La pandemia è stata una vera cartina di tornasole per le relazioni industriali. Queste sono state determinanti per i momenti difficili del lockdown e tanto più lo saranno con l’avvio della fase 2. Ma è emerso anche come le liturgie del passato siano insopportabilmente obsolete. Adesso, afferma Marco Mondini, il responsabile delle relazioni industriali di Wind3, è necessario un passo in avanti, una revisione profonda della struttura del confronto sindacale. Potranno esserci tempi e modalità diverse, ma indietro non si torna.
Mondini, la pandemia ha cambiato le relazioni industriali?
Sicuramente il Covid ha dato alle relazioni industriali una cornice emotiva e logistica diversa. La necessità di dover gestire l’emergenza, di dover affrontare alcuni aspetti del rapporto di lavoro in un contesto imprevisto e imprevedibile ha fatto emergere aspetti positivi e negativi del mondo delle relazioni industriali.
La prova è stata dura?
Sì, soprattutto all’inizio. E qui si scoprono gli elementi positivi di questa esperienza. Perché è stato possibile trovare soluzioni organizzative per superare l’emergenza. Siamo stati in grado di adattare le norme contrattuali per mettere in sicurezza i lavoratori, ma anche consentire la continuità produttiva in una situazione particolarmente critica.
Cosa ha giocato a favore?
La volontà e la determinazione delle parti sociali.
Gli aspetti negativi invece?
Sono venuti fuori quando è stato chiaro che in costanza di pandemia non era più possibile assicurare alcune liturgie del passato, soprattutto quando l’obbligo del distanziamento ha reso impossibile il contatto fisico. Questo ha reso più complicati alcuni passaggi. Semplicissimi accordi, che potevano riguardare per esempio il godimento delle ferie piuttosto che altri aspetti, sicuramente importanti ma non strategici per le imprese, sono stati interpretati secondo gli interessi dei singoli e non sulla base di interessi più generali. In carenza di una presenza fisica tutte le piccole istanze che vengono elaborate nelle trattative sindacali hanno dovuto organizzarsi in un intreccio mediatico molto complicato.
Le liturgie sono sempre esistite nelle relazioni industriali.
Sì, certamente. Ma in questa esperienza si sono rivelate in tutta evidenza come prassi un po’ obsoleta che andrebbe migliorata a prescindere da questa emergenza.
Cosa altro è emerso da questa esperienza?
Noi, come altre aziende, da anni abbiamo introdotto e praticato, mediante accordi aziendali, lo Smart Work, ma questa recente evoluzione del lavoro non può definirsi esattamente Smart Work, piuttosto una forma di lavoro da remoto. Ad ogni modo, le parti sociali in questo periodo hanno adattato e utilizzato tutti gli strumenti contrattuali e normativi esistenti per far fronte all’emergenza, ma sarà comunque necessaria una attenta valutazione e riflessione su cosa si è fatto fino a oggi, e in particolare su come dovrà evolvere lo Smart Work o più in generale il lavoro da remoto. È un tema al centro dell’attenzione visto che si parla già e addirittura di un contratto specifico per questo lavoro e della sua evoluzione, finanche nella pubblica amministrazione.
Non è facile organizzare un lavoro da remoto.
Direi che in alcuni casi non lo è affatto, ma questa esperienza ha fatto sì che si riuscissero a fare cose ritenute non percorribili. Fino a poco tempo fa sembrava impossibile, ad esempio, far lavorare da remoto i lavoratori addetti ai Call Center, ma si è riusciti anche in questo caso, con difficoltà e aspetti da sviluppare e migliorare. Sarà indispensabile, tuttavia, e come accennavo prima, un successivo momento di analisi. Andranno trovate le soluzioni normative per tutelare le persone e le aziende, affinché la prestazione da remoto sia equiparabile a quella effettuata in sede anche sotto l’aspetto della valutazione e/o rilevazione. Tanto più per i lavori complessi, scarsamente “materializzabili” per i quali io credo che dovrà cambiare il paradigma che l’impresa e i lavoratori hanno utilizzato sino a oggi. Si dovrà guardare molto più agli obiettivi, alla delega e non tutti sono abituati a gestire questa nuova condizione, sia nel sindacato sia nelle aziende.
È questo il futuro delle relazioni aziendali, gestire un lavoro che sia programmato su obiettivi di rendimento?
Potrebbe essere, ma non è facile. Sicuramente, una volta usciti dall’emergenza del Covid, si valuterà in maniera più approfondita questo aspetto. E dovremo anche analizzare l’importanza dell’utilizzo della tecnologia nelle relazioni industriali: tenere le assemblee in forma virtuale, far votare i lavoratori da remoto in occasione dei referendum e così via. Novità importanti, che potrebbero cambiare le relazioni industriali.
Il sindacato come ha reagito in questa situazione di difficoltà?
Il Sindacato ha agito bene e ha dimostrato come fosse necessario che in questo momento le parti sociali andassero avanti quanto più possibile unite.
Non è stato facile.
Assolutamente no, soprattutto perché si è trattato di gestire una situazione del tutto nuova. Ma tutti hanno fatto del loro meglio, anche se nessuno era preparato interamente ad affrontare una situazione così inedita. Penso che questa sia l’occasione per incominciare a rivalutare il metodo nel suo complesso traendo spunto proprio da questa straordinaria occasione.
Le relazioni industriali hanno funzionato bene anche al livello interconfederale?
Sulla definizione del protocollo di marzo c’è stato un dibattito a tratti anche vivace, ma penso che il compromesso trovato sia assolutamente virtuoso. E del resto siamo stati gli unici in Europa a decidere con un documento firmato da parti sociali e governo come gestire il lavoro in costanza di emergenza. Un precedente molto importante.
Ma crede davvero possibile operare adesso un salto di qualità nelle relazioni industriali?
Sì, credo davvero che sia possibile. Direi di più, è doveroso. Tornare indietro, “integralmente”, alle precedenti modalità di lavoro sarebbe perdere un’occasione importante. L’emergenza ci ha costretto a modificarci, a pensare cose che prima sembravamo non fosse possibile sperimentare. È stato un vero cambiamento, come quello che insegnano nelle scuole di change management.
Ma ci riusciremo?
Io per natura sono ottimista. Non vedo perché non dovremmo riuscire. Magari i tempi e le modalità saranno diverse. Alcune aziende coglieranno i risultati prima di altre più tradizionaliste, per ragioni oggettive o per stili di management, è inevitabile. Ma la strada sembra tracciata.
Difficile tornare indietro.
Aziende (inclusa la Pubblica Amministrazione) che hanno messo in smart working il 70, 80%, 90% dei lavoratori come faranno domani a non prendere più in considerazione il lavoro da remoto?
Massimo Mascini