Senza dover accodarci ad inutili polemiche dobbiamo riconoscere che di tempo se ne è perso. Emblematica è la sterile controversia sul Mes, le risorse europee messe a disposizioni con tassi oltremodo vantaggiosi per rafforzare la trincea sanitaria. Abbiamo accusato il “no” di essere succube di rigidità ideologiche, ma in realtà ad impedire l’utilizzo del Mes non è stato solo lo spirito di bandiera dei 5stelle fin troppo sopportato da Zingaretti e Renzi, ma anche la impreparazione mostrata a tutt’oggi per definire i progetti da mettere in campo per rendere tempestivamente utile il Mes. E su questo versante emerge una contraddizione evidente.
Abbiamo un’industria ed una ricerca di alto livello in grado di massimizzare le disponibilità finanziarie provenienti dall’Europa, ma sul piano istituzionale e politico scontiamo ritardi che paralizzano le iniziative indirizzate sia alla introduzione di terapie sempre più efficaci, sia per migliorare organizzazione e strumentazione sanitaria.
Invece si è levata una bufera di inutili invettive contro una frase molto infelice del Ministro della Sanità che si attendeva “segnalazioni” sulle feste in famiglia troppo numerose, ma nessuno ha preso di petto il vero problema: la mancanza della presentazione di un tempestivo progetto di interventi che renda plausibile il ricorso al Mes.
L’estate è stata considerata una sorta di tregua che invece, ma si poteva intuire, il virus non ci ha concesso, anche per via dei comportamenti collettivi. Ma quella tregua pare non abbia neppure consentito di utilizzare quelle settimane per concertare con le Istituzioni locali e le forze sociali un piano di contrasto a quella seconda ondata che purtroppo era gia’ in corso e ci conduceva verso la terza, quella che abbiamo di fronte, quella più pericolosa.
Ed ecco che non si è riusciti ad affrontare come meritavano i limiti mostrati in primavera da questo, pur esemplare per certi versi, sistema sanitario e le conseguenze di un federalismo sanitario che mostrava vistosi punti deboli bisognosi di rapide correzioni da realizzare assieme ai poteri decentrati. Se guardiamo ai problemi attuali che si infittiscono con l’arrivo della stagione più a rischio, comprendiamo che i giorni di scontri e discussioni esasperate per correre dietro ai must mediatici del referendum o del decreto Salvini, che pure meritava una profonda modifica, potevano essere gestiti meglio concentrandosi prioritariamente sulla questione sanità. Si è perfino perso del tempo a stigmatizzare il folklore miserabile dei negazionisti che si sono rivelati per quello che erano, una parodia insignificante e sballata del Don Ferrante manzoniano che negava l’esistenza della epidemia perché non… si vedeva.
Ma anche in Europa constatiamo che ogni Paese cerca di risolvere l’assalto del Covid 19 ognuno a modo suo, come se si trattasse di una drammatica gara in cui si è soli e non invece uniti su un percorso da affrontare assemblando il meglio della ricerca e della produzione farmaceutica europea. L’Europa appare come un gigante in ginocchio quando invece potrebbe essere un grande laboratorio di progetti sanitari, sociali ed economici comuni.
Ci sono poi troppi interrogativi che da noi pesano: il rapporto Stati-regioni, il ruolo dei medici di famiglia, le priorità da garantire per le vaccinazioni e il sostegno alle fasce più deboli e fragili come gli anziani, per evitare nuove stragi come in primavera, la sicurezza sul lavoro che non va mai messa fra parentesi, la situazione delle regioni meridionali. E soprattutto la sorte delle attività produttive se il virus continua a manifestare la sua insidiosa contagiosità. Su questo piano il tema sanità e quello economia dovrebbero coincidere. La sanità è economia, la migliore possibile in momenti tanti complicati come questo. Ma non si possono fare progressi in questa direzione se ad esempio la Confindustria adotta ancora e sempre vecchi schemi di comportamento e giudizio come ha dimostrato di fare sui rinnovi contrattuali. Quella visione dell’economia come terreno di scontro per affermare pregiudiziali anacronistiche, a protezioni di egoismi inconcepibili e dannosi (anche per il ritorno alla crescita interna necessaria per scongiurare chiusure e perdite di posti di lavoro), appare un ostacolo alla necessità di guardare avanti con la determinazione, lungimiranza e coesione indispensabili.
Si è ripetuto tante volte che la pandemia era anche una occasione per cambiare. Ma il cambiamento non è un’ora X, si costruisce con pazienza, con il dialogo, con la capacità di riconoscersi come interlocutori, di modificare le proprie intransigenze. Le forze sociali possono molto in questa direzione. E potrebbero anticipare la politica nell’indicare la direzione di marcia che eviti il collasso economico e produttivo, salvaguardando nel concreto il valore di una solidarietà che realizza dignità nel lavoro e nella convivenza civile. Un concetto che abbiamo letto con grande forza etica nella ultima Enciclica di Papa Francesco con una annotazione che potrebbe essere davvero preziosa: la vera saggezza è quella che sa riconoscere la realtà. Ed è con la realtà, sia pure dura e difficile, che dobbiamo confrontarci senza timori. E’ la migliore tradizione del riformismo che ce lo ricorda. Ma che non abbiamo nessuna intenzione di far cadere.
Paolo Pirani