Mancano le certezze nel nostro paese. Sappiamo che, forse, la pandemia sta perdendo forza, ma nessuno è in grado di dirci se in autunno non avremo un’altra tornata di contagi. Sappiamo che l’Europa ci sta mandando tante risorse, capaci in quanto tali di aiutarci a riprendere lo sviluppo, ma nessuno è in grado di dirci se saranno sufficienti e, soprattutto, se davvero arriveranno. Perché comunque dovremo guadagnarci questi aiuti, dovremo dimostrare di essere in grado di utilizzarli come ci viene richiesto. E non sappiamo dove ci conviene impegnarci, quali siano i settori che possono servire da volano alla ripresa economica. Gli Stati generali voluti da Conte servirebbero a questo, a chiarirci le idee, a prendere delle decisioni, ma non sappiamo se queste riunioni saranno davvero utili o se finiranno per essere, al più, una passerella di bei nomi, una fiera delle vanità, come quelle che metteva in scena Salvini ai tempi del Viminale, quando invitava sindacalisti e imprenditori per far dispetto al suo collega di governo.
Un’incertezza che logora i nervi, ma soprattutto le potenzialità del momento, perché davvero per uscire dalla crisi (quella economica e occupazionale, non solo quella sanitaria) sarebbe necessario muoversi in gran fretta, compiere le scelte necessarie e agire senza attendere le calende greche. Individuare i settori di grande potenzialità espansiva non dovrebbe essere difficile, perché più o meno tutti concordano su questa indicazione, ma servirebbe anche, e forse prima, mettere a fuoco i motivi dei ritardi che abbiamo sempre dimostrato al momento dell’azione, per poterli aggredire liberandoci dei lacci e lacciuoli che ci hanno sempre bloccato. Ma questa è la cosa più difficile perché a fermarci sono spesso i caratteri propri del nostro essere, l’assenza di qualità personali che non è facile sviluppare.
Questa non è storia recente per il nostro paese. Per decenni abbiamo perso ingenti fondi europei messi a nostra disposizione perché non eravamo in grado di avviare le procedure necessarie, perché gli impegni risultavano superiori alle nostre forze. Adesso forse rischiamo di fare la stessa fine, perché l’arrivo delle grandi risorse che l’Unione ci mette o ci metterebbe a disposizione è fortemente condizionato dalla capacità di indirizzarle verso un uso appropriato.
Il punto è che forse dovremmo essere capaci di cambiare noi stessi, e non è mai facile farlo. E’ la stessa cosa che accade per la coesione sociale. Nella bella intervista che ha dato a Il diario del lavoro Giuseppe Roma ha spiegato che la coesione sociale è a forte rischio perché la crisi ha picchiato duro, la perdita di Pil sarà fortissima e se la torta da spartire diminuisce, di più se lo fa come è accaduto stavolta in maniera asimmetrica, lasciando quindi vincitori e perdenti, è difficile che una società possa restare coesa e attenta agli altri. Ma la coesione sociale dipende anche in maniera fortissima dalla comunanza di valori che esiste in una comunità. Se questa comunanza viene meno, si allenta, è difficile ricostruirla, perché essa si forma negli anni, si fortifica nei processi formativi, un processo lento e lungo, che non prevede scorciatoie. Roma ci ricorda un fatto emblematico per spiegare questa caduta della condivisione dei valori, che al centro dei nostri quartieri non c’è più la scuola, come era una volta, adesso c’è il centro commerciale, che è però portatore di tutti altri valori.
La difficoltà è tutta qui, nel riuscire a cambiare in corsa alcuni tratti nostri distintivi. Ma dobbiamo riuscirvi perché la posta in gioco è davvero alta. Il nostro paese arranca ormai da due se non tre decenni, da quando la produttività per una serie di motivi, ben noti peraltro, ha smesso di crescere. Siamo scivolati in fondo a tutte le classifiche internazionali, non riusciamo a riemergere. La crisi del 2008 ci ha prostrati come ha fatto con il resto del mondo, ma mentre gli altri in più o meno breve volger di tempo si erano ripresi, noi quando è arrivata la pandemia dovevamo recuperare ancora quattro punti di Pil.
Adesso avremmo la possibilità di una vera ripartenza, il fatto stesso di dover rivoluzionare la struttura della nostra economia ci mette nella felice condizione di poter eliminare i guasti profondi e antichi che ci danneggiavano. Una ripartenza che elimini quei difetti e ci metta ai nastri di partenza assieme agli altri. Un’occasione storica e unica, hanno detto tutti, ma è qui che dovremmo mostrare di essere ancora quelli che eravamo tanti anni fa. E non è proprio facile.
E si torna così al problema di fondo, alla difficoltà di fare delle scelte, all’incertezza che ci avviluppa e alla fine ci blocca. Noi, e non siamo soli, abbiamo problemi di adeguatezza della classe dirigente e in questo termine rientra non solo la politica, ma tutti i diversi strati della nostra società. Abbiamo perso i valori, dobbiamo ritrovarli e dobbiamo ritrovare la nostra forza se vogliamo essere ancora nella pattuglia dei grandi. Ma dobbiamo farlo in fretta.
Massimo Mascini