“Oggi l’Unione europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro ma quello del mondo intero”, si è espresso così nel giorno di Pasqua Papa Francesco nel suo forte richiamo ai doveri che si devono assumerne in un periodo tanto drammatico per la comunità mondiale. Fa effetto sentire da un Papa l’accostamento del destino europeo a quello mondiale, anche perché esso è scomparso da tempo nella dialettica politica, litigiosa e di breve respiro, che ha impegnato i governanti dell’Unione Europea. Si pensi solo al confronto-scontro sugli Eurobond ed a quello, davvero stucchevole e provinciale, sul Mes in Italia. Quel richiamo invece invita a guardare oltre le attuali…gravi emergenze.
Ci spinge a capire che i nostri atti vanno proiettati necessariamente, a causa proprio della pandemia, nella ripresa di un ruolo europeo e non consegnati ad una dolorosa ed incerta cronaca cui ci costringe l’epidemia. Si tratta di capire come ripartire, non tanto per cullare l’illusione che tutto torni come prima, non sarà così, quanto per ritrovare le ragioni di un impegno forte in grado di ricostruire, di andare avanti in un percorso che dia nuovamente fiducia e impedisca nuove diseguaglianze.
E’ inevitabile che i prossimi mesi saranno decisivi per le sorti economiche e sociali. E qui potremmo fare una prima osservazione: l’economia attuale, capitalistica, potrà reggere solo se saranno rivalutati , rafforzati e perfezionati alcuni fondamentali servizi pubblici. In primo luogo la sanità. L’epidemia ci ha colti impreparati, vero, ma in alcuni casi anche a causa di uno smantellamento (o nei Paesi anglossassoni di una netta prevalenza della sanità privata) più o meno consistente del Servizio sanitario pubblico. L’idea maturata nella Unione Europea di dedicare risorse specifiche e senza condizioni alla Sanità è positiva, ma dovrebbe essere proiettata per comune accordo oltre l’emergenza, per costituire il primo pilastro di un rinnovato Stato sociale europeo. Anche perché abbiamo compreso a nostre spese, purtroppo, che dalla salute di ognuno dipende quella di tutti. Non possiamo ignorare che dopo il distanziamento, le mascherine, i guanti e così via va ricostituito un Servizio sanitario pubblico efficiente; Inoltre va restituito un maggior valore ad una etica di comunità che abbiamo forse un po’ troppo dimenticato. Si è osservato in questi giorni: la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta è finita, ora si apre un altro capitolo. Di certo in esso dovrebbe posto una nuova … globalizzazione sanitaria, per evitare se non altro di essere colti di sorpresa da ulteriori e pandemie. Se non fosse così saremmo davvero assai miopi.
Anche per questo motivo è la politica che deve assumersi nuove e più stringenti responsabilità nel condurre i Paesi fuori da questa drammatica situazione. L’Unione Europea a fatica sta approntando misure che avremmo definito imponenti in altre epoche e che oggi paiono perfino appena sufficienti a farci superare l’emergenza. Ma solo questa constatazione dovrebbe spingere i Governi ad uscire da sterili nazionalismi ed egoismi e ricominciare a tessere politiche più solidali e lungimiranti. “coprire” il 2020 è fondamentale per evitare un disastro, ma far finta che successivamente si possa rientrare tutti a coltivare i propri orticelli sarebbe colpevole. Oggi le risorse che vengono messe in campo sono a debito, ma a differenza del passato questa è una strda obbligata ed inoltre sono sufficientemente sostenibili perché gli attuali tassi sono bassi e perché la Bce farà la sua parte. Nel 2020 acquisterà di sicuro più di mille miliardi di titoli pubblici, probabilmente quasi 150 miliardi di casa nostra in grado di coprire il fabbisogno derivante da questo momento eccezionale. Naturalmente il Pil è destinato a scendere e di molto: se in Germania stimano un probabile -9%, da noi il salasso potrebbe anche essere superiore. Ma non tutti i settori subiranno la futura e dura crisi allo stesso modo e molto dipenderà da quali tipi di mercati avremo a che fare nei prossimi mesi. Quello che va evitata è la mancanza di strategia, magari surrogata da qualche strumentalizzazione sui dati. Quello di cui c’è bisogno allora è di una chiara direzione delle scelte e dei comportamenti che non può essere appaltata sic et simpliciter ad una task force ma che deve scaturire da un confronto nel merito dei problemi che veda davvero impegnati Governo, opposizioni, forse sociali. Ed intanto vanno coordinate ad esempio le pressioni ad aprire le imprese ad un disegno di ripartenza dell’economia italiana. Quelle spinte sono determinate da esigenze comprensibili certo, ma vanno armonizzate non solo con misure efficienti per garantire la sicurezza dei lavoratori, che resta prioritaria, ma anche con la necessità di ridare una direzione di marcia alla economia reale.
In questo senso è fondamentale dare centralità al lavoro: l’Unione Europea ha destinato un fondo per i primi interventi relativi alla disoccupazione. Un primo passo ma ovviamente insufficiente. Sarebbe stato bene che il nostro Governo avesse su questo punto ingaggiato una forte battaglia per aumentare quelle risorse e finalizzarle a nuove politiche del lavoro comuni. Dopo la Sanità e’ il lavoro che deve diventare il secondo pilastro di un nuovo Stato sociale europeo. Se questa può essere la strada più utile da percorrere, sarà anche più facile ritrovare quelle solidarietà necessarie che finora sono mancate.
Si discute molto di quanto dovrà cambiare la nostra vita. Per mentalità, il sindacato preferisce da sempre ragionare su come realisticamente si… può cambiare. Balza agli occhi che proprio l’insorgenza di questo virus riporta in primo piano il nostro rapporto con l’ambiente, il rispetto della natura, il valore della ricerca. Ci siamo battuti da tempo come Uiltec per una industria che fosse amica dell’ecologia, mai come in futuro questa scelta appare giusta ed opportuna. Deve anche però salire nella graduatoria dei valori il richiamo alla solidarietà. L’esempio migliore viene dalla abnegazione mostrata dai medici e dal personal e infermieristico nella emergenza, cui va tutta la nostra gratitudine. Ma dobbiamo anche riflettere che questa pandemia ha colpito quelle generazioni di anziani che con i loro sacrifici e le loro lotte negli anni ’60, quando erano giovani, hanno fatto fare grandi passi in avanti alla dignità del lavoro ed ai diritti civili, si sono battuti per un Paese migliore e più solidale. Ed infine dobbiamo prendere atto che la pandemia ci lascerà una eredità pesantissima in termini di strati sociali ridotti in povertà ed ai quali non è giusto promettere solo una condizione di assistenza, ora indispensabile, ma non un futuro nel quale con il lavoro possano riprendere il loro posto nella società.
Al dunque siamo alle solite: fallimento o rinascita, dipende da noi. La situazione politica italiana non è certo quella che desidereremmo per tanti motivi. A cominciare purtroppo dalla manifestazione anche in questa occasione di una mediocrità che spinge a sua volta l’opinione pubblica a dividersi in tifosi o detrattori. Abbiamo invece la necessità di rivitalizzare la nostra democrazia. La pandemia non ce la può sottrarre di soppiatto, questo deve essere chiaro. Ed in questo scenario il ruolo del sindacato può essere importante perché la sua iniziativa non solo è in grado di articolare l’equilibrio dei poteri nella nostra società, ma perché le sue proposte e l’animazione del tessuto sociale possono impedir eventuali derive verso autoritarismi di ogni genere. C’è molto da fare e va fatto con passione, senso del dovere, voglia di risentirci tutti, nuovamente padroni della nostra sorte.
Paolo Pirani