1. L’Europa ha stanziato fondi considerevoli per la ripresa economica e ha tracciato anche gli obiettivi da seguire (green, digitale e inclusione sociale). L’Italia si trova nella necessità, anche urgente, di definire un Piano e/o un pacchetto di “riforme” da presentare in Europa e su cui concordare i finanziamenti. Siamo di fronte a una scelta molto netta. O il nostro Paese continua a erogare euro a destra e a manca, immaginando che saranno le spontanee dinamiche aziendali e del mercato a determinare le caratteristiche della crescita. Oppure, a rovescio, definisce progetti nazionali di sviluppo green, digitale e di inclusione sociale a partire dalla domanda: dai bisogni vecchi e nuovi delle persone e del territorio e investe su quelli. Svolgendo un ruolo di indirizzo anche per i consumi e gli investimenti privati. Per ora la scelta fatta è la prima: dare soldi comunque e ovunque alle imprese, confondere gli investimenti con la spesa corrente. Questo errore si può capire in una fase di emergenza (e di salvataggio delle imprese e del lavoro che c’era), non lo si può accettare in una fase in cui si dovrebbe disegnare il nuovo modello di sviluppo. Bisogna che le imprese aiutino il Paese a raggiungere gli obiettivi europei della sostenibilità e della resilienza. E non che il Paese aiuti le imprese a raggiungere gli obiettivi propri. Nel primo caso, come dice esplicitamente persino l’Europa, si spendono bene le risorse concesse, nel secondo si sprecano.
2. Come si attua questo salto culturale e politico? Difficile immaginare che lo si possa fare, come nell’emergenza, con uno o più decreti decisi dal Governo avendo consultato “tecnici ed esperti” al di sopra delle parti. Ancora più difficile credere che improvvisamente il Parlamento condivida una strategia di crescita economica su cui le forze politiche (di opposizione ma anche di maggioranza) rinuncino agli agguati quotidiani al Governo. Ci vuole un grande concorso e un grande consenso sociale per riuscire a cambiare il passo della politica economica. Ci vuole un “Patto per lo sviluppo sostenibile” fatto tra Governo, attori sociali e attori economici. Che obblighi anche le parti politiche a uscire dal piccolo cabotaggio. Un Patto che preveda un programma pluriennale di investimenti su priorità condivise dall’Italia e dall’Europa.
3. Il “Diario del Lavoro” ha iniziato a lanciare la proposta di una neo-concertazione almeno due mesi fa. Un mese fa è stato pubblicato un Appello al Governo perché convocasse le parti sociali ed economiche a firma di autorevoli ex segretari generali di Cgil Cisl Uil (Cofferati, Epifani, Pezzotta, Benvenuto). Sempre sul Diario del Lavoro si legge che la Segretaria della Cisl ha parlato della necessità di un “Patto sociale per cambiare il Paese come fece Ciampi nel ’93”. Anche la Uil ha sollecitato un accordo sullo sviluppo tra Governo e parti sociali. Il 27 maggio il Presidente del Consiglio Conte ha parlato sul Corriere (in un pezzo a propria firma) della necessità di “varare un nuovo piano strategico che ponga le basi di un nuovo patto tra le forze produttive e le forze sociali del nostro Paese”. Chi manca all’appello che si va estendendo ad ambienti diversi? Al momento Confindustria e Cgil.
4. Confindustria sembra ancora preferire il primo dei percorsi possibili. Dare i soldi alle imprese in tutti i modi (e a tutte le imprese) perché solo così ci sarà la ripresa e sarà questa a caratterizzare lo sviluppo economico e sociale dei prossimi anni (al di là delle ideologie della sostenibilità ambientale sociale ed economica). Il nuovo presidente sembra porre in discussione lo stesso sistema della contrattazione tra imprese e sindacati, figuriamoci se intende sottoscrivere un Patto a tre. Chi ha vissuto gli anni della concertazione di Ciampi si ricorderà che nemmeno allora Confindustria era entusiasta di quel percorso (guadando – come sempre – più al proprio interno che al Paese). Ma la forte iniziativa decisa del Governo di allora e la disponibilità degli altri soggetti economici e sociali le hanno impedito di chiamarsi fuori. Bisognerebbe ricostruire quelle condizioni.
5. La posizione della Cgil è la meno decifrabile. Sono stati definiti documenti e fatte dichiarazioni da parte di alcune categorie (Chimici-tessili-energia, Comunicazione, Edilizia) che sollecitano un confronto triangolare con Governo e imprese per definire le politiche industriali da attuare nel Paese nei prossimi anni. Ma, al momento (a meno di un deficit di informazione da parte mia), non sembra essere intervenuta una presa di posizione confederale al riguardo. Speriamo che giunga in fretta. Prima che si comincino a spendere le risorse europee in direzione diversa dalle dichiarazioni che si fanno su sostenibilità e lavoro. Se la priorità è creare nuovo lavoro per i giovani e le donne (e da qui la necessaria valorizzazione delle competenze, della scuola, della formazione continua, dei diritti, ecc) non c’è da perdere tempo. L’apertura di un tavolo triangolare deve diventare anche l’obiettivo della Cgil. È necessaria e giusta la gestione dell’emergenza ma senza una strategia di sviluppo nel medio periodo si indebolisce anche il peso del lavoro che c’è oggi. La politica dei due tempi non ha mai funzionato nemmeno nelle fasi di crescita, figuriamoci se funziona in recessione.
Gaetano Sateriale