Al referendum consultivo del 20 e 21 settembre possono votare per corrispondenza, quindi anche fuori dal proprio comune di residenza, i galeotti, i malati di Covid-19, chi è all’estero o in ospedale; per gli altri no, non è possibile.
La scoperta è nata dal mio personale dubbio se potessi votare al referendum da Roma con la residenza in Sardegna, quindi per corrispondenza. Spoiler: no, non è possibile. Sono andato a leggere la pagina web del dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del ministero dell’Interno, dove alla domanda ““Per chi lavora in Italia in un comune diverso da quello di residenza è possibile votare in quel comune per le consultazioni referendarie?” la risposta è lapidaria: “No, non è possibile.”
Data l’asciuttezza della risposta potevano, giusto per dare colore, utilizzare il frasario di “Fascisti su Marte”, indimenticabile creazione di Corrado Guzzanti: “per quel che concerne noi fortissimamente affermiamo questo puro, mero, meraviglioso eppure incontestabile fatto storico, che intero s’annuncia e si rapprende in questa semplice eppur lapidaria frase: No, non è possibile”.
Ho continuato a cercare invano altre risposte in merito, dei suggerimenti per chi si trovasse in difficoltà a tornare a casa, ad esempio per motivi economici. In fondo, un biglietto andata ritorno mi costa sempre 140 euro circa.
Eppure, concedetemi il trascurabile particolare, viviamo in un periodo di emergenza da Covid-19, dove è fortemente consigliato spostarsi il meno possibile. Viviamo nell’era digitale, dove le attuali tecnologie ci permettono di comunicare e lavorare da remoto. Insomma, il voto per corrispondenza sembrava fantascienza ma attenzione, non è così per tutti.
Per chi si trova ricoverato in ospedale, ad esempio, può votare. Il ministero, in questo caso, ha voluto dare meno frettolose risposte e finalmente provvedere a opportune precisazioni: se i posti letto nella struttura sanitaria sono più di 100 allora è possibile votare, ma se sono meno di 100 si può votare lo stesso, previa domanda. Che senso abbia sottolineare il numero dei posti letto se è possibile per entrambe le categorie votare lo stesso, è tutto da capire. Forse è la previa domanda che fa la differenza. È come se all’entrata di un locale ci sia scritto che è possibile l’ingresso ai maggiori di 18 anni “ma” ai minori di 18 anni è possibile comunque entrare, previa domanda: “posso entrare? Si, certo.” Grazie della precisazione, davvero, quando ci vuole, ci vuole.
Ma se fossi ricoverato in ospedale perché ho il Covid-19 invece che, ad esempio, per una frattura all’osso sacro? Niente paura elettore, puoi votare. Il ministero però, non si è lasciato sfuggire la ghiotta occasione di fare altre dovute precisazioni: “Sì, possono votare nelle sezioni ospedaliere, purché le strutture che li ospitano abbiano almeno 100 posti-letto. Se invece sono ricoverati in strutture con meno di 100 posti letto, il loro voto viene raccolto da appositi seggi speciali.” Qui invece niente previa domanda per fortuna.
Se invece avessi il Covid-19 ma fossi in quarantena in casa, oppure sottoposto a trattamento domiciliare, potrei votare a distanza? Si, basta il certificato medico e il voto domiciliare è possibile. Se invece fossi immobilizzato nel letto di casa? Cerco, ma le famose precisazioni del ministero latitano. Forse gli è sfuggito di informare i cittadini che, in base alla Legge 7 maggio 2009, n. 46, hanno diritto a votare dalla propria abitazione:
– Gli elettori affetti da gravissime infermità , “persone intrasportabili”, tali che l’allontanamento dall’abitazione in cui dimorano risulti impossibile, anche con l’ausilio dei servizi previsti dall’articolo 29 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.
– Gli elettori affetti da gravi infermità che si trovino in condizioni di dipendenza continuativa e vitale da apparecchiature elettromedicali tali da impedirne l’allontanamento dall’abitazione in cui dimorano.
Nel caso degli italiani residenti all’estero, a differenza di chi ha la residenza in Italia ma è domiciliato in un’altra città, il ministero neanche si domanda se possano o meno votare, perché per loro è ovvio che possano, che domande: “Qual è la procedura di voto per gli italiani residenti all’estero? Gli italiani residenti all’estero votano per corrispondenza, esprimendo il loro voto su schede che vengono recapitate al loro indirizzo di residenza all’estero.” Se risiedi a Bangkok invece che a Cuneo è ovvio che possa votare per corrispondenza.
Se per motivi di lavoro, studio o cure mediche mi trovassi temporaneamente all’estero posso votare per corrispondenza? Si, ma solo se fossi all’estero per un periodo di almeno tre mesi. Possono votare anche i familiari conviventi.
E i detenuti hanno diritto di voto? Si, purché “non siano incorsi nella perdita della capacità elettorale (a seguito dell’interdizione definitiva o temporanea dai pubblici uffici).”
Quindi per votare posso recarmi nel mio comune di residenza, spendendo soldi e tempo per l’aereo e il viaggio, oppure ho a disposizione vari escamotage di seguito qui elencati:
– Mi butto nel Tevere (noto fiume che attraversa Roma abitato da grossi affamati roditori) per farmi portare d’urgenza in ospedale. In quanto ricoverato in una struttura sanitaria, ho diritto al voto (punto 10).
– Entro in metropolitana, nei bus e nei tram e ad ogni starnuto dei passeggeri mi avvicino per inspirare profondamente, nella speranza di prendermi il Covid-19 e farmi il certificato medico per il voto a distanza (punto 11).
– Se malauguratamente, il Covid-19 preso nei mezzi pubblici si rivela grave, entro in una struttura ospedaliera dove posso comunque votare. (punto 12).
– Vado a studiare o lavorare tre mesi nelle isole Galápagos. Purtroppo dovevo farlo tre mesi fa, ma per chi ha potuto, adesso potrebbe votare. (punto 21).
– Mi drogo davanti all’unità cinofila della Guardia di finanza, facendo sbadatamente cadere dei panetti di cocaina colombiana purissima dalle tasche. Reato di spaccio, in flagrante, processo per direttissima, perseguibile con il carcere, quindi da detenuto posso votare (punto 25).
Emanuele Ghiani