La formalizzazione della crisi, fino a ieri rimandata a data da destinarsi, sembra ora arrivata al capolinea. Oggi infatti, grazie alla moral suasion del presidente Mattarella, che è intervenuto per impedire che la situazione finisse del tutto fuori controllo, Renzi darà via libera in Consiglio dei ministri, convocato per questa sera, al recovery fund (voto favorevole o astensione) per ritirare subito dopo la sua delegazione; a questo farebbero seguito le dimissioni del presidente Conte che salirebbe al Quirinale, per ricevere così un nuovo incarico e dare via a un nuovo patto di legislatura con i propri partner.
Siglato col sangue come predica da tempo l’instancabile Goffredo Bettini, l’unico ad avere preso sul serio l’invito del capo dello stato a proporsi come costruttore di futuro e non come demolitore dell’incerto presente.
In caso sorgessero impedimenti, non resterebbe che l’alternativa più cruenta del confronto diretto nell’aula del Senato, nel quale secondo la suggestione attribuita a Rocco Casalino (successivamente smentita) il premier potrebbe ripetere con Matteo Renzi il successo ottenuto con l’altro Matteo. Fiducia garantita da un manipolo di responsabili ( Brunetta compreso) o, in caso di sconfitta varo del partito di Conte e avvio della campagna elettorale.
L’incertezza dunque regna sovrana eppure, indipendentemente dall’epilogo della vicenda qualche piccola considerazione è già possibile trarre da questa crisi che cade in un periodo molto complicato per il nostro paese per il riemergere senza controllo dell’epidemia e per l’aggravarsi delle crisi economica.
Un primo punto da sottolineare è che, aldilà della inevitabile demonizzazione dei personaggi in gioco, a Renzi va riconosciuto il merito di avere sollevato questioni non di poco conto; tra le quali quella relativa all’efficacia delle misure previste nel ricovery plan e che hanno portato alla riscrittura del documento con ampia di soddisfazione della maggioranza nella maggioranza costituita da 5 stelle, PD e Leu. Ancora non pervenuta la valutazione di Italia Viva che esprimerà un suo giudizio oggi, dopo avere finalmente ricevuto, in aggiunta al riassuntino in 13 pagine del documento, la sua stesura completa.
Una soddisfazione sul nuovo testo peraltro particolarmente ostentata da Leu per l’incremento a 19 miliardi delle risorse destinate alla sanità, ma che non viene assolutamente condivisa dall’universo mondo che si occupa di socio-sanitario (CGIL, CISL, UIL in testa) che parlano di una operazione cosmetica in cui i soldi restano sempre gli stessi e in cui la mancanza di risorse fresche impedirà un vero rilancio di un settore morente e impossibilitato a dare ai cittadini l’assistenza di cui hanno bisogno oggi e domani
Ancora più grave la mancanza nel piano di qualsiasi riferimento al mondo degli anziani, come messo ieri in luce dal quotidiano Il Domani a cui si deve anche il merito di vere denunciato per primo il tentativo di introdurre la task force di 300 consulenti a diretta nomina del presidente Conte che avrebbero gestito il recovery plan con buona pace dei ministri competenti. Il tutto attraverso il consueto escamotage di un emendamento, tra i tanti, alla legge di bilancio.
E dunque il dramma dell’invecchiamento della popolazione italiana, ribadito pochi giorni orsono dall’ISTAT, non sembra essere meritevole di un intervento specifico da parte dello stato e dal ricovery plan. Un’omissione incomprensibile perché in realtà è il complesso delle infrastrutture del paese (dalle case alle strade dal trasporto pubblico allo sport dalla sanità all’assistenza sociale) che dovrebbe essere rimodulato per dare finalmente risposta all’avvenuta transizione epidemiologica che in 50 anni ha rivoluzionato la piramide demografica.
Un secondo punto riguarda i rischi che una crisi di governo non pilotata inevitabilmente avrebbe sul varo su due misure assolutamente necessarie: il decreto ristori con relativa approvazione dello scostamento di bilancio e il prolungamento dello stato di emergenza. E’ questo il punto di maggiore debolezza di Renzi perché, come in molti hanno sostenuto non senza ragione, prima di dare avvio alla crisi sarebbe assolutamente necessario mettere in sicurezza delle misure la cui mancata approvazione potrebbe trasformare il paese in un campo di battaglia per l’esplodere di un conflitto sociale finora rimasto sotto controllo
Un terzo aspetto altrettanto evidente è la perdita di incisività dei partiti che sostengono Giuseppe Conte. Incomprensibile il silenzio di Nicola Zingaretti che avrebbe accettato senza fiatare la polpetta avvelenata della task force a diretta dipendenza di Conte e la vacuità dei contenuti del ricovery plan.
Ancora meno comprensibile il silenzio dei 5 stelle anche se in questo caso è la mancanza di una chiara governance del movimento e la guerra intestina che contrappone Di Maio a Di Battista passando da Casaleggio, ormai all’opposizione, e l’elevato Grillo a pesare di più.
Emblematico il caso del responsabile politico pro tempore Vito Crimi che avrebbe dovuto stare in carico un mese e che invece è già là da un anno dalla sua nomina senza che siano state ancora definite le modalità di una sua sostituzione.
Più comprensibile la posizione di Leu che ha nell’esecutivo un ministro della salute divenuto centrale, causa l’epidemia, e che ha visto il suo economista di punta, Stefano Fassina, nell’importante ruolo di relatore della legge di bilancio appena approvata. Questo tuttavia non monda il partito dai suoi limiti evidenti di proposta politica e di non essere stato in grado di rappresentare uno stimolo di sinistra al governo in carica, anche per quanto riguarda le risorse sulla sanità incrementate solo dopo l’insistenza di Italia Viva.
Un ultimo punto riguarda la persona del Presidente Giuseppe Conte. Da più parti è stata evidenziata la sua consistente egolatria e la sua ferma volontà di non cedere di un millimetro temendo di perdere, oggi, l’incarico di presidente del consiglio e domani, forse, quello di Presidente della repubblica. Quello che colpisce è la sua assoluta indisponibilità a mettere in discussione il suo ruolo. Altri, almeno formalmente, non avrebbero esitato a pronunciare la consueta frase di essere disposti a farsi da parte nel caso in cui invece di rappresentare una risorsa per il paese si fossero trasformati in ostacolo alla prosecuzione della legislatura.
Una tale eventualità non è mai stata presa in considerazione dal diretto interessato e quel che stupisce ancora di più neanche dai leader degli altri partiti della coalizione, nessuno escluso, che in altre situazioni non si sarebbero “impiccati” per usare un termine crudo per difendere Conte fino alla morte.
In somma il refrain che ha fatto la fortuna dei 5 stelle “uno vale uno” è stato definitivamente cancellato dal lessico politico e questo un bene. Non è invece un bene che sia trasformato nel contrario “solo uno vale per tutti” e che la legislatura sia legata a filo doppio, almeno per ora, alla permanenza di Conte alla presidenza del Consiglio.
Questo è l’aspetto meno condivisibile perché a conti fatti il governo Conte non è stato certo il migliore possibile nella gestione della pandemia, non se ne dolga il Ministro Speranza, e nella gestione della crisi economica. E forse un nuovo Presidente del Consiglio e una nuova squadra di governo, fortemente motivata come vorrebbe Goffredo Bettini, potrebbe rappresentare il valore aggiunto che finora è mancato.
Roberto Polillo