Anche Giuseppe Conte si è iscritto al partito di coloro che credono necessario riunire forze e idee per avere qualche chance di ripresa economica. Con questo obiettivo il presidente del Consiglio ha convocato gli stati generali per la prossima settimana, senza entrare troppo nei particolari su chi sarà invitato, salvo il riferimento fatto a indefinite “singole menti brillanti”, ma specificando che queste persone si riuniranno nella magica cornice di Villa Pamphili a Roma. Ci saranno, questo è certo, i rappresentanti delle parti sociali, Confindustria compresa. Era un passo dovuto, perché le difficoltà cui andiamo incontro sono troppo grandi per non cercare una via di fuga.
In campo non c’è solo la tenuta (o la caduta) dell’occupazione e il destino di tutte le piccole imprese, produttive o commerciali, che non hanno riaperto dopo il lockdown e forse non riapriranno più. Il vero problema è la drastica frana della coesione sociale. I segnali sono univoci nel disegnare una situazione pericolosa. Non certo per le esplosioni dei forconi o dei gilet arancioni, che solo con lo scimmiottare i colleghi francesi si mettono nel ridicolo. Il problema è che le persone sono sempre più preoccupate di quanto potrà accadere anche perché a chi ha perso il lavoro si aggiungono quelli che un lavoro ce l’avrebbero, ma, posti in cassa integrazione, non hanno ancora ricevuto i soldi indispensabili per tirare avanti.
Le imprese, specie quelle piccole, non hanno prospettive, l’avvenire è incerto e temono di non farcela. È così che la coesione sociale può andare a picco. Quando si comincia a pensare esclusivamente ai propri interessi e gli altri, tutti gli altri, sono guardati con sospetto. E il disorientamento diventa il peggior nemico. Sembrano già lontani i tempi dell’isolamento, dei balconi dove cantare la sera, della partecipazione sfrenata a tutte le possibili chat in cerca di conforto e compagnia. Ora tutto è possibile e lo sbandamento che risulta dall’altalenare dei sondaggi politici evidenzia un grave fondo di incertezza. Oggi vige la regola dello “scollamento” così come lo descrive bene Walter Cerfeda nel suo bell’articolo che ha scritto per Il diario del lavoro.
Giusto, più che giusto allora che le forze che rappresentano il paese, le autorità politiche e quelle sociali, si siedano attorno a un tavolo per capire e decidere assieme le possibili vie di crescita. Le idee sembrano già affollarsi, si tratta allora di incontrarsi e prendere delle decisioni. Più facile a dirsi che a farsi, come sempre. Anche perché non sembra di vedere tra i candidati al tavolo la medesima determinazione sulla possibilità di prendere decisioni anche molto drastiche, proporzionate alla gravità dei problemi aperti. Tra le parti sociali, i sindacati sono certamente convinti di voler arrivare a un patto sociale. Chi sembra su una linea diversa è invece Confindustria.
Nei mesi scorsi è stato salutato positivamente lo sforzo del nuovo presidente, Carlo Bonomi, che mostrava di non volersi accontentare per la sua confederazione del ruolo di semplice lobbista, puntando piuttosto su quella presenza forte che Confindustria ha sempre avuto, specie nei momenti difficili del paese. La presenza cioè di un soggetto politico che, di fronte alla crisi, è disposto anche a sacrifici forti per il bene comune. Ma per fare questo, per raggiungere risultati di rilievo in un momento così difficile, è necessario cooperare, lavorare assieme. Bonomi invece sembra voler fare da sé. Sembra che sia disponibile nei confronti della trattativa generale, e non potrebbe fare altrimenti se invitato ufficialmente dalla presidenza del Consiglio, ma senza condividerne lo spirito.
Dalle poche cose dette in queste due settimane traspare un desiderio di fondo di rompere con il passato. Si tratta però di capire quale sia questo passato e cosa voglia gettare via e cosa mantenere. Tra le cose da mettere da parte ci sono purtroppo anche i contratti nazionali di lavoro. Cosa comporti ciò non è ancora chiaro, ma è una realtà che numerosi e significativi contratti nazionali sono in scadenza o già scaduti, e in alcuni casi le trattative sono già iniziate. E allora, cosa pensa di fare Confindustria? Una richiesta di moratoria non è stata avanzata, ma le affermazioni, sia quelle di Bonomi che quelle del suo vice per i problemi sindacali, Maurizio Stirpe, sembrano essere dirette a tale obiettivo.
Una moratoria contrattuale in un momento difficile può non essere un dramma. Bruno Trentin la accettò, nel 1992, quando Giuliano Amato lo mise alle strette dimostrandogli la non sostenibilità della situazione economica. Trentin l’accettò, anche contro il parere della maggioranza della sua confederazione. Ma i tempi, e gli uomini, sono diversi. Saranno i sindacati a decidere come rispondere, se mai questa richiesta verrà avanzata. Ma è un dato di fatto che il paese, in questo momento storico e in questa emergenza sociale ed economica, difficilmente potrebbe accettare una sospensione della contrattazione nazionale. E non sarebbero certamente i contratti aziendali a poter sostituire i contratti nazionali, perché toccherebbero solo una parte molto ridotta del mondo del lavoro e, tutto compreso, nemmeno quella che sta peggio. Di fronte alla sospensione della contrattazione, la reazione dei lavoratori delle piccole aziende, quelle che faticano a continuare a produrre, non potrebbe non essere molto negativa. E la coesione sociale, già fragile, perderebbe altri pezzi.
Allora non è forse questo il modo per avviare una trattativa, così importante per le imprese che, a causa delle profonde trasformazioni che il dopo pandemia non potrà non determinare nella distribuzione internazionale della produzione, dovranno lottare per mantenere le posizioni del passato. Questa trattativa potrebbe essere un’opportunità perché potrebbe consentire di affrontare e magari eliminare alcuni guasti storici della nostra economia, primo tra tutti la caduta, in corso da un trentennio, della produttività. Una trattativa portata avanti con forza e determinazione potrebbe ottenere importanti conseguenze economiche. Un’occasione da non perdere, perché il riposizionamento è difficile e il nostro paese potrà guadagnare posizioni di rilievo solo se saranno realizzate le riforme di fondo che finora gli sono state negate. Adesso quelle riforme, se le forze in campo volessero impegnarsi, potrebbero divenire realtà. Ma è indispensabile uno sforzo congiunto di tutti i partecipanti alla trattativa, nessuno escluso.
Massimo Mascini