Le funzioni essenziali della vita. Sono quelle che Giuseppe Conte proclama di voler proteggere, giustificando in tal modo divieti e limitazioni di tutto quello che appare secondario. Bisogni e desideri entrano così in una sorta di gerarchia dei valori, una classifica delle priorità stilata da scienziati e politici. Facciamo sacrifici rinunciando a tutto ciò che non è indispensabile per i ritmi biologici e per la produzione. Mangiare, bere, dormire. Respirare, anche se male quando indossiamo la mascherina. Lavorare, chi ha ancora un lavoro, magari da svolgere stando a casa. Studiare e insegnare, però in un clima di incertezza, senza che ci sia concordia nel riconoscere che la trasmissione del sapere non può subire interruzioni.
Gli affetti sono accettati solo nell’ambito dei congiunti. L’amicizia, l’amore e il sesso, al momento, rientrano nella graduatoria del superfluo. Non ci si può dare la mano o abbracciarsi, figuriamoci un bacio, persin casto. La morale cattolica si intreccia con le misure di prevenzione. Qualsiasi altra persona al di fuori della famiglia e delle unioni in qualche modo codificate diventa un possibile untore. Si può andare a messa ma non a teatro o ad un concerto. Bar e ristoranti, luoghi di peccato, vanno chiusi al calare del giorno, perchè le tenebre favoriscono il diffondersi del sulfureo Coronavirus.
Il plumbeo contesto che ci imprigiona ha un sapore di buio medioevo. Quando attori, musici e saltimbanchi dovevano essere sepolti fuori dalle mura cittadine, in terra sconsacrata. E le taverne venivano considerate covi di vizi e lascivia. Vino, birra, risate e prostitute. Spettacoli e convivialità come tentazioni diaboliche. La peste la portavano i topi che pullulavano nei bassifondi, regno di osti, ladri e artisti girovaghi. La ripulsa del degrado e la condanna dei facili costumi finiva con l’avere una giustificazione igienica. La morale indossa le vesti della salute.
Mutatis mutandis, direbbe Manzoni, sta avvenendo qualcosa del genere. Nessuno capisce bene come si sviluppa e si trasmette il virus, quindi l’unica soluzione è proibire tutto ciò che sa di promiscuo. Anche le palestre, avendo a che fare con la cura edonista e collettiva del corpo e non con quella solitaria dell’anima o della mente, vanno chiuse. I divieti e le “forti raccomandazioni” del governo rimandano tutte ad uno schema sociale costituito da monadi, ognuna delle quali difende sé stessa dalle altre. L’individualismo, e la ristretta cerchia, come contrasto all’epidemia. Telefonini, computer e televisione devono surrogare i pericolosi contatti fisici. Un solipsismo nell’era digitale. Il consumismo perde colpi ma gli acquisti on line impazzano e le catene dei supermercati sono, come le farmacie, fabbriche di guadagni.
Forse, per uscire dall’incubo della malattia, la scelta di evitare ogni forma di assembramento, diventa inevitabile. Ma non è chiaro perché una sala concerti, un cinema o un teatro, con i posti distanziati, siano considerati più perniciosi dei mezzi pubblici di fatto abbandonati a sé stessi. È ovvio che le osservazioni critiche nulla hanno a che fare con gli eversivi sommovimenti in piazze incendiate anche dalle sprezzanti parole dell’opposizione che accusa il presidente del consiglio di essere “vanesio e incompetente”. “Hanno ragione i napoletani”, titolava Libero dopo i primi incidenti scatenati da camorra, neofascisti e ultrà del calcio. L’assalto al palazzo, anzi alla diligenza, ricorda il reggino “boia chi molla”.
Ma d’altra parte, il dissenso, se fondato, non deve mai essere criminalizzato. Gli appelli di artisti e intellettuali a non mettere in isolamento la cultura e le richieste di ristoratori e baristi per rivedere le regole che li mettono in ginocchio, non possono infrangersi contro il muro di una ingiustificata supponenza. La desolazione dei sentimenti e delle emozioni non è una cura ma un morbo.
Un giorno tutto questo passerà. Il virus, che andrebbe considerato come un essere intelligente e mutevole, scomparirà. E sulle macerie bisognerà fondare una nuova teoria dei bisogni. Non può essere il politico di turno a stabilire quali sono le funzioni essenziali della vita.
Marco Cianca