Nell’ultimo Dpcm non sono previsti – come era girata la voce – gli arresti domiciliari per gli ultra70enni (peraltro, come aveva osservato Nunzia Penelope, sarebbe stato sufficiente applicare la restrizione ai soli uomini, visto che le donne resistono meglio all’assalto del virus). Confesso che – all’annuncio del probabile lockdown per anzianità – aveva cominciato a frullarmi per la mente un pensiero maligno: Gli sta bene a Davigo! Dalle stelle alle stalle. Nel giro di qualche settimana è stato posto in quiescenza ed estromesso dal CSM, ha assaggiato l’amaro pane del tradimento, e adesso lo chiudono anche in casa (essendo il suo settantesimo compleanno divenuto più celebre di quello della stessa Regina Elisabetta II). Poi, mi sono ricordato che io sono più anziano di lui e pertanto avrei condiviso l’isolamento, benché in buona salute, insieme alla mie gatte. Ma – come si sa – le grane si insediano nei particolari: quando si è trattato di mettere la norma nero su bianco si sono accorti che nella trappola erano caduti soltanto Giovanni Toti – e, purtroppo anche l’amico Pietro Ichino – a fronte di un coro di opinioni contrarie. A questo punto, hanno lasciato perdere, salvo stabilire che dalle 22 alle 5 del mattino seguente, tutti vengono considerati anziani. Così il coprifuoco non discrimina più nessuno in particolare, perché viola il diritto di tutti alla mobilità. Personalmente, conducendo una vita molto ritirata, mi chiede che cosa fanno i miei concittadini alla notte. Soprattutto adesso che i luoghi pubblici vengono chiusi dalle 18 in poi. Si vede che i giovani, da neet, si sono trasformati in animali notturni e che si apprestano ad organizzare apericene al sacco da consumare nelle piazze deserte (un tempo campo di battaglia del movimento delle Sardine), visto che anche i parchi pubblici sono chiusi. Tornando al lockdown delle canizie, a parte il “politically correct” degli argomenti usati, Toti non intendeva affatto non tutelare gli anziani; anzi, ad avviso del Governatore della Liguria il confinamento era un mezzo di protezione, perché – secondo i dati – gli anziani, anche a causa delle altre gravi patologie da cui sono affetti, sono i soggetti più a rischio. In quella fascia di “terra leggiadra” le organizzazioni sindacali hanno subito preso in parola i propositi di tutela per gli anziani, espressi dal presidente Toti. “È l`insieme delle azioni di prevenzione e tutela – hanno scritto in una nota – a garantire una vita dignitosa a questa fascia di popolazione, limitando al massimo il rischio del contagio e senza rischiare di confinare o lasciare al loro destino gli anziani. Vista l`urgenza e la delicatezza del tema, Cgil Cisl Uil confederali e di categoria ritengono che una convocazione in tempi rapidi sia quanto mai opportuna”. Per quanto mi riguarda credo che occorra cominciare a porsi un altro problema, dapprima sul piano etico, poi su quello politico ed organizzativo. Ma come scrive Pietro Ichino partiamo dai dati, da quelli sulla letalità di cui alla tabella contenuta nella sua ultima NL del 2 novembre scorso. I medesimi dati resi pubblici nei bollettini periodici dell’Istituto superiore della Sanità e riassunti da Luciano Capone su Il Foglio di sabato scorso. “Il Covid, lo sappiamo, colpisce – scrive – più duramente gli anziani: l’età media dei deceduti e positivi al coronavirus è di 80 anni, mentre l’età mediana dei deceduti è più alta di 30 anni rispetto a quella dei positivi. La letalità – prosegue Capone – diminuisce nettamente al diminuire dell’età: i deceduti con meno di 50 anni sono l’1% del totale, quota che scende allo 0,2% sotto i 40 anni. Tutto questo è risaputo e, ovviamente, non rende meno necessarie tutte le precauzioni per limitare il contagio e salvare ogni vita umana possibile. Ciò su cui c’è però molta meno consapevolezza, e di cui si discute poco, è che le misure di contrasto al Covid colpiscono più duramente i giovani”. Come ho già avuto occasione di scrivere, io potrei essere in conflitto di interessi essendo assai prossimo agli 80 anni. Sento però il dovere di chiedere a me stesso: ‘’Quale diritto ha la mia generazione – che dalla vita ha ottenuto quasi tutto con facilità con il solo merito di vivere in un periodo storico probabilmente irripetibile – di sfasciare l’economia, di lasciare sulle spalle delle giovani generazioni un debito pubblico enorme, anche in conseguenza di un sistema pensionistico a rischio di insostenibilità di cui solo essa gode dei vantaggi: tutto ciò al solo scopo di rubacchiare qualche anno di vita in più?’’. In una situazione sanitaria in cui chi si ammala di covid ha l’opportunità di salire su di una sorta di “ascensore sanitario” che lo fa passare davanti a tutti gli altri ancorchè affetti da gravi patologie, mortali, che si contraggano anche in età inferiore come il carcinoma o le malattie del sistema cardiocircolatorio. Le inchieste televisive ci introducono nei reparti in cui sono ricoverati coloro che sono stati contagiati dal virus maledetto. Ci mostrano la sofferenza, la gravità dei sintomi in uno scenario in cui il personale sanitario sembra uscito da un film di fantascienza. La vecchia signora di 94 anni che è riuscita a sopravvivere viene presentata come un successo non solo dell’impegno dei medici e degli infermieri che stanno in prima linea, ma della battaglia ingaggiata dal sistema contro la pandemia.
Certo ogni vita è preziosa e va fatto tutto il possibile per prolungarne l’esistenza. Ma il decesso, soprattutto quando il contagio si aggiunge – come nella grande maggioranza dei casi – a preesistenti gravi patologie non deve essere ricondotto ad una carenza del sistema sanitario, che “non ce l’ha fatta”, ma alla natura propria dell’essere umano. Come diceva Epicuro “In necessitate vitae vivere non necesse”. Quale è dunque la conclusione di questo ragionamento? A chi scrive non vengono in mente soluzioni di carattere organizzativo; basterebbe ripristinare un rapporto culturale corretto con quell’episodio della vita che è la morte.
Giuliano Cazzola