“La pioggia non cade su un solo tetto” recita un proverbio africano. Come dire, in tempi di pandemia tanto stringente, che sarebbe bene non dimenticarsi che scontiamo un destino comune e che quindi sarà importante non dimenticarsi di un valore come l’uguaglianza come metro di giudizio per le scelte da compiere.
Un segnale positivo in questo senso ci giunge dagli Stati Uniti dove lo sconsiderato populismo di Trump è stato sconfitto nelle elezioni Usa. E’ auspicabile infatti che la Presidenza Biden, malgrado la tenace opposizione messa in campo dal suo antagonista forse per garantirsi tutele successive, tenga fede alle attese di cui è circondata. Attese che possiamo sintetizzare così: la difesa della salute prima delle pretese della finanza e delle oligarchie economiche, il dialogo e la collaborazione – specie con l’Europa – all’opposto della disinvolta ma sterile dimostrazione di muscoli che ha elettrizzato i populismi sparsi per il mondo, la riassunzione del realismo come metro per affrontare le questioni cruciali e non l’arroganza che ha inteso frantumare regole ma anche indispensabili coerenze con la vita democratica.
Naturalmente è prudente andarci piano, ma quel segnale d’oltreoceano è indubbiamente un viatico per il mondo e in particolare per un’Europa che forse, diciamo forse, sta comprendendo che è necessario fare un passo in avanti nella condivisione del suo comune destino.
Lo dimostra il fatto che mai prima d’ora si erano messe in comune risorse ingenti per fronteggiare la crisi che attraversa tutti i Paesi del vecchio continente a causa della epidemia da Covid. Ma non solo: si comincia a discutere apertamente di debito comune, di revisione delle regole, e, soprattutto visti i tempi difficili, della gestione europea dei prossimi vaccini anti-virus. E questa ultima affermazione non deve restare lettera morta.
Ritorno ad una democrazia più partecipata e gestione comune dei problemi drammatici che dobbiamo fronteggiare: sono due segnali che in vario modo attendono conferme ma almeno indicano una strada positiva che vale la pena di percorrere.
E’ inevitabile che avremo ancora diverse settimane, qualche mese, nelle quali la nostra vita collettiva sarà scandita dall’evoluzione dell’epidemia. Del resto lo stesso Biden è stato chiaro nell’ammonire i suoi concittadini sul fatto che si dovrà affrontare un inverno difficile. Ed in Europa la Merkel, tanto per fare un solo esempio, non si discosta da questo atteggiamento. Questo messaggio non vuol dire ovviamente “rassegnazione” o che dobbiamo subire il regno della paura.
Ma semmai comprendere che se il paradigma fondamentale è mutato e si chiama ora “salute”, è necessario concentrare l’attenzione su questo bene comune anche quando giustamente si guarda al dopo ed all’impegnativo percorso per risalire e tornare alla crescita. Ed il primo problema che avremo di fronte sarà quello di non acuire le diseguaglianze. La prima prova, ineludibile, sarà quella di un piano per i vaccini che sia in grado di definire priorità, modalità di distribuzione, tempi per una vaccinazione di massa che come si sostiene sarà complessa ed avrà bisogno di una rete sanitaria , già provata dall’emergenza, in grado di reggere a questa non facile prova. Insomma andranno definiti per tempo “quando”, “a chi” e “come”.
E sarà decisivo i quel momento lasciare da parte autoreferenzialità, ribellismi, calcoli politici deteriori, caccia al consenso a tutti i costi, per virare verso uno scenario nel quale, con diverse responsabilità, tutti i soggetti istituzionali, politici e sociali, svolgano una parte attiva e positiva.
Non è un obiettivo a portata di mano, tutt’altro viste le tensioni di questo periodo mentre si è scivolati verso un quasi lockdown strisciante fra confusioni evitabili se non si fosse perso tempo e le solite furbizie per mascherare le falle del nostro sistema a tutti i livelli. Ma quello di far salire la qualità politica e sociale del nostro impegno è probabilmente un passaggio obbligato se vogliamo garantire diritti eguali ai cittadini, ma anche un comportamento da “europei” che vogliono essere protagonisti di svolte reali nel cammino comune che potrà aprirci la via non verso una decrescita “infelice”, ma una reale e duratura ripresa.
Abbiamo del resto un esempio dal quale trarre tutti una utile lezione: il confronto e le scelte compiute da imprenditori e sindacati per garantire la sicurezza di lavoratrici e lavoratori e quindi la continuità produttiva, ragionando sul modo migliore di applicarla, ha evitato esplosioni di grandi focolai come è avvenuto in altre parti della nostra convivenza civile. Certo, di questo non se n’è parlato in giro, non ha preso la scena nei talk show, la politica non pare essersene molto accorta, ma certamente ha permesso al Paese di andare avanti senza dover assistere anche al dramma di una lockdown industriale per mesi. Naturalmente il virus circola ovunque, ma conta il ruolo che le parti sociali hanno saputo esercitare in questi duri mesi e che ha permesso di tenere sotto controllo una insidia sanitaria ed economica che non ha assunto finora le caratteristiche di un nuovo, possibile disastro.
Perché riflettere anche su questo punto? Il motivo è semplice e varrà ancor di più in futuro. La situazione economica dell’Italia ci indica che abbiamo toccato un livello fra i più bassi dell’area europea, proseguendo su un tracciato che era già, purtroppo, nostro, prima della pandemia. Alcuni dati non vanno mai dimenticati: il debito pubblico nelle previsioni della Commissione europea nel 2022 sul 2019 crescerà del 24,4%, un balzo notevole secondo solo a quello della Spagna che si aggira sul 28%.E questo avverrebbe in un Paese che in termini reali dalla nascita dell’euro è cresciuto solo del 2, 01% secondo Eurostat mentre nell’eurozona ci si è attestati al… 23,4%. E questo vuol dire anche che dobbiamo ritenerci fortunati che nessuno ci rimproveri questa lentezza senza la quale il bilancio dei nostri partner sarebbe salito ancora, ovvero oltre il 28%. Attenzione quindi, non abbiamo tempo da perdere, visto pure che i dati sui consumi e sul reddito delle famiglie da noi sono in preoccupante calo, inevitabile nel breve periodo, ma da scongiurare per i prossimi anni.
Ma tali considerazioni ci portano anche a ragionare sulla esigenza che l’azione delle forze sociali si rafforzi sul terreno europeo, trovando quella sintonia che proprio la lezione della pandemia può favorire per correggere le distorsioni dell’economia reale e quelle introdotte dallo strapotere delle logiche finanziarie e dei potentati economici. Senza escludere che un ruolo incalzante dei sindacati può, da un lato, ridurre ancora le farneticazioni populiste, e dall’altro restituire fiducia nella democrazia attraverso la rivendicazione di diritti del lavoro e della dignità della persona che oggi appaiono inevitabilmente appannati o peggio a che in Europa disconosciuti.
E’ un altro compito che ci viene assegnato da uno dei periodi più tormentati che dalla fine della seconda guerra mondiale l’Europa ha vissuto. Ci aspetta il dovere di compiere un salto di qualità nel nostro impegno quanto mai gravoso ma indispensabile. E non mi riferisco a situazioni contingenti come potrà essere ad esempio la vicenda della nostra manovra di bilancio, monumentale ma poco discussa, che percorrerà il suo iter parlamentare inevitabilmente attraverso ratifiche.
Ma è più importante fin d’ora tornare ad un atteggiamento progettuale che sia comune a tutte le forze in campo e che vada oltre le attuali dinamiche politiche di cui nulla resterà per costruire qualcosa di utile al Paese se continueranno a rimanere teatro di scontri di facciata e riedizione di vecchi costumi di potere. Il tempo non è molto, ma il riformismo italiano può svolgere un’iniziativa preziosa a non perderne ancora se saprà essere attivo ed ostinato nel pretendere da se stesso e dagli altri eguale rigore nell’indicare la direzione di marcia. Con i progetti e non col trasformismo, con scelte partecipate e non con slogan che lasciano il tempo che trovano. Il riformismo sindacale allora, soprattutto se unito e capace di sostenere obiettivi e diritti precisi a partire dalla contrattazione, potrà continuare ad essere un protagonista dal quale non si potrà prescindere per uscire da questo lungo tunnel della pandemia.
Paolo Pirani