I ballottaggi delle comunali 2017 evidenziano un’ Italia profondamente cambiata. Non è solo la storica perdita di Genova , Sesto San Giovanni o Carrara da parte della sinistra a rendere il quadro politico radicalmente diverso. C’è dell’altro; e questo riguarda lo spostamento complessivo del paese a destra, con una sinistra sempre più emarginata e lontana dal paese. Perde il PD e perde anche il vecchio modello ulivista di allenaza PD-sinistra radicale che a Genova non convince il suo popolo e non intercetta i tanti elettori del Movimento cinque stelle (anche quelli di provenienza dalla sinistra) che preferiscono il non voto o la destra.
Certo, la legge elettorale per le amministrative è radicalmente diversa da quella che ci porterà al voto per le elezioni politiche dove, almeno all’inizio, ognuno dovrà andare per la sua strada, lasciando al dopo voto eventuali alleanze per provare a governare. Una situazione dunque molto diversa da quella delle comunali, eppure sarebbe sciocco non vedere che i nuovi protagonisti della scena politica non appartengono alla sinistra. Paradossalmente la sconfitta del referendum del 4 dicembre non ha portato consensi a chi lo aveva promosso; al contrario il valore aggiunto è andato ai numerosi altri che si erano aggregati al fronte del no solo per motivi di opposizione a Renzi. Chi pensava dunque a una rinascita della sinistra forse si sbagliava e ha trovato sulla sua strada Salvini- sempre più convincente nelle vesti di uomo di governo- Berlusconi strappato agli ozi della senescenza e Beppe Grillo pronto ad espugnare Palazzo Chigi con l’apriscatole nelle mani Di Maio o chi per lui.
Il panorama della politica non vede altri soggetti, anche perché a sinistra continua la frammentazione, senza che nessuno sia in grado di porre fine alla dissennata strategia del distinguo a tutti i costi. La spia della mancanza di un leader vero, in grado di riunire le numerose tribù del popolo di sinistra, è il tentativo, altrettanto paradossale, di chiedere a Romano Prodi di riuscire nell’impresa. Una proposta talmente bislacca da sembrare più un espediente da parte di chi l’ha lanciata per poter dire, di fronte al certo diniego, “beh allora tocca a me” che una ipotesi su cui lavorare con qualche speranza di portarla a compimento.
La sinistra non convince e il popolo italiano non crede alla tradizionale e ormai usurata narrazione contro la globalizzazione, il liberismo e le disuguaglianze crescenti. E questo non perché non sia vero, ma perché a farsene fini dicitori sono spesso persone che nella divisione globalizzata del lavoro si sono ritrovati dalla parte giusta. Un esercito di gente con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra come il Presidente della Commissione Rai, Fico, ha giustamente detto di Fabio Fazio. Persone a cui piace fare sermoni contro i mali del mondo e che però è proprio a quel mondo diseguale che devono le loro fortune. Ecco, la prima cosa che una sinistra diversa dovrebbe fare per non rischiare l’estinzione è quella di rinunciare a questi nefasti patrocini. La gente che dalla globalizzazione ha tratto danni e incertezze non sa più che farsene dell’ormai collaudato terzetto, tutto chiacchiere e distintivo, Fazio-Litizzetto-Gramellini, solo per citarrne uno. I fatti dimostrano che offre maggiori garanzie il discorso semplificato di un Salvini che attribuisce i mali del creato all’Europa e all’invasione degli alieni delle altre sponde del Mediterraneo. Demagogia a buon mercato di sicuro. Semplificazioni di una realtà complessa con una buona dose di illusionismo per i creduloni della post modernità. Eppure a quel discorso la gente sembra credere perché ci intravede una risposta: giusta o sbagliata che sia. Una proposta intellegibile che la sinistra evidentemente non riesce a dare. Perché manca un programma che parli di fatti concreti rinunciando alla consueta retorica vendoliana sulle grandi narrazioni. Un programma di dieci righe da tutti comprensibile che parli delle cose essenziali: reddito, lavoro, tassazione, sicurezza, sanità e che soprattutto dica dove andare a trovare i soldi o a chi metterli in conto. Una rivoluzione pacifica che dimostri una volta per tutti che la sinistra di governo non è quella che difende le banche, il capitale finanziario e le grandi aziende diventate tali solo grazie alla contiguità con la politica.
Le elezioni evidenziano, dunque, una spaccatura crescente tra la sinistra di governo e non ed il resto del paese. Una spaccatura ancora più profonda con il mondo giovanile e con i perdenti della globalizzazione che della sinistra tradizionalmente erano componenti fondamentali. Si sente un fischio di fine partita ed il rischio maggiore è che i generali senza troppe delle diverse formazioni della sinistra del distinguo decidano di non sentirlo per non essere distolti dalle loro dotti dissertazioni sui destini del mondo.