Medici e poliziotti. I primi per curare, i secondi per sorvegliare. È la società sanitaria. Gli individui diventano un unico corpo, aggredito dal Coronavirus, bisognoso di terapie e di tutele. Il grande indistinto, senza volto, privo di ogni originalità. Si ragiona per categorie produttive: lavoratori, pensionati, commercianti, artigiani, imprenditori. Per settori: scuola, trasporti, famiglie, luoghi di ritrovo. Per fasce di età: bambini, giovani, anziani. Uomini e donne pari sono, almeno all’apparenza. Le differenze di genere, in tutte le loro declinazioni, diventano marginali.
La pandemia si fa dittatura. Non nel senso di sopraffazione o di violazione delle regole democratiche, anche se le inusitate limitazioni della libertà rischiano di lasciare una profonda ferita, ma di massificazione globale. Gli scienziati, novelli oracoli, sentenziano e i politici, in balia di vaticini e profezie, decidono. La gente non può che obbedire. Il sovversivismo di chi si ribella, a torto o a ragione, alle imposizioni non cambia la cifra dell’omologazione di fronte alla malattia. Anche i negazionisti, la cui tragica e omicida idiozia sarà giudicata dal tribunale della storia, vengono colpiti dal morbo.
Eppure, l’egualitarismo esistenziale indotto dal Covid-19, invece di trasformarsi in una generale consapevolezza della comune caducità, sta generando per contrappasso una frantumazione delle coscienze. Rinserrati nel nostro egoismo, consideriamo tutti gli altri come potenziali untori, possibili nemici che inquinano l’aria già difficilmente respirabile con naso e bocca coperti dalla mascherina. La paura e il sospetto imbrigliano ogni empito di fratellanza. Il divieto di un abbraccio e di una stretta di mano imprigiona i sentimenti.
Ora, è evidente, non può essere altrimenti. I governi, tutti i governi, hanno solo la scelta di sbarrare porte e finestre in attesa del mitico vaccino. Ma questa inevitabile asfissia preventiva, per non strozzare anche la circolazione delle idee, andrebbe accompagnata da un ininterrotto e proficuo flusso critico che dia nuovo ossigeno alle ragioni dello stare assieme e al futuro della civiltà. Come immaginiamo l’uscita dal tunnel? E se dopo questo virus ne arrivassero altri? Siamo pronti a convivere in un perenne stato di emergenza? Abbiamo finalmente raggiunto la consapevolezza di non essere immortali e onnipotenti? Stiamo difendendo le nostre vite ma saremmo disposti ad un’uguale mobilitazione per salvare quelle dei bambini che muoiono di fame, di sete, sotto le bombe o per mettere fine alle tante guerre dimenticate?
L’andrà tutto bene e i canti dal balcone suonano come una beffa. Troppo a lungo sta durando il contagio. La cappa del coprifuoco esilia ogni allegria. Il vero errore è stato raccontare la favola che tutto tornerà come prima. È mancata una seria e sincera narrazione di quel che sta accadendo, lamenta Donatella Di Cesare, che dall’inizio cerca di leggere i cambiamenti epocali con la lente della filosofia.
Pensieri e parole galleggiano sulla superficie. Fragili barchette affidate al vento dell’ incertezza. Epifenomeni di una realtà negata. Si guarda al dito e non alla luna. Persino le classiche ricette riformiste risultano inadeguate. Maurizio Landini invoca un nuovo modello di sviluppo. Ma quale società si ha in mente? Un diverso modo di produrre o anche di consumare? L’intramontabile Achille Occhetto, autore di un ennesimo libro, si schiera tra coloro che sostengono come il virus abbia infranto il mito del Pil e auspicano un new deal impregnato di ambientalismo. Ma, al contrario, emerge una moderna Sparta, i deboli e i vecchi considerati inutili, un peso, da confinare e magari sacrificare sull’altare dell’efficienza e della vigoria. Una società sempre più senza radici, senza memoria, senza tenerezza. La strada era già tracciata e il morbo giunto dalla Cina ha accelerato il cammino in modo esponenziale.
Non servono i calcoli di Thomas Piketty per capire quanto stiano aumentando sia le diseguaglianze sia le grandi ricchezze. Il sanitarismo, fase suprema del capitalismo. I terroristi islamici sono compresi nel prezzo.
Marco Cianca