È successo altre volte in Italia: quando le forze politiche non ce la facevano a rappresentare i bisogni prioritari del Paese lo hanno fatto insieme le forze sociali e le istituzioni di Governo. Agli inizi degli anni 90 si chiamava “concertazione”. Oggi la si può chiamare come si vuole, ma siamo di nuovo di fronte all’esigenza urgente che si concluda un Patto tra Governo e forze economiche e sociali. Un Patto per come uscire dall’emergenza (sanitaria, economica, sociale) e avviare una ripresa sostenibile (ambientalmente, socialmente, economicamente).
Il Patto deve evitare che il paese si spacchi su quali attività produttive e di servizio sono essenziali e quindi vanno fatte ripartire subito. E su quali siano le indispensabili condizioni di sicurezza per chi vi lavora: che non possono essere in nessun caso affidate alla “buona volontà” del datore di lavoro (o al dolo del lavoro in nero e insicuro purché sia). La “Commissione Colao” può elaborare un’ipotesi ma è essenziale che quella proposta sia concordata con le forze economiche e sociali e diventi oggetto di una intesa non solo “tecnica”. Anche ad evitare che il giorno dopo ogni Regione si ritagli le sue “autonomie differenziate”. Mai è successo che un obiettivo amministrativo così ambizioso si rilevasse un gioco tanto disastroso – e penoso – come accaduto in questi pochi mesi.
E poi lo sviluppo. Non c’è dubbio che sono necessari interventi di integrazione e sostegno dei redditi per chi ha perso il lavoro o chi è entrato in povertà e non c’è dubbio che questa azione indispensabile costerà molto. Ma nel Patto ci devono essere le linee guida per lo sviluppo (non solo per la necessaria assistenza), perché non tutte le imprese di ieri saranno in grado di sopravvivere dopo “la peggiore recessione dopo la crisi del ’29. Bisogna creare nuovo lavoro e nuove imprese che rispondano ai bisogni che si sono determinati o acuiti con questa crisi. La sanità ha bisogno di nuove strutture per l’emergenza ma anche di una rete territoriale di servizi e operatori che non esiste se non in alcune ridotte aree del Paese. L’assistenza deve essere soprattutto domiciliare (anche quella sanitaria non per acuzie). Ci vuole una legge per la non autosufficienza ma la solitudine in autosufficienza richiede anch’essa lavoro, interventi e tecnologie di assistenza. Stiamo osservando in questi giorni l’emergere di un paradosso (per fortuna positivo): i giovani si offrono di fare assistenza volontaria gratuita e lo Stato sta pensando a forme di sostegno al reddito senza una prestazione di lavoro. Perché non unire le due cose in una nuova forma generale di “servizio civile”? Poi le infrastrutture necessarie. Nel Patto non serve il dettaglio ma un indirizzo condiviso per far riaprire i cantieri in sicurezza e legalità su grandi opere di costruzione e ricostruzione e piccole opere di manutenzione. Infine anche le città andranno ripensate (rigenerate) da un’edilizia non solo più verde ma anche più sociale e di comunità. Almeno a partire da questi titoli è necessario che ciascun soggetto sociale ed economico si assuma le proprie responsabilità: di fronte al Paese, non solo ai propri iscritti. E faccia la sua parte in maniera condivisa e coordinata. Ecco perché un Patto è necessario: perché darebbe al Paese l’idea che siamo finalmente usciti almeno dalla crisi della rappresentanza sociale e politica.
Gaetano Sateriale