“Dunque, dove eravamo rimasti?” Non è escluso che un pensiero di questo genere si sia formato nella mente di qualcuno dei dirigenti sindacali che sono stati chiamati a partecipare all’incontro multilaterale, sull’infinita vicenda della Ex-Ilva, che si è tenuto stamattina. Perché, a parte il fatto che l’appuntamento odierno era stato organizzato in modo tale che si tenesse rigorosamente da remoto, può darsi che la mente di questo stesso, o di questa stessa, dirigente sindacale sia andata a un paio di anni fa, ovvero a quella giornata del settembre 2018 in cui, al Ministero dello Sviluppo economico, i sindacati firmarono un accordo col Governo dell’epoca (il primo Governo Conte), nonché con ArcelorMittal. Il colosso franco-indiano dell’acciaio, infatti, si era aggiudicato, già nel giugno del 2017, la gara internazionale per l’affitto dei “complessi aziendali” della ex-Ilva in Amministrazione straordinaria. Affitto destinato a concludersi entro il 2023 con il perfezionamento dell’acquisto dei vari stabilimenti del Gruppo. Affinché la vittoria in tale gara avesse degli effetti pratici, era però necessario un accordo sindacale.
Quel giorno, il 6 settembre, sembrava che il più fosse fatto e che davanti al più grande gruppo siderurgico italiano, adesso posto nelle solide mani del più grande produttore d’acciaio del nostro pianeta, si aprisse un futuro, certo non privo di problemi, ma, comunque, promettente. E invece.
Il nostro, infatti, è uno strano Paese. Che dopo aver affidato l’Ilva ad ArcelorMittal, ha fatto quanto poteva per rendere la vita difficile allo stesso colosso franco-indiano. Col bel risultato di aver reso quasi insolubile una vicenda che era già di per sé assai complessa.
Il 10 dicembre scorso, è stata raggiunta una nuova intesa fra l’attuale Governo (il Conte 2), e ArcelorMittal, con l’aggiunta di un nuovo protagonista: Invitalia, l’agenzia partecipata dal Ministero dell’Economia. Un’intesa che prevede un nuovo assetto proprietario dell’ex-Ilva, con l’ingresso della stessa Invitalia nel suo capitale.
Ora è del tutto evidente che in questi ultimi mesi di passione, in cui buona parte della vicenda ex-Ilva si è svolta all’interno, o nei pressi, di due Tribunali – quelli di Taranto, per gli aspetti ambientali, e di Milano, per gli aspetti finanziari -, i grandi assenti, non certo per loro volontà, sono stati proprio i sindacati. E ciò nonostante che, come si è detto, nel settembre 2018 il loro assenso fosse stato decisivo – non solo in termini politici, ma anche in termini giuridici – per consentire l’avvio di quella che avrebbe dovuto essere la fase ArcelorMittal dell’ormai pluridecennale storia dell’Ilva. Fatto sta che, a partire dal nuovo accordo del marzo 2020, quello con cui Governo e ArcelorMittal hanno firmato un armistizio ponendo fine ai contenziosi legali reciprocamente avviati nei mesi precedenti, i sindacati sono stati sostanzialmente tagliati fuori dagli sviluppi della vicenda.
Oggi, dunque, rapido incontro quadrangolare. Da un lato il Governo, robustamente rappresentato da ben quattro Ministri: Gualtieri (Economia), Patuanelli (Sviluppo Economico), Catalfo (Lavoro) e Provenzano (Sud e Coesione territoriale). Da un secondo lato, Invitalia, con il suo Amministratore delegato Domenico Arcuri. Da un terzo lato, ArcelorMittal Italia, rappresentata dall’Amministratore delegato Lucia Morselli. Infine, quarto lato, i Segretari generali dei sindacati dei metalmeccanici – Benaglia (Fim-Cisl), Re David (Fiom-Cgil), e Palombella (Uilm-Uil) – riuniti nella vecchia sede comune posta al n. 36 di corso Trieste, a Roma.
Incontro rapido, si è detto. Infatti, i tre dirigenti sindacali, con i responsabili siderurgia delle rispettive organizzazioni, erano attesi, prima di mezzogiorno, in Confindustria (quartiere Eur), ove era stata programmata un incontro in plenaria delle delegazioni sindacali e imprenditoriali per riavviare la trattativa contrattuale con Federmeccanica.
Ma anche un incontro necessario. Perché il minimo che i sindacati potevano accettare era un segno tangibile della volontà delle controparti di riaprire un negoziato con i rappresentanti dei lavoratori.
Ora va detto che, come prevedibile, l’unico risultato concreto di questo appuntamento mattutino è stato il fatto stesso che, congiuntamente, le parti abbiano espresso la loro volontà di aprire un confronto sugli aspetti dell’intesa del 10 dicembre che riguardano più da vicino i sindacati, dal piano industriale alle sue conseguenze occupazionali. L’incontro si è quindi concluso con la decisione di fissare un calendario di incontri che prenderanno avvio nel prossimo mese di gennaio. (Calendario che peraltro, nel momento in cui scriviamo, non è stato ancora reso noto.)
All’opinione pubblica, l’intesa del 10 dicembre è stata presentata come una promettente soluzione che consentirà l’avvio della tanto sospirata nuova fase della vita dell’ex-Ilva. In realtà, specie agli occhi dei sindacati (ma non solo ai loro occhi) questa nuova fase appare come ancora molto problematica.
Innanzitutto per la questione dei tempi. Con l’accordo del 2018, l’acquisto della ex-Ilva doveva perfezionarsi entro il 2023. A tale anno era dunque traguardato il pieno industriale, con i suoi annessi ambientali e occupazionali. Adesso questi piani si spostano al 2025. I sindacati temono quindi che centinaia, per non dire migliaia, di lavoratori rimangano nel limbo della Cassa integrazione guadagni per un periodo la cui fine rischia di spostarsi ancora in avanti. Con i gravi problemi di reddito che da ciò deriverebbero, visto che il trattamento di Cassa integrazione è notevolmente più modesto delle paghe di fatto dei siderurgici. Una prospettiva, questa, resa più preoccupante dal fatto che nella legge di Bilancio non è stata trovata una soluzione che potesse incrementare, sin dall’inizio del 2021, i redditi dei cassaintegrati dell’ex-Ilva. Per adesso, tutto è rinviato alla speranza che qualcosa accada, in questo senso, in sede di conversione di un qualche decreto ristori.
C’è poi il destino dei circa 1.600 lavoratori ancora collocati alle dipendenze dell’Amministrazione straordinaria. L’accordo del 2018 assicurava loro una soluzione occupazionale certa entro il 2023. Adesso sembra che tutto sia tornato in una condizione di incertezza.
A monte di tutto c’è poi un piano industriale innovativo, ma rispetto al quale i sindacati desiderano entrare nel merito, andando oltre gli annunci già fatti dalle parti il 10 dicembre e oggi ribaditi. E diciamo subito che, per ciò che riguarda il Diario del lavoro, ce ne occuperemo a partire da gennaio, via, via che il confronto con i sindacati consentirà di avvicinarsi a questa tematica.
A rendere però già da adesso l’attuale quadro della vicenda ex-Ilva più incerto di quanto non sia apparso dagli annunci governativi, stanno due questioni.
La prima, di per sé non particolarmente preoccupante, è quella dell’attesa dell’autorizzazione dell’Autorità antitrust dell’Unione europea. Un’autorizzazione probabilmente non difficile da ottenere, ma comunque necessaria per poter effettuare quell’aumento di capitale che consentirà a Invitalia di raggiungere il 50% della proprietà della nuova società già, si spera, a inizio del 2021.
Più incerta, e dunque anche più preoccupante, un’altra questione. E’ quella che fa capolino nella dichiarazione rilascaiata dopo l’incontro mattutino da Roberto Benaglia, Segretario generale della Fim-Cisl. Secondo il quale “per Arcuri”, oltre all’accordo sindacale, è “indispensabile” il “dissequestro degli impianti”.
Qui siamo alla nota più dolente. Infatti, al di là di ciò che si pensi dei problemi di inquinamento ambientale che sono parte integrante della vicenda Ilva, è innegabile che in questa stessa vicenda abbiano avuto grande parte anche l’atteggiamento e le scelte della magistratura tarantina. Infatti, non va dimenticato che ciò che ha innescato l’attuale lunghissima e intricatissima crisi del gruppo siderurgico è stato il sequestro “senza facoltà d’uso” effettuato dalla Procura di Taranto nell’agosto del 2012. Il riconoscimento da parte dell’Autorità giudiziaria della congruità fra l’azione di risanamento ambientale perseguita oggi dall’Azienda con le prescrizioni dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) costituisce dunque un passaggio necessario affinché i programmi delineati da Governo, Invitalia e ArcelorMittal possano concretizzarsi.
@Fernando_Liuzzi