La confusione regna sovrana. E nemmeno un redivivo Mao potrebbe definire eccellente, in una prospettiva rivoluzionaria, una tale situazione. Qui siamo in una palude avvolta dalla nebbia. I commentatori politici, in tv e sui giornali, si affannano a spiegare chi ha vinto e chi ha perso. Ma come si può render chiaro ciò che non si è ben capito? “Tutto ciò è, sotto un certo aspetto vero, per le stesse ragioni per cui è, sotto un certo aspetto, falso”, scriveva Agostino nei Soliloqui. Ma se il suo affanno era quello di rendere razionale l’esistenza di Dio, qui lo sforzo altrettanto immane, senza voler essere blasfemi, è di leggere una situazione politica informe, specchio rotto di una società senz’anima.
Proviamo a mettere assieme qualche frammento. Nicola Zingaretti viene rappresentato come colui che dalle urne esce con maggiore forza. Il Pd ha evitato la spallata in Toscana e mantiene la guida di Puglia e Campania. Questo è oggettivo, ma va subito precisato che i governatori delle due regioni meridionali sono dei fuori quota, in particolare lo sceriffo Vincenzo De Luca; che Eugenio Giani è stato sponsorizzato da Matteo Renzi; che Stefano Bonaccini, l’uomo che a gennaio ha difeso con successo la roccaforte Emilia-Romagna, è un possibile competitor del segretario. Bisogna poi aggiungere che sono state perse le Marche e che al Nord non c’è partita. Conclusione: è andata bene perché poteva andare peggio.
Matteo Salvini, al contrario, viene raffigurato come il vero perdente. Luca Zaia, un plebiscito in Veneto, lo obnubila, e Giovanni Toti, con la lusinghiera conferma in Liguria, si candida come il referente di una Destra più moderata. E, soprattutto, la Lega, nonostante gli sforzi profusi dal suo Capitano, al Sud non piglia pesci. Questo non può che rafforzare l’anima nordista del partito. Il doge Zaia sta già rilanciando l’autonomia differenziata. Ma è davvero possibile mettere da parte il Truce? Dubitarne è lecito, a meno che non sia la magistratura, con le inchieste sui migranti e sui fondi neri, ad inguaiarlo definitivamente. Al momento resta ben in sella e Giorgia Meloni, pur avendo conquistato le Marche con il proprio candidato, non sembra avere la statura per guidare tutta la coalizione.
I cinquestelle, novelli Erisittone, stanno divorando sé stessi. Come la dea Demetra si vendicò del mitico principe di Tessaglia, reo di aver tagliato un bosco a lei dedicato, condannandolo ad un’insaziabile fame che lo spinse, ormai pazzo, a cibarsi del proprio corpo, così la Democrazia sta punendo i profanatori dei luoghi sacri della rappresentanza. Crollano ovunque, nel voto amministrativo, ma si intestano il successo del referendum sul taglio dei parlamentari, senza rendersi conto che di fatto sono ormai considerati al pari, se non peggio, quantomeno per l’impreparazione, di tutti gli altri. Come dire: il “Sì” è anche contro di loro. L’antipolitica travolge chi l’ha evocata. Come si può essere credibili quando si chiede di ridurre le poltrone tenendo ben stretta la propria?
Qui torniamo al Pd, che ha favorito questo risultato, più per mantenere in vita l’alleanza di governo che per vera convinzione, e a Giuseppe Conte, che può continuare a galleggiare. Ora tutto si gioca su una convincente e condivisa legge elettorale e sull’uso appropriato e rapido dei fondi europei. La lotta alla seconda fase della pandemia, l’Italia è di fatto circondata, deve andare di pari passo con le grandi riforme, promesse e necessarie.
Altrimenti la Grande Confusione genererà altri Erisittone.
Marco Cianca