Il diario del lavoro ha chiesto al segretario generale della Uila, Stefano Mantegazza, qual è la situazione dell’industria alimentare sul fronte del rinnovo del contratto nazionale. Il segretario ha spiegato come la trattativa sia stata interrotta da Federalimentare e di come sia deluso e al contempo pronto alla lotta insieme a tutti i sindacati del settore per riaprire il negoziato. Inoltre, Mantegazza ha descritto quali sono i problemi urgenti del settore agricolo, che se non risolti rapidamente potrebbero portare a un cortocircuito dell’intero comparto.
Mantegazza, come procede la trattativa per il rinnovo del contratto dell’industria alimentare?
Male. Le relazioni industriali con la controparte si sono incrinate. Proprio ieri abbiamo fatto una consultazione online con tutti i segretari nazionali e regionali di Fai, Flai e Uila, quindi la spina dorsale delle tre organizzazioni, proprio per discutere e analizzare lo stato della trattativa e capire come muoverci. Alla fine, abbiamo deciso di riprendere, a partire dal prossimo 9 maggio, tutte le iniziative di mobilitazione e di lotta, come il blocco degli straordinari e delle flessibilità attive, che avevamo sospeso lo scorso 10 marzo.
Le relazioni industriali nel vostro settore sono sempre state ottime, che cosa è successo di così grave?
Ai primi di marzo avevamo accettato la proposta di Federalimentare di sospendere le nostre azioni di lotta, sia per il progredire dell’epidemia che per la promessa dell’associazione di riprendere le trattative l’8 aprile. Quando siamo arrivati all’8 aprile, ci hanno chiesto ancora una settimana di tempo per definire la data effettiva di ripresa del negoziato e il 15 aprile ci hanno comunicato che la data non c’è e non ci sarà. Insomma, Federalimentare ci ha rifilato un bel “bidone”.
Quali spiegazioni vi hanno comunicato per il blocco delle trattative?
Che nelle complesse condizioni attuali del Paese, il sistema delle imprese non ha modo nè tempo di riflettere sulla conclusione di questo negoziato. Le loro motivazioni sono così banali che non vale neanche la pena riprenderle. Ma la ferita più grave è stata inferta ai lavoratori.
Perché?
In queste settimane, le lavoratrici e i lavoratori dell’industria alimentare hanno tutti, con grande impegno, garantito i prodotti sugli scaffali dei supermercati. Noi li definiamo “eroi del quotidiano”. Persone che si sono recate comunque al lavoro, nonostante la paura del contagio, anche in contesti sociali complicati come la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, o l’Emilia-Romagna, quando la maggioranza delle persone stava a casa. Sono persone che andrebbero premiate per questa loro abnegazione, anche con il rinnovo del contratto.
Quali altre azioni di lotta avete deciso di mettere in campo?
Abbiamo deciso di scrivere come segretari generali a tutte le aziende aderenti a Federalimentare. Quindi invieremo una informativa diretta per comunicare a queste imprese che siamo molto contrariati da questa situazione. Inoltre, vogliamo scrivere a tutti i 450.000 lavoratori dipendenti, dal momento che si aspettano il rinnovo del contratto; li informeremo che il loro diritto è stato negato ed è quindi necessario mettere in piedi una serie di azioni di lotta e di pressione per far valere i loro diritti. Infine, immaginiamo una campagna di informazione sui social, perché bisogna fare sapere ai consumatori che i sacrifici dei lavoratori del settore alimentare non vengono ripagati.
Gli altri settori chiudono accordi più sul versante dei protocolli di sicurezza piuttosto che sul contratto nazionale, perché la vostra situazione è diversa?
Perché questa dinamica noi l’abbiamo già vissuta, dato che il settore alimentare non ha mai chiuso. Quindi tutto il tema dell’organizzazione del lavoro e della sicurezza in fabbrica l’abbiamo già affrontato, adeguandolo giorno per giorno, azienda per azienda. Ci sono settori, come per esempio la Moda, che essendo rimasti completamente chiusi, nel riaprire dovevano definire una serie di regole sulla sicurezza. Inoltre, la trattativa per il rinnovo del contratto per l’industria alimentare era vicina alla sua conclusione e adesso abbiamo l’esigenza di chiudere questa partita.
Qual è la situazione sanitaria del settore alimentare?
Non abbiamo notizie di casi di Covid-19 di particolare virulenza. A dimostrazione del fatto che le soluzioni trovate dal sindacato, salvo episodi che comunque ci possono essere in questo contesto, sono state complessivamente efficaci per la tutela della salute dei lavoratori.
Cambiando settore, recentemente è nata la proposta di fare una sanatoria per i lavoratori agricoli in nero, qual è la sua opinione al riguardo?
La reputo una proposta opportuna, bisogna dare un volto ai tanti fantasmi del settore agricolo, inoltre diminuirebbe il rischio di ulteriori contagi. Ma questo discorso non ha nulla a che vedere con le esigenze delle prossime settimane per il settore agricolo. Siamo alla vigilia delle campagne di raccolta e alle pubbliche amministrazioni servirebbero mesi per regolarizzare tutti i lavoratori.
Si è molto discusso in questi giorni sulla grave carenza di manodopera, di braccianti, nell’agricoltura, la situazione è così tragica?
Non c’è una grave carenza, la realtà è molto diversa da quella proposta tutti i giorni sulla stampa. Dalle stime nostre e dell’Istat, i braccianti che hanno lavorato a marzo di quest’anno sono solo il 6% in meno rispetto a marzo del 2019; una carenza riscontrata soprattutto nelle regioni del Nord Italia, che stimiamo in 40-50.000 unità complessivamente. Quindi non si capisce con quale nesso logico le parti datoriali chiedano l’introduzione di ulteriori strumenti come i voucher.
Quindi la situazione occupazionale in agricoltura è gestibile?
Assolutamente si. Però bisogna mettere in condizione di lavorare ai milioni di italiani che in questo momento sono in cerca di occupazione. Ad esempio, basterebbe incrociare l’offerta di lavoro delle persone iscritte ai centri per l’impiego, che sono in cassa integrazione, percepiscono il reddito di cittadinanza o la disoccupazione, con la domanda di lavoro delle imprese agricole. Ecco perché pensiamo sia indispensabile un adeguato sistema informatico che concretizzi l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in agricoltura e che mandi finalmente in soffitta i caporali, che paradossalmente sono ancora i soggetti più efficienti per quanto riguarda l’intermediazione del lavoro.
L’emergenza ha anche limitato gli spostamenti, quanto ha influito sul settore agricolo?
È un altro collo di bottiglia per quanto riguarda il tema dell’occupazione. I braccianti non possono più viaggiare in macchina in cinque per recarsi al lavoro per via delle limitazioni imposte. questo aumenta il costo del trasporto e alcuni rinunciano a lavorare perché è poco redditizio. Un altro problema sono gli spostamenti interregionali. Molti braccianti seguono il ritmo delle campagne di raccolta, spostandosi da regione in regione a seconda delle richieste stagionali ma, purtroppo, la mobilità interregionale è ancora vietata. Infine, esiste il problema degli alloggi per i braccianti che si trasferiscono, spesso per qualche settimana, in aziende lontane dalle proprie abitazioni. La promiscuità che era accettabile fino a ieri oggi è diventato un problema e alcuni rinunciano per paura di essere contagiati.
Come si possono risolvere questi problemi?
Bisognerebbe aprire con i comuni e con le regioni un confronto molto rapido sul tema dei trasporti. Inoltre, vanno sostenute le aziende agricole nella messa in sicurezza degli alloggi che devono ospitare la manodopera agricola. Se si continua a fare demagogia e non si affrontano questi problemi reali, cioè la gestione informatica della domanda e offerta di lavoro, le modalità di trasporto e la sistemazione dinamica degli alloggi nell’epoca del Covid-19, rischiamo un cortocircuito dell’intero comparto.
Emanuele Ghiani