Mentre in Italia le attese di chi segue le vicende della ex-Ilva nel suo contrastato rapporto con ArcelorMittal – il colosso franco-indiano dell’acciaio che nel settembre 2018 si è impegnato ad acquistare il nostro maggior gruppo siderurgico – sono concentrate sull’incontro Governo-Sindacati che è stato messo in calendario per il pomeriggio di giovedì 1° ottobre, notizie inattese giungono da oltre Oceano.
Lunedì 28 settembre, ArcelorMittal ha annunciato di aver raggiunto un accordo con Cleveland-Cliffs in base al quale quest’ultima acquisirà “il 100% delle azioni di ArcelorMittal Usa”, la controllata statunitense di quello che è tutt’ora il primo produttore di acciaio al mondo.
Diciamo subito che, in Italia, quello di Cleveland-Cliffs non è un nome molto noto. Non si tratta, infatti, di un produttore globale di acciaio, ma di una società basata a Cleveland, nell’Ohio, specializzata nell’estrazione e nella pallettizzazione del minerale di ferro.
Dal comunicato di ArceloMittal si apprende che dall’accordo, che dovrebbe essere concluso entro il quarto trimestre del corrente anno, il colosso franco-indiano si aspetta di ricevere un totale di risorse finanziarie equivalenti a 1,4 miliardi di dollari. Di queste, 505 milioni saranno in denaro liquido, mentre la parte restante sarà composta da azioni. In particolare, l’accordo prevede che ad ArcelorMittal vada un ammontare di circa 78 milioni di azioni di Cleveland-Cliffs, per un controvalore di 500 milioni di dollari. A queste si aggiungeranno circa altri 58 milioni di azioni della stessa Cleveland-Cliffs, prive però di diritti di voto ed equivalenti a un totale di 373 milioni di dollari. Eventuali differenze negative saranno compensate in denaro liquido.
Dal comunicato, emerge la volontà di ArcelorMittal di non dare l’impressione che quella che sostanzialmente è la vendita della propria controllata statunitense costituisca un abbandono dell’area nordamericana. Il colosso siderurgico parla infatti esplicitamente di un “riposizionamento strategico” (strategic repositioning) della propria piattaforma operativa nell’America settentrionale. La presenza di ArcelorMittal nell’area sarà assicurata dalla permanenza dell’associata Dofasco in Canada e della controllata ArcelorMittal Mexico in Messico, nonché dall’impianto sito a Calvert, in Alabama, in cui si concretizza una joint venture, denominata AM/NS Calvert, cui partecipano la stessa ArcelorMittal e la giapponese Nippon Steel.
ArcelorMittal ricorda inoltre che manterrà le attività di ricerca e sviluppo portate avanti nei suoi centri nordamericani dedicati all’innovazione.
Ciò che sembra però premere di più ad ArcelorMittal sono due conseguenze dell’accordo raggiunto con Cleveland-Cliffs.
In primo luogo, AM sottolinea che grazie all’intesa acquisirà una significativa partecipazione azionaria al capitale di Cleveland-Cliff e che ciò le consentirà di essere parte di quella che sarà, sostanzialmente, una nuova società “più grande”, nonché “più diversificata” (di quella attualmente esistente) e dotata di una maggiore integrazione verticale che andrà dall’estrazione del ferro alla produzione di acciai tecnologicamente avanzati. Inoltre, il comunicato afferma che l’accordo consentirà la realizzazione di specifiche sinergie che ottimizzeranno l’acquisizione delle materie prime, i rapporti con i fornitori e l’operatività aziendale.
In secondo luogo, AM richiama l’attenzione sul fatto che l’intesa consolida la sua posizione finanziaria. Un rafforzamento di cui gli attuali azionisti saranno i primi beneficiari, visto che la stessa AM intende effettuare a loro vantaggio, attraverso un programma di riacquisto di azioni proprie (“share buyback programme”), una redistribuzione per un valore pari a 500 milioni di dollari.
Tutto bene, dunque? A leggere il comunicato di ArcelorMittal parrebbe proprio di sì. Tuttavia, si capisce meglio la valutazione ampiamente positiva dell’accordo espressa dai dirigenti di Cleveland-Cliffs. Quest’ultima società, infatti, si rafforza industrialmente in modo evidente, dato che dall’anno prossimo potrà agire con un ciclo integrato che andrà dall’estrazione del minerale di ferro alla produzione di acciaio.
Meno comprensibili le ragioni di ArcelorMittal. Che, certo, si libera dell’ingombro di una struttura produttiva attiva in un Paese le cui attività manifatturiere sono state duramente colpite dalle conseguenze della lotta contro la pandemia da Covid-19. E che, certo, vede rimpinguarsi le sue disponibilità finanziarie a breve.
Restano però un paio di interrogativi: in quale strategia globale si inserisce questa inattesa mossa americana? E ancora (per noi, soprattutto): nell’ambito di questa attuale, forse nuova, strategia globale, quale posto avrà la complessa vicenda della ex-Ilva?
Due interrogativi, questi, cui per ora, lo confessiamo, non siamo in grado di dare nessuna risposta. Per il momento possiamo solo dire due cose.
La prima: per settori altamente integrati come quello dell’alluminio e quello dell’acciao, ma anche – sempre di più – come quello dell’auto, non esistono quasi più le industrie nazionali. Esistono dei players globali che, in base a strategie globali, spostano attività e capitali non solo da uno Stato nazionale all’altro, ma da un continente all’altro. Per questo, capire cosa uno di questi players fa in una data casella dello scacchiere mondiale su cui porta avanti il suo gioco può aiutarci a capire cosa si appresta a fare in un’altra casella.
La seconda: quando la trattativa tra il Governo italiano e ArcelorMittal Italia sui nuovi assetti proprietari della ex-Ilva entrerà nel vivo, e cioè, forse, già dalla settimana prossima, potremo cominciare a capire qualcosa di più sugli attuali disegni della famiglia Mittal.
@Fernando_Liuzzi