Alexis de Tocqueville nell’800 descriveva così la stampa: “la stampa è per eccellenza lo strumento democratico della libertà”. Oggi probabilmente si chiuderebbe in un assoluto silenzio. Prima o poi occorrerà con serenità ma senza remore interrogarsi sul ruolo dei media in questo periodo tormentato della pandemia che, senza generalizzare, ha descritto il più delle volte come un…evento e non come quello sconvolgimento delle nostre società nel quale siamo tuttora immersi.
In questi frangenti il ruolo della stampa non è per nulla facile, specie in un’epoca nella quale gli strumenti di informazione si sono moltiplicati e raggiungono tutti con una immediatezza e velocità mai vista in precedenza. Ma per tornare a Tocqueville è innegabile che quel rapporto fra stampa-democrazia-libertà appaia parecchio consumato e talvolta non più in funzione come se fosse considerato un retaggio del passato.
Le cause sono molteplici, alcune vengono da lontano. Eppure il tormentone mediatico cui assistiamo sul virus quasi fosse una spettacolare rappresentazione, a causa della sua insistenza e, diciamolo, della sua superficialità ha generazione spesso più una confusa assuefazione che una consapevolezza vigile nella opinione pubblica.
Si sono così create figure popolari, ma a scapito di una informazione capace di offrire punti di riferimento, orientamento, prospettive che fossero in grado di arginare la crescente incertezza, le tante paure. La sorte ha voluto che questa stagione dei media si sia incontrata con il conformismo politico e il trasformismo di governo, rendendo ancor più visibili condizionamenti che non hanno fatto bene all’informazione.
I messaggi della politica hanno toccato punte di ovvietà, se non di banalità, delle quali sono testimone le litanie proposte nei tg e nei tlak show a difesa delle proprie posizioni, prive non di rado di personalità e di un minimo di elaborazione culturale. Il tutto senza veri contraddittori, anzi come è avvenuto in tv conditi da una malizia dei conduttori o degli intervistatori che serviva solo a collocarli nel campo dei simpatizzanti o degli antipatizzanti, secondo la corrente moda che legge la politica come un fenomeno da tifoseria.
Certo, non tutto è così, abbiamo infatti esempi di giornalismo da inchiesta certamente pregevoli e talvolta coraggiosi.
E forse è anche la continua inondazione di news trasferita nei media dalle nuove tecnologie a provocare una lettura più…scontata della realtà, senza chiedersi troppo il perché di quello che accade e, soprattutto, dove ci può portare. Si pensi alla giostra continua di numeri collegati al Recovery fund cui non sta seguendo però una riflessione su cosa quella marea di soldi effettivamente può determinare, come essa, a quel che si sa, verrà gestita, con quali obiettivi, con quali ripercussioni anche sulla nostra vita democratica e sociale. Si pensi al poco spazio invece che viene dedicato alla crescita esponenziale del debito pubblico che finirà per essere la vera “patrimoniale” sui redditi dei cittadini e incidere anche sugli eccessi di assistenzialismo che non potranno non conoscere una fine…
E non si può neanche dire che nel settore manchi la formazione, compresa quella universitaria, solo che qualche decennio fa l’università del giornalismo era costituita dalla gavetta, dalla frequentazione dei colleghi più esperti, dalla selezione sul campo, dalla…strada, dalla curiosità e dalla voglia di capire. Oggi gran parte di questo armamentario pare essere divenuto desueto. Ma come avviene per la classe dirigente, anche nel caso dei media si avverte una sensazione di improvvisazione, di quotidianità senza troppe idee; perfino una certa sciatteria linguistica e di stile di quando in quando prende il sopravvento nell’indifferenza.
Siamo in presenza di società complesse, ma la tendenza dei media è alla semplificazione ma questo processo non aiuta la comprensione della realtà e dei problemi che abbiamo di fronte.
Una volta, al tempo in cui molto aveva come cornice un contesto ideologico, questa propensione a non approfondire le questioni sarebbe stata confinata nelle… brevi di un qualsiasi giornale. Eppure oggi, liberatici degli…occhiali ideologici, paradossalmente il rischio di disinformazione appare accresciuto. Ed in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo non è una confortante osservazione.
Il 2021 sarà un anno cruciale ma ancora molto complicato: un banco di prova severo per tutti noi, ma anche per i media.
La retorica, la facile propaganda, le astuzie per dribblare le difficoltà potrebbero creare, se riproposte, ritardi e sfiducia di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Servirebbe allora un ruolo dei media che non assolvesse senza troppi patemi il ricorso a questa strumentazione politica.
Ma se è vero, come è vero, che moltissimo si giocherà sul terreno sanitario ed economico, allora sarà fondamentale che i media sappiano spiegare realmente e con spirito critico se occorre i progetti e gli atti che dovranno portare il nostro Paese ad aprire, si spera, una nuova stagione di crescita e di maggiore sicurezza sanitaria. E’ su sanità ed economia che dovrebbe registrarsi un salto di qualità nella informazione. Così come non sarebbe male evitare di indulgere sui pettegolezzi che circondano i personaggi pubblici, quanto invece approfondire la competenza con la quale svolgono ruoli che incideranno decisamente sul futuro del nostro Paese.
In realtà l’uso di strumenti di informazione nuovi implica una riflessione complessiva su una attività professionale che resta essenziale per il nostro futuro. Compresi i rischi che essa corre, siano le sempre più frequenti fake news, oppure la precarietà del lavoro giornalistico, od anche il mutare del controllo delle proprietà. E sarebbe molto interessante che, come è già avvenuto, i professionisti della informazione si aprano di più alla comprensione delle tematiche che determineranno i veri assetti futuro della nostra società a partire dal lavoro. E non già per fare favori ad imprese e sindacati, quanto per capire meglio quale è la vera scommessa che questo Paese dovrà fare per tenere il passo, modernizzarsi, ridurre le diseguaglianze. Oggi per una parte dei media l’Italia è solo spettacolo, auguriamoci che nel prossimo futuro venga considerata invece un cantiere vivo di progetti, di nuova etica, di trasformazioni che creino nuovo lavoro e sia necessario anche per l’informazione misurarsi su tutto questo.
Paolo Pirani