Nell’arco di appena 5 giorni, tra lunedì 10 e venerdì 14 luglio, sono avvenuti, in rapida successione, due fatti di indubbio rilievo per ciò che riguarda il mondo sindacale italiano. Ci riferiamo, in primo luogo, al fatto che Maurizio Landini ha lasciato, con un anno di anticipo sulla scadenza congressuale, l’incarico di segretario generale della Fiom per entrare nella segreteria confederale della Cgil. E, in secondo luogo, al fatto che al suo posto è stata eletta, alla guida del sindacato dei metalmeccanici Cgil, Francesca Re David, ovvero una dirigente il cui nome è comparso solo di recente nel novero dei candidati a una successione che si presenta come particolarmente impegnativa.
Si tratta di due fatti che sia per la Cgil, la maggiore delle nostre confederazioni sindacali, sia per la Fiom, il primo fra i sindacati della più grossa categoria di lavoratori dell’industria, nonché per i reciproci rapporti fra queste due organizzazioni, potranno avere conseguenze anche più importanti di quanto non appaia a prima vista. Ma, a questo proposito, bisogna tenere presente quel detto britannico secondo cui, quando si parla di previsioni, è bene ricordarsi del fatto che le più difficili sono quelle che riguardano il futuro. Per cogliere il senso di questi due avvenimenti, e quindi anche almeno qualcosa delle loro possibili conseguenze, sarà bene cominciare la nostra analisi volgendo lo sguardo al passato.
Cominciamo dunque dall’elezione di Maurizio Landini nella segreteria della Cgil. Cosa notevole non solo perché si tratta di un ingresso di peso nell’esecutivo della confederazione di corso d’Italia, ma per il suo significato storico. Almeno a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, era abbastanza ovvio che i segretari generali dei sindacati dei metalmeccanici, a fine mandato, entrassero a far parte delle segreterie nazionali delle confederazioni di appartenenza. Per ciò che riguarda la Fiom, l’ultimo per cui fu seguito questo percorso è però Angelo Airoldi che nel 1991, al termine del suo primo mandato, passò alla segreteria confederale. Dopo non è più successo. Come mai?
Nel 1994, prima di lasciare la guida della Cgil, Bruno Trentin pensò di equilibrare il peso del futuro segretario generale, Sergio Cofferati, proveniente dai chimici e contrattualmente riformista, ponendo alla testa dei metalmeccanici un dirigente noto per il suo radicalismo come Claudio Sabattini.
Il quale, coerentemente a ciò che ci si attendeva da lui, diede alla Fiom, a partire dal convegno di Maratea (1995), un’impostazione forse contrattualmente meno ambiziosa di quella che aveva caratterizzato l’azione di Airoldi – volta a ottenere, senza successo, una significativa riduzione dell’orario di lavoro -, ma più radicale sia per ciò che riguardava l’importanza decisiva del rapporto democratico con i lavoratori, sia e forse soprattutto, per una orgogliosa rivendicazione dell’autonomia rivendicativa del sindacato, specie in materia salariale, rispetto alle politiche economiche dei diversi e successivi Governi, indipendentemente dai loro indirizzi politici.
Tagliando le cose con l’accetta, si può però osservare che lungo gli anni Sessanta e Settanta la sinistra sindacale era costituita, in buona misura, dall’intera categoria dei metalmeccanici. Per conseguenza, i tre maggiori sindacati della stessa categoria – Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil -, da un lato erano legati fra loro da uno stretto rapporto unitario e, dall’altro, avevano assieme un rapporto dialettico con l’insieme delle tre confederazioni cui, singolarmente, si riferivano. Questo, diciamo, a partire dal 1959, con la famosa lotta degli elettromeccanici, e fino al 1980, con la sconfitta patita alla Fiat. Tanto che, specie lungo gli anni Settanta, si parlò, a proposito della Flm, la federazione unitaria dei metalmeccanici, di una “quarta confederazione”.
Negli anni Novanta del secolo scorso, però, questo schema non torna in vita, e la Fiom di Sabattini si ritrova a tentare di interpretare, da sola, il ruolo delle sinistra sindacale. La cosa non funziona, politicamente, perché è priva di una sponda fatta di risultati contrattuali cui possa appoggiarsi. La conseguenza di tutto ciò è che i rapporti della Fiom di Sabattini finiscono per inasprirsi sia, da un lato, con la Cgil, sia, dall’altro, con Fim e Uilm. Nella primavera del 2001 si arriva così a una rottura dei rapporti unitari maturata proprio sul terreno contrattuale: Fim e Uilm raggiungono con la Federmeccanica un accordo salariale per il secondo biennio del contratto nazionale del 1999. La Fiom giudica però l’accordo inaccettabile. Sarà la prima di una lunga serie di intese separate che sarà rotto solo alla fine del 2007 da un nuovo contratto unitario, raggiunto poco prima che cadesse il secondo governo Prodi.
Nel 2001, nel calore dello scontro, Cofferati dà il suo appoggio alla Fiom, ma nel 2002, quando scade il suo secondo mandato, nessuno propone a Claudio Sabattini di entrare nella segreteria confederale. E lo stesso schema si riproporrà 8 anni dopo, nel 2010, con Gianni Rinaldini, ovvero con il dirigente che, nel 2002, era subentrato a Sabattini alla guida della Fiom. E ciò nonostante che a Rinaldini vada certo parte del merito del contratto unitario del dicembre 2007, e nonostante che la Cgil non possa ritenere lo stesso Rinaldini responsabile della nuova rottura intervenuta nella categoria con lo strappo attuato da Fim e Uilm nell’autunno del 2009. Ma il punto è che Rinaldini, anche se con uno stile non certo urlato, interpreta il suo ruolo di segretario generale della Fiom come quello del leader della sinistra interna alla Cgil, facendo di un sindacato di categoria qualcosa di simile a una corrente congressuale.
E adesso? Perché Susanna Camusso ha offerto a Landini quell’incarico che Cofferati non ha offerto a Sabattini e che Epifani – 8 anni dopo – non ha offerto a Rinaldini? Dopotutto, si potrebbe osservare che, al Congresso Cgil del 2014, Landini – che aveva inizialmente accettato lo schema unitario proposto con grande determinazione da Susanna Camusso – ha finito per presentare una mozione alternativa a quella della maggioranza.
A monte della decisione di Camusso ci sono però due fatti. Il primo è che, a fine novembre 2016, la Fiom di Landini è tornata a firmare, assieme a Fim e Uilm, un accordo unitario per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Se il lettore ci permette un’autocitazione, dopo il Congresso del 2014 avevamo osservato che la rotta del vascello Fiom sembrava allontanarsi da quella della flotta Cgil e che, affinché queste rotte potessero tornare ad avvicinarsi, sarebbe stato necessario che nella Fiom si riaprisse “non tanto un dibattito sui rapporti con la confederazione, quanto un dibattito sui rapporti unitari all’interno della categoria”. Nella strategia perseguita allora da Susanna Camusso, infatti, erano centrali sia il tentativo di ricostruire l’unità interna della Cgil, sia quello di ricostruire un tessuto unitario con Cisl e Uil. Il tutto allo scopo di ricomporre un mondo del lavoro sempre più frammentato e diviso da una serie molteplice di fattori, che andavano dalla globalizzazione all’innovazione tecnologica e al mutare degli assetti del mercato del lavoro.
Ebbene, anche se il dibattito interno alla Fiom, dal 2014 a oggi, è stato abbastanza sottotraccia, non si può negare che Landini abbia fatto ogni sforzo per ricostruire un fronte contrattuale comune con Fim e Uilm. In questo, paradossalmente, ma non tanto, è stato aiutato dalla Federmeccanica che a inizio trattativa, a fine 2015, aveva chiarito di essere interessata solo a un rinnovo che vedesse coinvolti, allo stesso modo, tutti e tre i sindacati confederali della categoria. Fatto sta che, per raggiungere l’obiettivo del rinnovo unitario, lo stesso Landini ha accettato consapevolmente di abbracciare una linea rivendicativa, quella del welfare contrattuale, più vicina ai propositi di Federmeccanica, e alla cultura rivendicativa della Cisl, che non ai filoni principali su cui si articolano le tradizioni del sindacalismo industriale in ambito Cgil: quella salarialista, alla Garavini, e quella trentiniana, concentrata sui diritti, e quindi anche su temi quali l’orario e l’organizzazione del lavoro (per non parlare del collocamento).
Più che i contenuti contrattuali, fin troppo “moderati” dal punto di vista di parte dei gruppi dirigenti di diverse categorie Cgil, ciò che insomma è piaciuto a corso d’Italia del nuovo contratto dei metalmeccanici è il fatto stesso che sia stato raggiunto insieme a Fim-Cisl e Uilm-Uil. E quindi l’ingresso di Landini in segreteria è prima di tutto questo: il riconoscimento di un obiettivo raggiunto.
Il secondo fatto che sta a monte della chiamata di Landini in Cgil è quell’insieme di avvenimenti politico-sindacali che portano il nome di Matteo Renzi. Perché è indubbio che se inizialmente tra il Renzi segretario del Pd e il Landini leader della Fiom ci sia stato un certo feeling, tanto che a proposito dei loro rapporti si parlò, nel linguaggio giornalistico, di una strana coppia, successivamente l’azione del Renzi capo del Governo ha dato un contributo decisivo a far riavvicinare Camusso e Landini. Dal Jobs Act, al referendum sulla riforma della Costituzione, e fino alla questione dei voucher, sono stati numerosi i passaggi legislativi e le loro conseguenze politiche che hanno azzerato le distanze tra Fiom e Cgil.
Infine, nell’ingresso di Landini nella segreteria Cgil c’è un terzo aspetto. Perché, almeno nelle intenzioni di Susanna Camusso, tale ingresso dovrebbe costituire un significativo passo avanti sulla strada della ricostruzione dell’unità interna alla confederazione di corso d’Italia.. Strada che la stessa Camusso ha imboccato con convinzione, almeno dalla fase in cui ha impostato il congresso del 2014, e su cui intende ulteriormente procedere andando verso il congresso che si terrà nell’autunno 2018.
Resta, su questo punto, un interrogativo. Dopo aver riportato la Fiom entro i confini di una dialettica con la Cgil che è conforme al tradizionale rapporto tra lo sguardo più ampio, tipico della confederazione, e la sensibilità più acuta, tipica della categoria dei metalmeccanici, quale ruolo potrà giocare Landini, forte della sua specifica esperienza, e quindi del suo seguito, in vista del prossimo congresso? Troppo presto per dirlo. Ma certo, questo sarà un tema d’interesse per l’informazione sindacale nel corso dell’anno abbondante che ci separa da questo traguardo.
E veniamo adesso all’altra metà della mela. Ovvero a ciò che potrà fare Francesca Re David adesso che è giunta alla testa della Fiom post-landiniana.
Continuità. Questa è la parola che è stata spesa più spesso nella due giorni dell’assemblea nazionale della Fiom, che si è svolta a Roma, da giovedì 13 a venerdì 14, nella stessa location in cui, da lunedì 10 a martedì 11, si era svolta la precedente assemblea generale della Cgil, ovvero nel “teatro” del Centro congressi di via dei Frentani. Continuità, quasi che almeno gran parte del gruppo dirigente della Fiom, e non la sola Re David, volesse rassicurare sé stesso sul fatto che la partenza di Landini è solo l’occasione per un avvicendamento al vertice della stessa Fiom, e non un cambio di fase.
Ma così non sarà. E questo non perché non sia questa la volontà esplicitata dalla stessa Re David. Ma perché i fatti vanno spesso al di là delle volontà dei singoli, così come di quelle dei soggetti collettivi.
Chiediamoci dunque, innanzitutto, perché Re David dopo Landini? Come è stato ricordato da più parti, Rinaldini e Landini, pur appartenendo a due generazioni diverse, avevano più di un tratto in comune. Entrambi di scuola sabattiniana, entrambi emiliani, anzi, di più, entrambi nativi di una provincia tipicamente industriale, per non dire metalmeccanica: la stessa, quella di Reggio Emilia. Francesca Re David, invece, è romana e ha fatto le sue prime prove sindacali occupandosi di mercato del lavoro presso la Cgil nazionale.
Culturalmente, però, può essere considerata sabattiniana anche lei. A “scoprirla”, se così possiamo dire, fu Sandro Bianchi, riminese e appartenente al ristretto gruppo che Sabattini aveva raccolto attorno a sé alla sezione comunista dell’Università di Bologna, alla fine degli anni 60. Gruppo di cui facevano parte, tra gli altri, Giorgio Cremaschi, Francesco Garibaldo e Tiziano Rinaldini, fratello maggiore di Gianni. Fu dunque Bianchi a suggerire a Sabattini di proporre a Re David un incarico di lavoro nella Fiom nazionale. E c’è chi dice che la recente candidatura di Re David alla segreteria generale della Fiom abbia goduto della benedizione dello stesso Gianni Rinaldini.
Quanto a nobiltà e purezza delle origini, insomma, siamo a posto. E anche a linea politica perché, nelle lotte che hanno vivacizzato la vita interna della Fiom, Re David è sempre stata convintamene allineata con la maggioranza sabattiniana configgente, da un lato, con l’estrema sinistra cremaschiana o post-cremaschiana, e, dall’altro, con i riformisti più vicini alla tradizione cigiellina. Ma, a parte le diversità di personalità e di carattere che separano Re David da Landini, laddove la prima viene dipinta da molti come più capace del secondo di rapportarsi agli altri per ascoltarli, saranno le diverse situazioni in cui l’una e l’altro sono arrivati al vertice della Fiom a fare la differenza.
Landini è diventato segretario generale dei metalmeccanici Cgil nel 2010, ovvero nel vivo dello scontro frontale che ha opposto la Fiom alla Fca di Sergio Marchionne, prima in relazione al destino dello stabilimento di Pomigliano, e poi in relazione a quello dell’intero gruppo. Per reggere al doppio colpo del contratto separato del 2009, e dell’espulsione dalla contrattazione nel gruppo Fca-Cnhi, Landini decise di accentuare la caratura “politica” della Fiom, ovvero la sua proiezione esterna ai luoghi di lavoro, fino all’ipotesi, poi rivelatasi come non fortunata, di costruire attorno alla Fiom una non meglio definita “coalizione sociale”.
Ma adesso lo scenario è diverso. Anche se la Fiom non è ancora riuscita a ricostruire un suo ruolo negoziale effettivo in Fca, per ciò che riguarda i rapporti con Federmeccanica la situazione del 2010 è completamente rovesciata. Alle spalle della neoeletta Francesca Re David, infatti, c’è un contratto che vivrà, se vivrà, nella contrattazione aziendale del welfare integrativo.
Come è ormai noto, per il 2017 l’aumento salariale mensile lordo al quinto livello sarà pari e 1 euro e settanta centesimi. Questo è il frutto del calcolo ex post – previsto dal contratto – degli effetti dell’inflazione verificatasi nel 2016. Dall’altra parte, l’accordo prevede che il welfare integrativo, entro cifre il cui costo è prefissato dal contratto stesso, vada negoziato in azienda. E ciò anche perché il mix di flexible benefits che potranno essere concretamente erogati dovrebbe incontrare esigenze che si presume siano diverse per diversi gruppi di lavoratori.
In altre parole, è evidente che il contratto del 2016 è fatto in modo tale da spingere i sindacati ad aprire una stagione di contrattazione di secondo livello. E per giunta, una stagione di contrattazione su temi che il quadro medio sindacale conosce poco o punto.
Se a ciò aggiungiamo che Re David è nota per essere persona portata a una certa concretezza, è quasi sicuro che il suo primo impegno sarà quello di attrezzare la Fiom affinché la federazione possa avviare prima e poi sostenere un’attività di contrattazione decentrata su materie ad oggi quasi sconosciute.
In altre parole, davanti alla Fiom si apre la grande occasione di tornare, assieme a Fim e Uilm, a contrattare in fabbrica. Più che una proiezione politica esterna ai luoghi di lavoro, c’è da attendersi, insomma, una proiezione sindacale interna a questi stessi luoghi.
C’è quindi da scommettere che, rispetto alla più classica delle coppie concettuali che vengono evocate a ogni cambio di leadership, quella che mette insieme la continuità e il rinnovamento, con Francesca Re David alla guida della Fiom finirà, quasi inevitabilmente, per prevalere il rinnovamento. Almeno per ciò che riguarda la concreta attività quotidiana del sindacato.
Ma poi naturalmente, ci sarà anche altro. Perché la crisi non è ancora finita, mentre gli ammortizzatori sociali sono in scadenza. E ci sarà dunque da attendersi – come Re David ha peraltro già annunciato – una Fiom impegnata a difendere consistenti nuclei di lavoratori minacciati dalla disoccupazione.
Infine, come si è detto sopra, l’anno prossimo, dopo le elezioni politiche, la Cgil avvierà il percorso che la porterà verso il Congresso nazionale. E qui che ruolo potrà giocare la Fiom di Francesca Re David? Com’era quel detto britannico sulle previsioni?
@Fernando_Liuzzi