I servizi sanitari di gran parte dei paesi del mondo hanno mostrato una estrema fragilità nei confronti della diffusione del Virus Sars CoV 2. Sono mancate, infatti, tutte quelle misure di contrasto alla diffusione del contagio che erano previste nei piani pandemici elaborati dai diversi paesi su indicazione della OMS, a seguito delle due epidemie da Sars Cov 1 e Mers, ma che nessuno aveva implementato in specifici piani operati
Nel nostro paese l’infezione non si è trasformata in una vera strage solo perchè l’epicentro ha interessato le tre regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) da tempo considerate le eccellenze in campo sanitario; ben diverse sarebbero state le conseguenze se l’epicentro fossero stato invece le regioni del centro sud.
Eppure, laddove l’epidemia è stata più virulenta, la regione che ha riportato un numero di contagiati e di decessi più elevato, è stata proprio quella con il servizio sanitario più “efficiente” dal punto di vista dell’assistenza ospedaliera ma con un sistema di cure primarie e di servizi di prevenzione assolutamente carente. Un dis-equilibrio tra medicina dell’attesa e medicina dell’iniziativa che è stata la conseguenza di ben precise scelte del decisore politico regionale.
Le altre due regioni Veneto ed Emilia Romagna, dove invece il sistema di medicina dell’iniziativa non è stato sacrificato a vantaggio di quello ospedaliero, hanno saputo invece contenere la diffusione del contagio limitandone i danni in termini di numero di ricoverati e decessi
Di questa evidenza bisogna tenere massima considerazione non per attribuire patenti di responsabilità a chicchessia ma per impedire che i prossimi interventi necessari alla gestione dell’epidemia si dimostrino di scarsa utilità
E’ infatti orami chiaro come l’epidemia non possa essere considerata un evento isolato ma piuttosto come una condizione con cui convivere per un periodo che potrebbe andare anche oltre il 2021. Serva allora una strategia di lungo respiro e scegliere dove indirizzare le risorse che saranno reperite, MES o non MES permettendo
Abbiamo più volto denunciato come i tagli perpetrati in questi ultimi 15 anni al nostro SSN ne abbiano fortemente compromesso le capacità di offrire servizi adeguati in grado gestire le patologie correnti e ancora meno, come dimostrano i fatti odierni, quelle emergenti
I tagli tuttavia hanno inciso in maniera diversa sui due sottosistemi in cui si articola il nostro servizio sanitario nazionale. Il Prof Mapelli ha recentemente sostenuto ( Quotidiano sanità del giorno 27 marzo 2020) come il nostro sistema ospedaliero non sia in declino e come il “ridimensionamento della rete ospedaliera sia la conseguenza” non del sottofinanziamento ma “dei profondi cambiamenti introdotti dalla nuove tecnologie sanitarie (farmaci, diagnostica, chirurgia) e dell’organizzazione dei servizi intra ed extraospedalieri che hanno indotto un crollo della domanda di ricovero”, E a riprova di ciò apporta il dato di come “gli stessi cambiamenti hanno attraversato altri paesi che non avevano problemi di deficit o debito pubblico come il nostro”
I tagli tuttavia (non solo relativi agli aspetti finanziari, ma anche e forse soprattutto a quelli di tipo programmatorio) sono stati pesanti e, se hanno inciso in modo limitato il sistema ospedaliero, non altrettanto hanno fatto sui servizi di prevenzione (praticamente scomparsi in alcune realtà regionali) e sul sistema di cure primarie. Fatto quest’ultimo testimoniato dal terribile bilancio di medici morti (oltre 105) di cui molti medici di famiglia contagiati e deceduti perché privi di qualunque protezione nei confronti del virus
Quale deve essere allora la nostra strategia per affrontare la fase di uscita dal lockdown che non significa la fine dell’epidemia?
Non può essere di sicuro il potenziamento esclusivo della rete ospedaliera. E a tale riguardo emblematico appare il caso dell’inutile ospedale costruito in tempi record alla Fiera di Milano. Oltre 20 milioni di spesa con nessun ricovero a fronte alla situazione drammatica in cui versano tutte le RSA della regione dove i degenti, per carenze strutturali e strumentali, sono stati messi a diretto contatto e senza protezione alcuna con pazienti affetti da COVD. Le risorse investite per costruire quell’inutile cattedrale del deserto, voluta dal presidente Fontana a glorificazione dell’imprenditorialità della sua giunta, non potevano essere impiegate in un modo migliore pe colmare le ben più gravi carenze del servizio sanitario extra ospedaliero?
Un tale atteggiamento di considerare la risposta ospedaliera l’unica in grado di contenere e risolvere la diffusione dell’epidemia rischia dunque di essere in realtà di nessuna utilità e controproducente per lo spreco di risorse che comporta
Al contrario ritengo che da rafforzare sia invece la fase territoriale di gestione dell’epidemia, anche perché oltre l’80% dei pazienti non necessita di ricovero ospedaliero potendo essere trattato a domicilio. E allora si pone il vero problema di come organizzare un moderno sistema di assistenza di quei malati ( la stragrande maggioranza) che, pur non necessitando di ricovero ospedaliero, hanno comunque bisogno di un’assistenza adeguata; un’assistenza finora loro negata come dimostrano le drammatiche testimonianze dei parenti di molti anziani deceduti a casa nel Bresciano totalmente abbandonati a loro stessi.
Il ministro Speranza ha proposto 5 direttive per affrontare la fase 2 del contagio di cui ho già parlato in un mio precedente articolo sul “il diario”. Nulla ha ancora detto sull’integrazioni tra gli ospedali COVID, le equipes territoriali che dovranno assistere i pazienti e i Medici di famiglia dei singoli pazienti.
Sarebbe invece fondamentale un centro unico di coordinamento tra questi diversi soggetti e dei diversi momenti della cura (dall’ospedale al territorio o viceversa) per evitare quella frammentazione degli interventi che ha segnato il fallimento sanitario della Lombardia
L’ISS (Istituto Superiore di sanità) ha recentemente licenziato delle linee guida per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID tramite gli strumenti della telemedicina. Possono essere utilizzati a tale scopo una serie di device altamente versatili, di basso costo e semplicità d’uso che consentono la trasmissione a remoto di numerosi parametri vitali (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, concentrazione dei gas del sangue, emoglobina, ECG). La telemedicina già utilizzata con successo in molti paesi africani come su molte navi passeggeri, ma da noi sconosciuta, consente un effettivo monitoraggio delle condizioni cliniche dei pazienti e un loro controllo a remoto. E’ dunque un tipo di assistenza particolarmente utili per pazienti COVID e più in generale per tutti quelli, come gli anziani e i pazienti con pluri-patologie che non hanno assoluta necessità del ricovero ma non possono gestire da soli la propria condizione di salute.
Le informazioni veicolate dagli strumenti devono essere valutate e gestite da personale dedicato e che l’ISS identifica, a seconda della complessità del caso trattato, nell’infermiere o nel medico. Si tratta dunque di costituire equipes di infermieri e medici con competenze informatiche (dipendenti dal distretto, dall’ospedale COVD o in convenzione) che dovrebbero entrare a fare parte a pieno titolo delle equipes delle cure primarie per la gestione dei pazienti COVID. Per rendere omogene tale equipes sarebbe allora opportuno un unico contratto di lavoro o per lo meno un contratto quadro dove fare convergere gli istituti previsti dai CCNL della Dipendenza e gli ACN della medicina convenzionata (Medici di famiglia e specialisti ambulatoriali). La parte pubblica ovviamente metterebbe a disposizione i device, la piattaforma informatica, il personale con competenze informatiche e le strutture fisiche dove organizzare il servizio.
Un tale sistema decentrato a livello territoriale ma accentrato per quanto riguarda la gestione dei dati e il monitoraggio dei pazienti potrebbe gestire in modo efficiente anche il tracciamento dei pazienti inseriti nelle procedure di controllo tramite APP e svolgere quelle indagini epidemiologiche sui possibili contatti dei positivi che in altri paesi hanno consentito il controllo in tempi rapidi del contagio
La rifondazione del nostro sistema sanitario non nasce a mio giudizio dalla riapertura di vecchi ospedali come il San Giacomo o il Forlanini ( in presenza peraltro nella stessa città metropolitana di un ex ospedale di 230 posti letto come il NORM, attualmente totalmente sottoutilizzato o dello stesso Eastman oggi riadattato a COVID) ma dal potenziamento della rete dei servizi territoriale e ancora di più delle cure domiciliari e dell’ospedalizzazione a domicilio, oggi possibile con la telemedicina.
La rinascita del SSN è inoltre legata al potenziamento dei servizi di prevenzione e di promozione della salute per la gestione oggi di contatti COVID ma più in generale per lo sviluppo di politiche pro attive e per la prevenzione delle riacutizzazioni di pazienti con patologie croniche
La crisi sarà dura e per certi versi devastante con una perdita stimata del PIL del 9%. Dobbiamo attrezzarci per ripartire quando le condizioni ce lo permetteranno, ma dobbiamo soprattutto fare tesoro degli insegnamenti che questa drammatica vicenda in ogni caso ci lascia
Ripercorrere vecchie strade, ripuntando tutto sull’assistenza ospedaliera o lasciando i servizi territoriali nella situazione attuale di non governo senza sfruttare i vantaggi che la tecnologia ci offre sarebbe un errore imperdonabile che non possiamo assolutamente permetterci.
Roberto Polillo