1.Un Contratto Sociale? Ho solo antichi ricordi scolastici (e me ne scuso) ma il Contratto Sociale è, per Rousseau, l’atto fondativo della società moderna. In cui l’individuo singolo cede allo Stato i suoi diritti individuali in cambio di leggi che restituiscono comunque la sovranità al popolo come somma dei singoli. Rousseau non accetta una sovranità delegabile: non sono previsti i corpi intermedi portatori di interessi parziali. Tant’è che la legge del 1791, che vieta in Francia le prime organizzazioni sindacali e i primi contratti collettivi, riprende interi brani del Contratto Sociale di Rousseau. In ogni caso, il nostro Paese ha bisogno di un confronto sulle politiche per lo sviluppo e il lavoro oltre l’emergenza. Lo Stato l’abbiamo già costituito, per fortuna, e la divisione dei poteri è sancita dalla Costituzione. È necessario e urgente condividere le linee per un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Chiamiamolo come vogliamo ma Contratto Sociale ci sposta su un altro scenario, non proprio auspicabile. (Non è certo casuale il nome scelto dalla piattaforma dei 5S).
2.Gli Stati Generali? Anche qui: gli Stati generali erano composti da persone “elette” dagli “Stati Provinciali” e la loro funzione era quella di consegnare al sovrano che deteneva il potere assoluto i famosi “Cahiers de doléances”, i quaderni delle lamentele. Allora non c’erano i partiti politici e non c’era il Parlamento: c’era il re che incarnava lo Stato e basta. Dal punto di vista di un Capo di Governo democratico e repubblicano come Conte, l’esempio degli Stati Generali non è proprio sinonimo di un’idea convinta di divisione dei poteri. Non era difficile immaginare che anche i partiti di maggioranza si sarebbero arrabbiati di fronte a questa proposta. Anche perché gli “Stati Generali” sono quelli che nel 1789 si trasformarono in Assemblea Costituente e poi Legislativa, dando vita a una prima camera parlamentare per limitare il potere del sovrano. Non credo sia questa l’intenzione di Conte, però anche le parole hanno un peso.
3. Per non dire di Confindustria: “questa politica fa più danni del virus” è un’affermazione che si commenta da sola… Cosa dobbiamo sperare, che Confindustria confezioni per il Paese un vaccino antipolitica? C’è da augurarsi che il neo presidente tenga un coerente e opportuno “distanziamento sociale” dalla politica, vista l’idea che ne ha. E che il neo direttivo dell’associazione sia in grado di temperarne le pulsioni deregolatorie: sia sul piano politico che su quello sindacale.
4. Auto e acciaio? Leggo su molti giornali che finalmente le risorse europee ci sono e che bisogna spenderle bene a partire dal settore dell’auto e dell’acciaio. Ma davvero? Abbiamo scoperto che le case di riposo non funzionano, che la sanità italiana a macchia di leopardo moltiplica i rischi di salute per i cittadini, che c’è bisogno di una sanità meno ospedaliera e più di prossimità, che dobbiamo riorganizzare la scuola e il sistema di apprendimento, rilanciare le competenze del lavoro e la formazione permanente e poi diciamo che bisogna partire dalle politiche industriali dell’auto e dell’acciaio? Passi se il progetto fosse davvero quello di fare “acciaio pulito” (Timmermans). Ma una nuova rottamazione delle auto? Ancora ieri parlavamo di nuova mobilità, delle città senz’auto, di nuovi materiali, di fonti di energia rinnovabile, di innovazione digitale, di rigenerazione urbana, di nuova agricoltura, di infrastrutture, di valorizzazione del patrimonio storico artistico. E oggi diciamo che bisogna rinnovare il parco auto vuotando i magazzini? Mi pare che siamo ancora in un’ottica di emergenza non di nuovo modello di sviluppo ambientalmente, socialmente ed economicamente sostenibile.
5. Insomma, “Grande è la confusione sotto il cielo”, ma la situazione non sembra essere eccellente. L’impressione è che sia iniziato, dietro questi scambi di parole in libertà, lo scontro su come ripartire le risorse europee. Su questo ammetto di essere all’antica: di credere ancora nella distinzione tra spesa corrente e investimenti e tra domanda e offerta. Investire per rispondere alle esigenze del Paese (vecchie e nuove), ai bisogni delle persone e del territorio, è aprire una nuova stagione di impiego propulsivo e responsabile dei fondi. In altri tempi avremmo parlato di “Programmazione economica”. Spendere per aiutare i bilanci delle imprese che ci sono (non tutte, necessariamente) è la stagione di sempre. La si chiami come si vuole, resta uno sperpero (“spesa senza criterio”, dice il dizionario).
Gaetano Sateriale