I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno feriscono il mio cuore con un monotono languore. Allo scoccare della mezzanotte, il 6 giugno del 1944, questi versi di Paul Verlaine, trasmessi da Radio Londra, avvertirono la Resistenza francese che lo sbarco in Normandia stava per cominciare. Una poesia intrisa di melanconica nostalgia utilizzata come lo squillo di tromba per il D-Day. Non è chiaro chi fece questa singolare scelta ma di certo la forza evocativa della poesia caricò di entusiasmo la sfida finale al nazismo. Il battito della memoria scandiva la resurrezione della libertà. I sentimenti contro la barbarie.
Proprio la “Chanson d’automne” torna in mente nel finale di questa strana estate 2020. Lo spettacolo è desolante. Nulla, almeno a leggere i giornali o ad ascoltare i notiziari, sembra andar bene. Il coronavirus è ancora tra noi e c’è la possibilità che si mischi all’influenza stagionale aumentando rischi e contagi. I negazionisti suonano il tamburo della stupidità. La scuola riapre in un guazzabuglio di incertezze, confusioni e proteste. Il prodotto interno lordo è crollato. La cassa integrazione non potrà coprire per sempre le tante crisi industriali, molte delle quali precedenti alla pandemia e ormai endemiche. Il segretario della Cgil Maurizio Landini insiste con il blocco dei licenziamenti agitando lo spettro dello scontro sociale ma i posti di lavoro non possono essere garantiti a lungo per legge.
Gli immigrati, quando non affogano, sbarcano a frotte. È di nuovo emergenza e la pietà soccombe di fronte alla paura dei nuovi untori. L’opposizione soffia sul fuoco della rabbia e del livore mentre la maggioranza di governo appare divisa e incerta. Le elezioni regionali invece di un normale appuntamento amministrativo assurgono al ruolo di ordalia. Il referendum sul taglio dei parlamentari, nell’attuale contesto di grande emergenza appare, a dir poco bizzarro. Tra il Sì e il No, tra l’attacco ad una classe politica ridicola e la difesa di un parlamentarismo necessario, ha buon gioco Gustavo Zagrebelsky ad evocare l’asino di Buridano, che non sapendo scegliere tra due sacchi di fieno e due secchi d’acqua, muore di fame e di sete.
Non va certo meglio all’estero. Negli Stati Uniti, bagliori di una nuova guerra civile stanno accompagnando la campagna per la scelta del Presidente. In Turchia l’avvocatessa dei diritti, Ebru Timtik, è morta durante un’ingiusta detenzione mentre Erdogan sfida la Grecia per il controllo del mare. La Bielorussia non riesce a scrollarsi il giogo di Alexander Lukashenko, appoggiato da Vladimir Putin. A Hong Kong il pugno cinese abbatte ogni anelito di indipendenza. Ovunque, nel mondo, le minoranze sono oppresse e i poveri non hanno voce. Solo papa Francesco si erge come loro paladino. Per il resto, acquiescenza e indifferenza, cinismo e vigliaccheria.
A favore dell’ambiente, dopo due anni di mobilitazioni, la stessa Greta Thunberg ammette sconsolata che poco o niente è stato fatto. E la corsa ad un vaccino che sconfigga la pandemia sembra una gara per la potenza delle nazioni e la ricchezza delle grandi case farmaceutiche.
Ecco l’attualità del poeta maledetto: “Ansimante e smorto, quando l’ora rintocca, io mi ricordo dei giorni antichi e piango. E me ne vado nel vento ostile che mi trascina di qua e di là come la foglia morta”. Eppure Verlaine, ha scritto Leon-Paul Fargue, “è una sorta di coro antico della meditazione”. E solo meditando si può reagire alla ferocia e all’insensatezza del presente.
E così la “canzone d’autunno” diventa un inno di speranza. Risuona nell’etere, incita a ricordare e a reagire. Come una rinnovata parola d’ordine. A proposito: Giovanni ha i baffi lunghi.
Marco Cianca