L’intervento del governo nel settore sanitario.
La straordinaria iniezione di liquidità nelle casse esangui del servizio sanitario resa necessaria dalla pandemia del COVID 19 ha ormai raggiunto la cifra di 4,6 miliardi; e di questi 1,4 miliardi sono stanziati con il decreto cura Italia e 3,2 miliardi col successivo decreto Rilancio appena emanato ma ancora in attesa della bollinatura della ragioneria dello Stato.
Il ministro della Salute, Roberto Speranza ha ragione a sottolineare come la cifra mesa a disposizione dal governo sia “molto più alta di quella che usualmente lo Stato investiva in un intero anno sul Ssn” e che “ci volevano due, tre anni per una cifra di questo tipo”. Ed infatti se alle somme stanziate dagli ultimi due decreti si aggiungono i 4 miliardi e 185 milioni della legge di bilancio, l’investimento complessivo per la sanità per l’anno 2020 raggiunge un totale di ben 6,845 miliardi.
Nel suo complesso la manovra del governo e l’ultimo decreto Rilancio in particolare corregge anche l’altra terribile anomalia del Ssn ovvero quello della desertificazione della risorsa umana; anzi dei “lavoratori essenziali” (per usare l’espressione suggerita in sostituzione della prima, dai 3000 professori firmatari dell’appello “democratizing work”) impiegati nella sanità.
Un impoverimento degli organici (medici ed infermieri) che ha marciato di pari passo alla contrazione del finanziamento e che viene sanato dall’attuale governo con l’assunzione di 9600 gli infermieri, da impiegare in attività territoriali e di 1200 assistenti sociali e con 4200 nuove borse di studio per i medici specializzandi.
Un passo importante che, insieme alle misure già varate sulle assunzioni del personale medico, ci farebbe guardare con maggiore serenità al futuro del nostro servizio sanitario, se non restassero immodificati i limiti strutturali del modello istituzionale attualmente vigente che l’epidemia ha mostrato nella loro drammaticità.
La risposta emergenziale finora seguita e la necessità di un approccio sistemico.
Già nel passato, infatti, alcune emergenze, come quella relativa alla diffusione dell’infezione da HIV, hanno indotto il legislatore ad adottare misure di potenziamento del sevizio. Questa risposta emergenziale tuttavia non è riuscita ad incidere stabilmente sulla funzionalità del servizio sanitario che col tempo, come ampiamente dimostrato dall’attuale epidemia, ha ripresentato le medesime slabbrature che si volevano correggere.
La vera necessità è allora quella di uscire definitivamente da una cultura emergenziale e delle misure tampone e affrontare in modo coerente e con un approccio sistemico le problematiche irrisolte del nostro SSN; a partire dall’attuale architettura istituzionale basata sulla presenza di 20 modelli regionali diversi, diseguali tra loro e privi di una visione comune e di un unico centro direzionale.
Questo scollamento tra centro e periferie ha reso difficile, disomogenea e contraddittoria la risposta all’epidemia; circostanza questa emblematicamente dimostrata dalle opposte strategie adottate da due regioni, il Veneto e la Lombardia, a identica trazione leghista. Filosofie di intervento con esiti assolutamente non comparabili tra loro a cui ha fatto seguito l’intervenuto dello stato, poco incisivo sul fronte delle strategie sanitarie proposte (tracciamento dei malati, test sierologici, dispositivi di protezione etc) e diventato a sua volta fonte di ulteriore divisione e conflitto con le stesse regioni che si volevano supportare.
Ridisegnare l’architettura istituzionale del nostro SSN: le riflessioni del forum per la riforma del SSN Tina Anselmi.
Per uscire dalla crisi, causata dalle politiche di questi ultimi 15 anni restrittive in termini finanziari e regressive in termini culturali, dunque, non è sufficiente la semplice messa a disposizione delle risorse primarie, di uomini e mezzi; senza tali investimenti infatti nessun sistema potrebbe sopravvivere e mantenere la pur minima funzionalità.
Per uscire dalla crisi, occorre invece porsi il ben più ambizioso obiettivo di ridisegnare l’attuale infrastruttura istituzionale del nostro SSN, dimostratasi totalmente inadeguata a fronteggiare quelle emergenze sanitarie con cui periodicamente dobbiamo fare i conti e che noi invece rimuoviamo collettivamente convinti che colpiranno altri ma non noi.
Nel dibattito pubblico di queste ultime settimane e, pochi giorni, fa anche nelle parole del leguleio presidente del consiglio Giuseppe Conte, che ha parlato della necessità di una “manutenzione” del nostro Ssn, questa esigenza sta affiorando in modo sempre più evidente.
Oggi dunque è il momento opportuno per affrontare i nodi irrisolti senza perdere tempo prezioso. Questa breve finestra di opportunità infatti ben presto si chiuderà e allora sarà impossibile vincere le resistenze dei numerosi attori istituzionali che insieme hanno concorso a implementare l’attuale modello di servizio sanitario e che non vedono di buon occhio un’azione riformatrice di ampio respiro.
Su tale urgenza si è recentemente costituito un forum di discussione dedicato a Tina Anselmi, ministro della Salute firmataria della grande riforma di istituzione del servizio sanitario nazionale (legge 833/1978) e queste sono le riflessioni offerte al dibattito pubblico per creare un più vasto movimento di opinione e mobilitazione.
La revisione del livello macro delle relazioni istituzionali.
La crisi epidemica ha evidenziato in modo drammatico le gravi carenze e l’inefficienza di un sistema sanitario suddiviso su base regionale. La sanità deve ridiventare competenza esclusiva dello stato e il ministro della salute deve potere disporre delle risorse finanziarie dedicate in modo effettivo e senza dover dipendere, come oggi avviene, dal ministro dell’economia.
Il ruolo del ministro della Salute deve essere rafforzato e a lui spetta la definizione degli obiettivi generali di salute, che le regioni dovranno poi implementare sul loro territorio regionale. Il rafforzamento del ruolo del ministro della Salute rende necessario che sia una sua competenza la nomina, sentite le regioni, dei direttori generali delle aziende sanitarie a cui affida gli obbiettivi di salute da perseguire.
Da recuperare il valore della Prevenzione Sanitaria attraverso la istituzione e il coordinamento di enti e istituti preposti sia di livello nazionale che regionale che col tempo sono stati disattivati (vedi ISS e il centro per lo studio dell’epidemie) o deprivati di una effettiva incisività sulle scelte pubbliche.
Ritorna allo stato la competenza esclusiva anche in materia di protezione civile, riportando a un unico centro direzionale l’insieme degli interventi necessari a fronteggiare le gravi calamità.
Il livello meso delle competenze regionali.
In uno spirito di leale collaborazione tra i diversi organi dello stato il forum Tina Anselmi assegna alle regioni la competenza del piano sanitario regionale da redigere in accordo con le indicazioni e gli obiettivi delineati dalla programmazione nazionale.
E’ una specifica competenza delle regioni rendere effettivamente esigibili sul proprio territorio i livelli essenziali delle prestazioni (LEA) superando le disuguaglianze e le barriere di accesso ai servizi attualmente esistenti. Rimangono inalterati e rafforzati i poteri sostitutivi dello stato in caso di inadempienza regionale.
Per fronteggiare l’avvenuta transizione epidemiologica (prevalenza delle malattie croniche e delle disabilità) il modello assistenziale di ogni regione deve implementare e adattare in funzione del proprio specifico contesto, il chronic care model di gestione delle cronicità (tramite i registri di patologie, la medicina d’iniziativa e l’assistenza domiciliare infermieristica e supportata dalla telemedicina).
Punto dirimente è l’aggregazione dei medici di Medicina generale e la loro piena integrazione nelle strutture del distretto in un accordo di filiera, per arrivare, al termine di una fase transitoria, a un contratto unico per tutti gli operatori della sanità in cui si condividono strategie e obbiettivi.
Il livello micro della gestione aziendale.
Le raccomandazioni proposte da firmatari dell’appello “democratizing work” richiamano la necessità di una democratizzazione degli ambienti di lavoro e di un coinvolgimento attivo dei lavoratori all’impresa. A livello di servizio sanitario questo si può tradurre colmando il deficit attualmente presente di partecipazione attiva alla programmazione aziendale da parte di enti locali, lavoratori e cittadini.
Per il forum Tina Anselmi la partecipazione alle scelte pubbliche deve diventare la modalità attraverso cui le aziende agiscono nel campo istituzionale. Deve inoltre radicalmente mutare la filosofia che ha orientato finora le procedure di valutazione delle diverse performance professionali.
Nel processo valutativo sia dei direttori che degli operatori i criteri quantitativistici, finora adottati, devono essere sostituiti con altri orientati alla valutazione dei processi di erogazione delle cure e agli esiti di salute effettivamente consegui.
Le componenti professionali, dovranno potere esercitare un ben definito ruolo nella programmazione, monitoraggio, verifica e supervisione dei servizi sanitari e sociosanitari.
La riscrittura degli istituti contrattuali dei diversi livelli e il contratto unico della sanità.
Il forum Tina Anselmi ritiene che un punto derimente per una effettiva implementazione del SSN è la riscrittura e il rafforzamento degli istituti di contrattazione di livello nazionale, regionale e aziendale con le organizzazioni sindacali di categoria e confederali.
Le nuove regole devono ricomprendere materie finora escluse dalla contrattazione come quelle relative all’organizzazione e sicurezza del lavoro e ai fabbisogni di personale e avere carattere vincolante per le parti; da ridefinire inoltre le forme di partecipazione delle associazioni di tutela dei cittadini ai processi decisionali, da realizzarsi attraverso appositi istituti di concertazione nazionale, regionale e aziendale.
Non perdere la finestra di opportunità dischiusa dall’epidemia.
L’epidemia da Virus Sars Cov 2, ha duramente colpito il nostro paese. La perdita di prodotto interno lordo viaggia intorno al 9% su base annua e i decessi, prevalentemente concentrati su soggetti over 60 anni, specie se istituzionalizzati, hanno superato le 31,000 unità.
La metà dei decessi poi si sono concentrate nel motore produttivo del paese, la Lombardia, il cui servizio sanitario, decantato come il migliore, ha mostrato una fragilità inimmaginabile. Da questa tragedia noi dobbiamo assumere le indicazioni che i bruti fatti ci mettono in evidenza e che spingono per un cambiamento radicale del nostro sistema sanitario.
Anni duri ci aspettano per risalire la china di una condizione di crescente impoverimento del paese, di perdita di aziende e posti di lavoro e di un indebitamento di lunga durata e dalle conseguenze imprevedibili.
Una presa di responsabilità che tuttavia ci spinge a lottare per un futuro diverso da quello che ci hanno lasciato in eredità 15 anni di mercificazione della salute e arretramento culturale della nostra classe politica.
Rilanciare il nostro servizio sanitario è una necessità non solo di tipo assistenziale e sociale ma anche di tipo economico. La sanità infatti con la ricerca e innovazione che essa comporta è anche un motore di sviluppo capace di generare valore aggiunto.
Le premesse perché questo avvenga passa inevitabilmente per quella discontinuità col nostro recente passato di cui si è fatta interprete il forum Tina Anselmi.
Roberto Polillo