual è secondo lei la ricetta per impedire alle nostre aziende di andare fuori mercato?
È stata già individuata, cioè la possibilità per l’Italia di continuare ad indebitarsi, utilizzando una fonte garantita, i famosi Eurobond. Sono dei prodotti importanti se emessi dall’Europa, perché diventano una garanzia per chi li acquista, ma se si emettono in debito esclusivamente all’Italia il rischio è che nessuno acquisti il nostro debito. I quindici giorni di tempo che si è presa l’Europa per emettere questo strumento pensiamo sia un fatto grave.
Cosa pensa dell’operato del Governo e delle richieste presentate all’Europa?
Gentiloni deve continuare a fare la sua parte e il Governo Italiano deve continuare ad alzare la voce, perché il rischio è che l’Italia potrebbe pagare un prezzo spropositato dopo questa crisi; le aziende potrebbero non riuscire a fare ripartire la macchina economica. Dobbiamo evitare, oltre il danno umano in termini di salute, anche il danno della possibile povertà nazionale.
Come sindacato come vi state preparando in vista di una ripresa?
Ci stiamo ragionando con Federmeccanica, Fim e Fiom per poter individuare una forma di collaborazione per fare in modo di salvare quante più aziende e posti di lavoro possibili. Ad esempio, l’idea che avevo lanciato prima della crisi sarebbe un rinnovo del contratto nazionale in una chiave moderna. Stabilire un periodo, anche di un anno, nel quale le aziende possano utilizzare le flessibilità.
Per esempio?
Prevedere il periodo estivo senza fermate generalizzate. Quindi certamente dare la possibilità al lavoratore, che ha necessità, di potere fare qualche giorno di ferie, ma al contempo evitare il blocco della produzione come è successo gli anni passati. Voglio mettermi alla prova su questo, come sindacato, insomma occorre veramente un Patto per la Fabbrica e per le aziende manifatturiere, e cogliere una opportunità che al momento vedo lontana. Non ci siamo ancora ripresi dalla crisi del 2008, con 300.000 posti di lavoro persi, il settore metalmeccanico e manifatturiero non può permettersi una ulteriore mazzata.
Emanuele Ghiani