Inossidabile e molesta è la tenacia con cui Giuseppe Conte prosegue sulla strada dell’indeterminatezza del suo personale e segreto programma che dovrebbe guidare l’Italia nel futuro prossimo. Ammesso che sappia cosa fare oggi. Sorrisetto e arroganza e un po’ di maniera, lui continua a mortificare le aspettative di quanti- sempre meno in verità- avevano aspettative nell’avvocato diventato premier per caso.
La situazione è presa a randellate dall’ex premier Renzi che di vivo ha senz’altro la parola, e l’estenuante difesa di Zingaretti per una maggioranza frantumata preda di un antieurepeismo che nei fatti è smentito giornalmente dalla granitica governance delle tre donne ai vertici della Ue Merkel, Leyn,Lagarde che hanno portato tutti i governi dell’Eurozona a votare e ratificare la risoluzione sul Mes .E noi italiani ostaggio di una politica povera, riottosa e codarda al traino di una Europa che ci salva con –quella sì-la potenza di fuoco della BCE, la richiesta granitica della programmazione e rendicontazione dell’uso dei fondi e della restituzione entro un certo periodo delle risorse elargite, inchiodandoci all’etica della responsabilità che il nostro paese pare abbia perduto. Forse il Recovery non finirà in manovra con un emendamento( ma per grazia ricevuta da Renzi) la Fondazione per i servizi segreti giochino personale di Conte forse sarà difficile metterla in piedi e, sempre forse, i 200 miliardi del Recovery la gestirà ,forse ,una assemblea di super esperti( si fa per dire) messa in piedi con il manuale Cencelli accontentando tutti i famelici dissidenti,maggioranti, minoranti ecc,transitando da un Parlamento anestetizzato mentre sindaci e presidenti di regione scalpitano inascoltati perché chiedono oltre le deroghe sulle chiusure da pandemia ,un coordinamento tra Stato e Enti locali per dividersi la torta del Recovery. E non solo.
Intanto ci soffermiamo su due grandi aziende ormai in rianimazione e tenute in vita da interessi ben poco nobili. Ilva e Alitalia .Le lavoratrici e i lavoratori della ex cattedrale dell’acciaio nostrano continuano a presidiare nel gelo la fabbrica ex Riva : non c’è un progetto di riorganizzazione e rilancio nonostante Invitalia ( l’Ad ricordiamolo bene è sempre quel Mimmo Arcuri dei banchi a rotelle e delle siringhe avvitate che ci costano l’IRA DI DIO) ha firmato un accordo per rientrare statalmente e dunque pubblicamente con il 50% nella fabbrica Tarantina; ma non c’è un progetto né sulla questione economica né sulla sicurezza impiantistica e ambientale solo “tenendo buoni” i livelli occupazionali.
E così dicasi per Alitalia specchio di una economia italiana in enorme difficoltà,in perdita da decenni a causa di sprechi e scelte manageriali a dir poco farabutte che hanno prosciugato fondi messi a disposizione dallo Stato, per un totale di 8 miliardi di euro. Ma malgrado lo Stato, tramite fondi pubblici, sia più volte intervenuto per evitarne il fallimento, ad oggi i conti restano in super rosso ed il carburante sembrava essere ad un passo dal finire definitivamente. Ma no, un’altra boccata di ossigeno torna tolta dalle tasche degli italiani contemporaneamente alla crisi pandemica, senza un progetto, senza partnership di flotte internazionali disposte a mettersi in casa una disgrazia. Solo e sempre un po’ di soldi per tenere in vita quel che resta di organici –che sono donne e uomini in carne ed ossa ridotti all’estenuante attesa di un progetto che non c’è.
Così la rinazionalizzazione di due ex grandi realtà che più volte sono state oggetto di decreti di risanamente mai realizzato, torna nelle braccia di un Paese invecchiato e stanco nelle mani di un avvocato del popolo che ha perso la causa. E hai noi! Non è finita qui. Semper mala tempora currunt.
Alessandra Servidori