Nel film cult “Casablanca”, nelle scene finali all’aeroporto, Victor Laszlo (Paul Henreid) si rivolge a Rick Blaine (Humprey Bogart) – che gli ha consegnato le carte di transito e convinto la bellissima moglie Ilsa (Ingrid Bergman) a non abbandonarlo – gli stringe la mano (allora non era proibito) e gli dice: “Ben tornato alla lotta, ora la nostra parte vincerà”. Avendone la possibilità, mi piacerebbe rivolgere lo stesso apprezzamento (come Woody Allen, in “Provaci ancora Sam”, anch’io aspetto da una vita l’occasione per ripetere una delle battute di quel film) al neo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, dopo il suo intervento nell’ambito di quella fiera delle vanità (di Giuseppe Conte) che si trascina da giorni sotto l’etichetta degli Stati generali dell’economia. Bonomi ha messo in campo una Confindustria “di lotta e di governo”, raccogliendo le bandiere del mondo dell’impresa che i suoi predecessori avevano lasciato cadere nel fango dell’irrilevanza. Che questo sia il giudizio corrente sulla più importante organizzazione degli imprenditori, lo dimostra persino l’arroganza con la quale un pérvenu con la pochette come Giuseppe Conte ha replicato alle critiche di Bonomi, come se fossero determinate da un’ansia da prestazione che di solito si presenta in rapporti d’altro tipo. Dell’intervento del presidente della Confindustria conosciamo quanto da lui dichiarato alle agenzie poiché l’incontro non era previsto in diretta su streaming (il che è stato opportuno perché gli interlocutori non devono fare dei comizi per titillare le loro basi associative). Riprendiamo, dunque, quanto emerge dai dispacci di agenzia. “Mi sarei aspettato che nelle convocazioni a Villa Pamphili il governo presentasse un piano ben dettagliato, un crono-programma con gli effetti attesi, una tempistica, gli effetti sul Pil. Io tutto questo non l’ho visto, sarei curioso di leggerlo, vorrei ascoltare tutto ciò”. Così “parlò” Carlo Bonomi, in occasione del primo incontro con la stampa dedicato ai corrispondenti esteri, a proposito degli Stati generali del governo. Per poi precisare: “Come Confindustria noi siamo sempre positivi e propositivi e quindi andremo a Villa Pamphili dicendo quello che pensiamo e soprattutto presentando il nostro piano ben preciso”. “Noi ci crediamo, noi non molliamo e ci impegneremo affinché questo paese possa esprimere quelle potenzialità che gli hanno permesso di essere un grande paese trasformatore, di essere il secondo esportatore dopo la Germania e di poter mettere in campo quel modello, come la Germania, di rapporto tra istituzioni e parti sociali che ha consentito di mettere in campo 15 pagine (di piano di rilancio, ndr) e un bazooka di 120 miliardi per rilanciare l’economia”, ha aggiunto. Infine, ha concluso con un monito: “Noi veniamo da errori di lunga data. Abbiamo problemi di demografia, è un paese che viene fuori da 25 anni di bassa produttività su questo non siamo mai intervenuti e soprattutto ormai c’è una propensione del pubblico ad entrare come gestore dell’economia cosa che basta vedere Alitalia e Ilva per capire i danni che ha prodotto”. Ma il pensiero del presidente di Confindustria lo si può leggere nella prefazione a “Italia 2030. Proposte per lo sviluppo”, dove Bonomi mette in fila tutti gli errori fatti dal governo. Partendo dalle misure prese nel decreto Rilancio proprio per dare ossigeno alle aziende. “Hanno il grande demerito di essere state decise senza prestare alcun orecchio alle esigenze delle imprese. Non è una grande idea chiedere alle imprese d’indebitarsi mentre devono continuare a pagare le imposte e mentre lo Stato non rende immediatamente disponibili in liquidità pronta cassa gli oltre 50 miliardi di euro di debiti commerciali che deve ai suoi fornitori”, scrive il capo degli industriali. Per affrontare le conseguenze della pandemia da Covid-19 che ha inferto “colpi durissimi” a “lavoro, reddito e imprese dell’Italia in questo 2020” servirebbero interventi e riforme in una “solida cornice d’impegni decennali”. Invece chi è alla guida del paese sembra più orientato a mettere in campo soluzioni di breve periodo, attraverso bonus a tempo. Una pia illusione che possano funzionare. “Un’illusione molto onerosa, considerando le risorse di finanza pubblica disposta tali fini, senza mai conseguire gli effetti annunciati d’innalzamento del Pil potenziale. E anche tale da continuare ad accrescere l’ingentissimo debito pubblico italiano”. Poi viene l’indicazione di quanto bisognerebbe fare da qui a fine anno e non sembra – secondo Bonomi – che per ora l’esecutivo abbia l’intenzione di farlo per il verso giusto. È mancata finora una qualunque visione sulla Fase 3, da far seguire a chiusure e riaperture. La fase cioè in cui definire sostegni immediati alla ripresa di investimenti per il futuro, riprendendo e potenziando in toto l’impianto d’Industria 4.0″ e “affiancandovi un grande piano Fintech 4.0″. Se si vuole cambiare l’andazzo – ha concluso – Bonomi, allora bisogna cambiare anche il metodo di lavoro. Bisogna tornare alla concertazione governo-parti sociali come ai tempi del governo Ciampi, affinchè le decisioni siano prese solo dopo aver consultato chi quelle decisioni poi deve attuarle. Vogliono fare la riforma della cassa integrazione? Bene, serve perché abbiamo visto che così non funziona. Allora ci convochino e facciamola assieme”. Più in generale, nella prefazione, Bonomi lancia l’idea di “una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”: “Nessuna volontà di chiedere una “terza camera” ma solo la certezza di essere ascoltati. E questo – lamenta Bonomi – durante la gestazione dei primi due decreti per dare ossigeno all’economia non sempre è avvenuto”. In verità, risulta che la Confindustria sia stata ascoltata quanto meno in sede di Mef. Il fatto è che vi è uno squilibrio che dura da anni nell’attenzione che i governi dedicano alle parti sociali. I sindacati – in particolare la Cgil – contano. Consideriamo soltanto l’idea di prorogare – come ha chiesto Landini – fino a tutto il 2020 il blocco dei licenziamenti. Rischia di diventare una strada a senso unico, da dove sarà proibitiva l’inversione di marcia, soprattutto se si continua a battere il can can della tragedia, come fanno i talk show, prima ancora che essa presenti il conto in autunno. Bloccare i licenziamenti e prorogare la cig senza avere a disposizione i dati del “tiraggio” ha un costo molto elevato che rischia di venire impiegato solo in parte, distogliendo risorse da altre finalità. Poi con questi due provvedimenti si ingessano le imprese nella solita logica di difendere i posti di lavoro anche se sono ormai diventati finti e di ritardare la riorganizzazione delle aziende in ragione dei nuovi livelli produttivi. Senza tener conto che, durante la crisi, ci sono stati settori che hanno notevolmente aumentato i loro fatturati e che potrebbero assorbire parte degli esuberi da altri comparti in difficoltà. Poi c’è la questione della eventuale responsabilità penale in caso di infortunio da covid-19. Il Piano Colao si occupa del problema ed indica una soluzione a salvaguardia delle aziende rispettose degli adempimenti sanitari previsti. Se la Confindustria è alla ricerca di concretezza, potrebbe appoggiare alcune misure proposte dalla task force coordinata da Colao. Non c’è molto d’altro sul campo. Ultima notazione. Carlo Bonomi non è amato dai media. Nell’ incontro con il governo Confindustria ha chiesto inoltre “immediato rispetto per la sentenza della magistratura che impone la restituzione di 3,4 miliardi di euro di accise energia, impropriamente pagate dalle imprese e trattenute dallo Stato nonostante la sentenza della Corte di Cassazione che ne impone la restituzione”. Questa rivendicazione di ciò che è dovuto è stata presentata sui social come il solito tentativo di batter cassa, alla stregua del “così fan tutti”.
Giuliano Cazzola