In Italia il turismo, con il suo indotto, rappresenta oltre il 12% del prodotto interno lordo e occupa circa 2 milioni di lavoratori, tra fissi e stagionali. Il blocco del settore per l’emergenza Covid-19 prospetta gravi conseguenze economiche e sociali. Le aziende turistiche sono chiamate a importanti investimenti sul piano delle dotazioni e dei processi per adeguarsi alle nuove norme sanitarie, con spese che si aggiungono a quelle fisse (per il lavoro, tasse, locazioni, utenze, ecc.) e inevitabili ripercussioni sui costi finali.
La minor competitività dell’offerta sarà aggravata dal crollo della domanda e degli introiti: nel 2020 arriverà solo una minima parte dei quasi 62 milioni di stranieri che generano una parte considerevole del fatturato di alberghi, ristoranti e tour operator, le cui perdite stimate arrivano al 70% rispetto all’anno scorso.
La reazione dei decisori istituzionali di fronte a questo scenario – e a quello più generale della crisi in atto – è basata su provvedimenti spesso confusi, adottati senza un adeguato coordinamento reciproco tra i vari livelli territoriali e senza un confronto adeguato con le parti sociali, in particolare con le rappresentanze dei manager ovvero delle persone che devono tradurre i provvedimenti in pratica e assumersene la responsabilità nei luoghi di lavoro.
Comprendiamo l’appello lanciato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 5 maggio sulla necessità di affrontare la fase 2 “rimboccandosi le maniche”: noi manager lo stiamo già facendo, insieme a milioni di lavoratori e di imprenditori di cui siamo il tramite operativo, la cinghia di trasmissione. Nel farlo auspichiamo ci sia un cambiamento di passo da parte del governo. Le esortazioni devono essere accompagnate da una reale mobilitazione delle competenze. L’ascolto di chi esercita sul campo le proprie responsabilità e professionalità deve generare una svolta concreta, non solo belle parole in discorsi di circostanza.
Servono misure eccezionali, comprensibili e veloci da attuare. Bisogna permettere a chi gestisce le imprese di agire nelle condizioni migliori, in contesto normativo chiaro, liberato dagli ostacoli della burocrazia. Per rimettere in moto la macchina, garantendo la salute di tutti, non possiamo contare solo su prestiti erogati tra mesi o su politiche di sostegno passive, su palliativi da conquistare superando labirinti procedurali.
Nel turismo, per cambiare passo si dovrebbe partire dal costo del lavoro, varando una misura straordinaria per ridurre del 24% il costo per le imprese di tutti i lavoratori e, nel contempo, aumentare il netto dei salari del 9%. Un intervento che, se venissero azzerati i costi della contribuzione previdenziale per la stagione estiva – per esempio da giugno a settembre – stimiamo potrebbe essere sostenuto erogando all’Inps 2,5 miliardi di euro per avere la liquidità per pagare le pensioni in essere e prevedere contributi figurativi per l’intero periodo decontribuito.
Ai lavoratori del settore, che avrebbero garantita l’occupazione con un salario addirittura più alto del normale, potrebbe venire chiesto un impegno straordinario per “salvare la stagione” e contribuire a sperimentare nuove formule organizzative, anche nell’ottica di innovare l’offerta, a beneficio della futura ripresa dei flussi. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di far salire il risparmio sul costo del lavoro all’intera contribuzione, ovvero al 33% intervenendo sui salari.
Naturalmente in entrambe le ipotesi si dovrebbe agire in parallelo con iniziative forti anche sulla domanda per incentivare gli italiani a fare vacanze e quindi dare lavoro e reddito a queste strutture, aziende e persone.
Ma questo potrebbe essere l’anno giusto per fare interventi volti ad investire sul turismo domestico, a destagionalizzare l’offerta, magari “sfruttando” una economia costretta a tenere le linee di produzione aperte anche in Agosto, probabilmente anche di sabato e domenica, ma con turnazioni per evitare assembramenti.
Lo Stato potrebbe così incassare le entrate fiscali che altrimenti perderebbe e, soprattutto, non dovrebbe sostenere le spese per le politiche passive a sostegno dei redditi perduti, per un importo vicino al costo complessiva della manovra.
Ci rendiamo conto che si tratta di una proposta eccezionale ma crediamo ragionevole, in questo periodo, pretendere dai decisori il coraggio di agire nel segno delle discontinuità. E’ questo lo spirito che ha animato le migliaia di manager che durante l’emergenza sono stati impegnati nella gestione di una profonda riorganizzazione del lavoro, come emerso tra l’altro dalla maratona promossa dalla Cida il 2 maggio, una straordinaria mobilitazione unitaria di tutti i dirigenti e le alte professionalità del pubblico e del privato.
E’ questo lo spirito che ha permesso, in pochi giorni, di garantire la produzione dei beni e l’erogazione di servizi spesso essenziali con buona parte del personale in smart working.
Stiamo vivendo un’accelerazione improvvisa e forzata che, in poche settimane, ci sta proiettando verso un’innovazione dei processi, degli strumenti e delle competenze professionali che prevedevamo sarebbe avvenuta nell’arco di diversi anni.
Dopo i settori che nel lockdown hanno proseguito e spesso intensificato le proprie attività – come sanità, alimentare, trasporti, ict, scuola e servizi pubblici, solo per citarne alcuni – è il momento di gestire le trasformazioni di tutti quegli ambiti produttivi rimasti “fermi”, a partire dal turismo, puntando sulle competenze.
Massimo Fiaschi