Lunga vita al Governo Conte. Sta gestendo, non senza tentennamenti ma con una misurabile efficacia, la più grave crisi dal dopoguerra: sanitaria, sociale, istituzionale, economica. Pur nella sua quotidiana incertezza politica. Ha ottenuto risorse senza precedenti dall’Europa, ora si appresta a spenderle per la ripresa e lo sviluppo. Speriamo che a nessuno (soprattutto della maggioranza) venga in mente di mandare il Governo a gambe all’aria pur di avere maggior voce nelle scelte di “distribuzione” delle risorse.
Uno dei problemi di questo Paese è, da sempre, che fingiamo di confondere spesa corrente con investimenti: distribuzione urbi et orbi delle risorse con scelte di crescita, consenso a breve con consenso a lungo termine.
Ora la sfida sta nella scelta delle priorità su cui investire e nel percorso per deciderle e condividerle. Su quest’ultimo punto si dovrebbe evitare che l’iter decisionale coinvolga solo le forze politiche e il Parlamento da un lato, dall’altro sarebbe augurabile non replicare la sfilata degli “Stati Generali” dove ognuno presenta i propri “cahiers de doléances” e lascia al Governo le decisioni finali sulle scelte sia di beve che di lungo periodo. Restando, in altre parole, ciascuno fermo alle “proprie” esigenze invece che concertare le riforme necessarie al Paese (come ci chiede e continuerà a chiederci l’Europa).
Su quale modello di “coinvolgimento” verrà adottato oppure no conta soprattutto la voce delle forze sindacali ed economiche. Altrimenti tutto resterà nell’ambito dei vantaggi a breve della politica. Negli Stati Generali le forze sindacali ed economiche hanno accettato di partecipare al teatrino: speriamo in futuro vogliano interpretare unitariamente ruoli più rilevanti. A partire dalla necessità di condividere le priorità di investimento per andare oltre l’emergenza.
Anche perché il quadro delle priorità-Paese (o delle riforme) è ormai abbastanza netto. Al primo punto (a mio parere, ovvio) ci sono le nuove competenze e le nuove occasioni di lavoro da dare ai giovani e alle donne. Per dirla in un linguaggio più sindacale la condivisione di un Piano del Lavoro per creare nuove imprese e nuova occupazione a partire dalle riforme che si intendono fare. Scuola e lavoro: il fine esplicito delle politiche economiche se si vuole evitare il declino storico e l’emigrazione dei giovani. Non solo la difesa delle imprese e del lavoro di oggi, che pure è indispensabile. Su questo grande tema si sente ancora molta timidezza piuttosto che una voce forte e chiara per passare dall’emergenza a una visione di prospettiva.
Il secondo obiettivo strategico, amplificato dalla pandemia ma preesistente, è di dare al Paese, finalmente, un vero sistema sanitario nazionale: distribuito in maniera omogenea e di qualità nei territori. Non più solo ospedalizzato (o pronto soccorso o nulla), ma in grado di garantire a ciascuno i livelli essenziali di assistenza a partire dalla propria abitazione, dal proprio quartiere, dal proprio paese o città. Anche qui si tratta di riorganizzare quel che c’è in maniera meno disuguale e creare nuove competenze, nuovi profili professionali e nuove occasioni di lavoro. A partire dal ruolo del medico di famiglia e magari creando ex novo un infermiere di famiglia rivolto agli anziani ma non solo.
Ho letto di recente su “Idea Diffusa” – la piattaforma on line della Cgil sulla innovazione 4.0 – molti contributi interessanti sul tema delle città. Con l’intenzione, mi è parso di capire, di rimettere la città al centro di una strategia di sviluppo. Se è così, il termine “smart city” è un po’ datato e riduttivo ma l’idea è giusta: il terzo obiettivo strategico per lo sviluppo e il lavoro è la rigenerazione urbana. Non si tratta solo di nuove tecnologie ma di nuova edilizia, di nuova urbanistica, di nuovi modelli di abitazione e coabitazione, di nuovi servizi (acqua, energia, rifiuti, verde pubblico, sicurezza, mobilità, comunicazione) che corrispondano meglio ai bisogni dei cittadini (a partire dai più anziani) ovunque risiedano (città storiche, metropoli, centro, periferie, paesi, borghi, aree interne…). In una parola: una “città sostenibile” al centro di una strategia di nuovo sviluppo e nuovo lavoro.
Poi sarà certamente necessaria una riforma fiscale che faccia pagare tutti e in maniera progressiva a seconda del reddito e del patrimonio, smettendo di gravare su imprese e lavoro e che riduca il peso fiscale sul lavoro e sulle pensioni. Così come sarà prima o poi indispensabile re-incollare un sistema amministrativo e istituzionale ormai gravemente frammentato e disconnesso tra Regioni, territori, Comuni. E coinvolgerli nelle politiche di sviluppo sostenibile. Ma non bisogna perdere il treno in corsa sugli investimenti prioritari che si decideranno prima della finanziaria.
Gaetano Sateriale