Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Uil Basilicata Vincenzo Tortorelli, per chiedergli quali sono le prospettive della sua Regione in vista di una ripresa. Per il segretario, per affrontare concretamente le problematiche legate al Coronavirus bisogna riformare l’intero mondo del lavoro. Un salto di qualità che, per Tortorelli, almeno in parte è già possibile attuare subito.
Tortorelli, qual è la situazione in Basilicata?
Nella nostra Regione la situazione è delicata, tante piccole realtà sono in crisi: tutta la filiera dell’agricoltura nel Metapontino, il turismo. Anche le grandi imprese come Fca, Barilla, Ferrero, Eni, Total sono in difficoltà.
Come avete intenzione di affrontare il post-emergenza?
Abbiamo chiesto di creare un Fondo istituito dalla Regione in vista dell’uscita da questa situazione di emergenza per garantire la tenuta economica e sociale della Basilicata. Abbiamo bisogno di 200 milioni di euro per la riuscita del piano e per aiutare concretamente l’interna comunità.
Dove pensate di trovare queste risorse?
Abbiamo due investimenti importanti nella nostra Regione: una stazione petrolifera dell’Eni a Bigiano, e una della Total a Tempa Rossa. L’idea è di chiedergli degli anticipi sulle royalties dei prossimi 10 anni.
Quali sono le realtà industriali maggiormente colpite dalla crisi?
Il settore dell’automotive è in difficoltà e dal momento che produciamo macchine nello stabilimento Fca di Melfi, siamo di riflesso più svantaggiati dalla crisi del settore. Inoltre, il prezzo del petrolio è crollato e di conseguenza la regione ha meno entrate dalle royalities petrolifere. Anche la filiera dell’agroalimentare è in grande difficoltà, gli imprenditori agricoli non riescono a trovare lavoratori da impiegare nei campi, perché la maggior parte non lavora per paura del contagio.
La sicurezza sanitaria in agricoltura è molto carente?
Si, al momento non riusciamo a garantire una filiera sicura. Anche nei campi, i lavoratori non hanno a sufficienza tutti i dispositivi di protezione individuale (Dpi). Inoltre, non abbiamo le strutture adeguate, ad esempio non siamo ancora preparati a verificare quotidianamente la temperatura corporea dei lavoratori, quindi c’è molta incertezza nel determinare chi potrebbe essere ammalato e chi no. Non ultimo, come viaggiano questi lavoratori? Nei furgoncini salgono spesso in dieci per andare al lavoro, ma in questo modo non è possibile garantire le distanze di sicurezza.
Quindi non è solo un problema di risorse?
È anche un problema di sistema, di organizzazione del lavoro. Oggi il mondo produttivo si deve riorganizzare, pensare un nuovo modo di lavorare. E nessuno è preparato. Tutti pensano che il mondo del lavoro tornerà come prima, ma non andrà così. Cambieranno i rapporti, il modo di lavorare, i tempi, gli spazi. La società, e anche il nostro territorio, non sono preparati culturalmente a questo. In Cina, quando hanno ripreso a lavorare, erano presenti efficienti controlli, le misure di sicurezza garantite, attrezzature adeguate, i locali sanificati e così via. Dobbiamo prendere esempio da loro.
Come si può fare?
Prima di tutto, servono le regole che stabiliscano come bisogna agire nel concreto. È necessario costruire una nuova legislazione in merito, che metta al centro le misure di sicurezza all’interno del mondo produttivo. Questo insieme di disposizioni, costruito dall’impresa e dal sindacato assieme, serviranno non solo ad assicurare la sicurezza ma di conseguenza anche la continuità produttiva.
Il sindacato come può muoversi?
Ad esempio si potrebbero costituire commissioni a carattere bilateriale all’interno degli stabilimenti, con i rappresentanti della sicurezza delle imprese e dei sindacati, ma questo non basta. Per essere realmente efficaci contro la pandemia, è necessario che partecipino a queste commissioni degli esperti scientifici, come ad esempio i virologi; il loro contributo è essenziale, insieme alle parti sociali, per riuscire a riorganizzare efficacemente, dal punto di vista sanitario, il processo produttivo.
Cosa pensa del protocollo di sicurezza firmato da sindacati e governo?
Penso non sia ancora sufficiente. Il decreto 81, che garantisce la sicurezza nei luoghi di lavoro, è sicuramente un testo valido ma la sicurezza non si fa solo per decreto. È necessario agire nel concreto attraverso investimenti importanti, sia per quanto riguarda il sistema sanitario, sia per la messa in sicurezza di tutti i luoghi di lavoro. Inoltre, è fondamentale la protezione del lavoratore dal contagio da quando esce di casa fino al posto di lavoro. Ecco perché servono nuovi protocolli, regole, buonsenso, percorsi organizzativi; il punto è mettere al centro la salute nel mondo del lavoro.
Si riuscirà a riorganizzare il mondo del lavoro in tempi brevi?
Non riusciamo ancora a fornire le mascherine a tutti gli operatori sanitari, quindi sarà molto difficile essere celeri su questo ma dobbiamo riuscirci. Il ministro Speranza ha prorogato fino al 13 Aprile i provvedimenti di restrizione, ma non penso che potremo permetterci il lusso di far ripartire la macchina economica al 100% senza i dovuti controlli, i dispositivi di protezione individuale (DPI), protocolli, regole e via dicendo. Sarà un processo graduale, perché altrimenti il rischio è tornare in piena emergenza dopo qualche mese dalla ripresa delle attività.
Dove si potrebbe intervenire fin da subito per migliorare la sicurezza dei lavoratori?
Si potrebbe già intervenire sul cambio turni in fabbrica, nei call center, in tutte quelle realtà che prevedono un grande assembramento di persone. Di norma, centinaia di lavoratori entrano ed escono contemporaneamente al cambio turno, ma non è più pensabile una tale promiscuità. Per impedire che ciò accada, bisogna cambiare l’orario di ingresso e uscita, installare scanner termici all’entrata di cancelli, spostare le postazioni per garantire una distanza di sicurezza, programmare le sanificazioni dei locali. Tutto questo si può già fare nel breve periodo. Infine, bisogna rivedere la mobilità, ma questo è un processo più lento.
Cosa intende quando propone di cambiare la mobilità?
In Basilicata abbiamo un elevato numero di lavoratori pendolari e l’80% del trasporto è su gomma. In un pullman normalmente salgono 50 persone, ma in questo modo non si garantisce il distanziamento sociale. Quindi bisognerà usare due pullman con a bordo 25 persone ciascuno, in modo da avere più spazio di sicurezza all’interno del mezzo. Il problema che costerà molto raddoppiare le corse alle imprese, ai lavoratori ealla Regione.
Si potrebbero usare i treni, aumentare le corse o i vagoni ad esempio.
Magari, ma non abbiamo treni o vagoni a sufficienza, in Basilicata il sistema ferroviario funziona male, è fermo da anni. A volte non abbiamo neanche i binari o addirittura le stazioni, come a Matera.
Il sindacato è stato messo in grado di lavorare dalla politica per fare fronte all’emergenza?
Negli scorsi anni i governi, da Berlusconi a Renzi, hanno tagliato le risorse ai patronati dei sindacati. Ma adesso la situazione sta cambiando. Il premier Conte ha annunciato che il governo vuole collaborare con i patronati, ma attualmente sono in grave difficoltà. I patronati cercano di dare assistenza come possono alla cittadinanza, nonostante le risorse limitate. Per esempio, recentemente è partito il bonus per le partite iva e il sito dell’Inps è andato il tilt, ma il patronato era presente a raccogliere le istanze dei lavoratori, con tutte le difficoltà del caso.
Emanuele Ghiani