Lontano, in fondo al tunnel, in maniera quasi indistinta, ma qualche luce si comincia a vedere. La pandemia è ancora fortissima, ma qualcosa inizia a girare nel verso giusto. Soprattutto la forza dei contagi comincia a rallentare. C’è perfino chi annuncia la fine di questa prima fase, il momento in cui ci saranno decessi zero, e questa data viene indicata come abbastanza vicina. Merito dei grandi sforzi che tutti gli italiani stanno facendo, della loro reclusione in casa, delle loro rinunce, piccole e grandi. Ci stiamo accorgendo che presto o tardi torneremo a una vita normale. Piano piano, beninteso, perché anche nel momento in cui il pericolo sarà diminuito non sarà possibile che tutto riprenda immediatamente come prima. Si comincerà con grande lentezza e attenzione e non sarà una cosa facile o breve.
E parallelamente al sospiro di sollievo che, pur tra mille cautele, ci apprestiamo a fare, cresce la paura per quello che ci attende nel domani. Sarà una prova durissima, perché l’economia è a terra e farla risalire non sarà facile. Basta un dato tra i tanti: nel primo trimestre dell’anno la produzione industriale è caduta del 5,4% rispetto al trimestre precedente. Nel solo mese di marzo la caduta è stata del 16,6%. E siccome le fermate, dei consumi e della produzione, sono iniziate dopo la metà di febbraio e via via si sono fatte più sostanziose, c’è da credere che la caduta sarà davvero pesante. Parallelamente salirà, per le spese che si dovranno sostenere per gli aiuti necessari, il debito pubblico, fino, dicono le stime, al 150% del valore del Pil. Una tassa enorme, perché gli interessi che saremo chiamati a pagare saranno fortissimi, lasciando poche briciole per tutto il resto. Non come prima, molto peggio di prima.
Sono già allo studio le misure per recuperare il terreno perso. Si pensa che sia possibile eliminare o ridurre drasticamente la consistenza del periodo di chiusura estiva, nella considerazione che un fermo, almeno per gran parte delle attività, lo stiamo vivendo adesso. Molto si spera da un effetto rimbalzo, dal fatto che molte spese, soprattutto quelle più consistenti, sono state rimandate per causa di forza maggiore, ma una volta rientrati più o meno nella normalità queste riprenderanno con più forza. Il più spetterà comunque al governo, alle misure che si stanno studiando per tonificare l’economia, per ridurre i rischi, alzare i consumi, quindi far trovare alla produzione campo aperto.
Detto ciò, è chiaro a tutti che tante aziende non riapriranno più i battenti, l’impegno dell’esecutivo è stato quello di assicurare che non ci saranno licenziamenti per colpa del Covid19, ma tante aziende chiuderanno, perché escluse dalla catena di produzione, perché il loro posto sarà preso da altre imprese, non necessariamente italiane. Nessuno è in grado di quantificare questa scomparsa, ma sarà consistente, almeno questo è quanto affermano gli esperti che provano a gettare lo sguardo più lontano. E tra i lavoratori che perderanno il posto ci saranno purtroppo tanti di coloro che sono già ora al margine del mercato del lavoro, chi non ha un contratto a tempo indeterminato, le partite iva, i collaboratori, chi insomma, già oggi ha meno diritti degli altri. Un’ingiustizia, è vero, ma questa sarà la realtà. Sarebbe bene cominciare a fare i conti con questa prospettiva.
Cambieranno tante cose e tra queste anche le relazioni industriali, che però, questa è l’anomalia, mentre tutto il contesto peggiorerà, cambieranno in meglio. Innanzitutto sono destinate a divenire più centrali di quanto non fossero negli ultimi anni all’interno dell’impresa. Le relazioni industriali erano tra le funzioni aziendali meno interessanti, si dava loro un peso molto modesto, tutta l’attenzione era rivolta alla finanza, alla vendita, alla cura del cliente. La crisi ha fatto capire a tutti come le persone siano centrali, fondamentali in azienda ed è credibile che questa attenzione non scemi nel prossimo futuro.
Poi è probabile che le relazioni industriali si caratterizzino sempre più per un tasso di partecipazione più alto. Le imprese hanno preso atto degli ottimi risultati che ha avuto, nel corso della crisi, l’intensa correlazione tra le rappresentanze del lavoro e della produzione. Quanto di buono è stato fatto è avvenuto grazie a questa azione congiunta, nei confronti del governo al livello nazionale, ma anche delle istituzioni territoriali. Sindacati e imprese hanno litigato tra di loro, spesso e volentieri, ma al momento di fare pressioni sono stati coesi e questo ha portato buoni frutti. E’ difficile credere che tutto ciò sparirà dopo la pandemia. Naturalmente non si sa dove ci condurrà questo riavvicinamento, quali forme di partecipazione saranno avviate, ma qualcosa di nuovo certamente ci sarà.
E allo stesso modo non finirà qui la collaborazione che c’è stata tra parti sociali e istituzioni. Non tornerà la concertazione come la conoscemmo negli anni novanta, ma la disintermediazione che ha avuto tanta fortuna in questo decennio non tornerà più. Forze sociali e politiche hanno capito che la collaborazione è necessaria, che porta buoni risultati, e rinunciarvi sarebbe dannoso per tutti.
È poi possibile, come ha scritto su Il diario del lavoro con la solita acutezza Maurizio Castro, che ci sia una vera e propria rimappatura delle relazioni industriali, che diventino centrali e abitudinali nuove forme di contratto, nuove organizzazioni del lavoro, nuove gestioni del tempo di lavoro. Le relazioni del lavoro erano ferme da anni, anche perché le parti sociali non credevano nella loro forza, nella loro capacità creative. Lo sforzo fatto in queste lunga e cattiva emergenza ha con tutta probabilità abbassato queste paure, ha alzato l’autostima del sindacato e delle organizzazioni datoriali. Qualcosa di nuovo arriverà certamente.
Massimo Mascini