“Le idee sono grandi in quanto sono attuabili” sentenziava senza troppi peli sulla lingua Antonio Gramsci. Un atteggiamento culturale e politico che oggi a dir la verità non ha molti seguaci. La tentazione prevalente sembra essere invece quella di collocare e “proteggere” la propria identità ed azione nei punti deboli dei più generali processi politici ed economici.
Si pensi al contesto sindacale. Indubbiamente il Congresso recente della Cisl ha mostrato un cambio di passo di non poco conto. Il là è addirittura arrivato da un discorso di Papa Francesco che ha preceduto i lavori congressuali (fatto inedito nella storia della Cisl che vide prevalere un connotato aconfessionale) , di forte impatto emotivo ma anche dotato di contenuti e giudizi di notevole valenza per l’iniziativa sindacale se ad essi si volesse dare un seguito reale.
Il messaggio Papale si colloca in un ambito ovviamente etico e pastorale, ma la sua incisività e chiarezza, a tratti perfino molto dura, lascia il segno. Non è un caso che ricordi il significato dal greco della parola sindacato: giustizia insieme. E prosegue “non c’è giustizia insieme se non si è insieme agli esclusi”. Una affermazione coerente con giudizi molto severi espressi in precedenza sulle colpe di un capitalismo che sta accrescendo le diseguaglianze, le periferie esistenziali, il numero degli “scartati” dal lavoro fra i quali molti giovani.
In un certo senso questa “lezione” del Papa si colloca in una dimensione perfino un poco diversa dalle Encicliche che hanno costituito la dottrina sociale della Chiesa, che pure hanno prodotto effetti anche in campo laico. Diversa perché suggerisce in modo assai “intenso” una collocazione, una scelta di campo concreta e prioritaria, quella sociale dell’esclusione.
Sarà quindi interessante comprendere quanto questo invito a rappresentare i “dannati del lavoro” influenzi i comportamenti pratici. Il mondo cattolico come entità “monolitica” da tempo non esiste più, ma è ipotizzabile che la spinta papale, in qualche modo anche culturalmente “protettiva”, possa indurre ad incoraggiare la ripresa di un cammino meno frammentato in futuro che riparta dal sociale, terreno prediletto dell’impegno e della formazione alla politica? E quale conseguenze potrebbe avere nei riguardi di una politica delle varie esperienze di cattolici che nella attuale contingenza offre come riferimenti il Governo e, quando c’è, il richiamo della “tenda” di Romano Prodi?
Certo è che siamo in presenza di un fatto nuovo sul quale riflettere con attenzione e, ovviamente, grande rispetto. Anche perché la rappresentanza sociale che il movimento sindacale ha inteso rappresentare fin qui ha teso, giustamente credo, a tenere insieme le ragioni degli esclusi con quelle di quei milioni di lavoratori che sono stati protagonisti di sviluppo economico e civile. Ed è questa una caratteristica che sarà importante mantenere viva anche in futuro con i cambiamenti imposti dall’evoluzione economica, tecnologica e naturalmente della vita democratica.
D’altro canto a questa visione dell’impegno sindacale si può accostare il percorso che la Cgil da qualche tempo ha intrapreso per suo conto e che nasce probabilmente dalla constatazione della crisi della sinistra nel nostro Paese e dal processo conseguente di destrutturazione che è in atto nel Pd. E che potremmo sintetizzare così: pochi ideali, molta confusione, troppe tensioni personalistiche e, in fondo, una grande paura di “perdere”.
La Cgil ha preferito spendersi allora su un terreno di opposizione sociale che è molto meno condizionata dalle vicende politiche: la via dei referendum, dei diritti, di una assunzione in proprio di alcune tutele del mondo del lavoro.
Percorsi differenti certo, ma con alcuni punti in comune che però possono anche nuocere al ruolo sindacale in questa difficile stagione economica e sociale.
Nel titolo del Congresso della Cisl c’è il richiamo alla “persona”; in qualche modo l’attenzione all’individuo è presente anche nell’azione della Cgil. Eppure le migliori esperienze sindacali hanno poggiato, e possono ancora farlo, su valori collettivi da far valere nei processi produttivi, nei progetti di cambiamento economico, nei processi tesi a dare una maggiore dignità al lavoro. Questo valore “collettivo” non va perduto ed anzi va semmai “rifondato” in un periodo nel quale la tendenza dei poteri finanziari ed economici tende a ricostituire la propria forza decisionale anche sulla spinta all’individualismo, sulla soggezione acritica dei singoli alla rivoluzione tecnologica.
In entrambi i casi inoltre si ha la sensazione di cogliere una identità che è certo sindacale ma anche un po’ “movimento-partito”. Nella tradizione cattolica essa può essere spiegata ad esempio con l’azione dei sindacati latino-americani, forse con la stessa storia di Solidarnosc. Ma è legittima la riflessione che un tale comportamento possa rischiare di ingarbugliare ancor di più la qualità della vita politica e finisca per non raggiungere quei risultati concreti che invece una forza sindacale deve avere sempre come obiettivo centrale del proprio impegno.
In questo senso queste due rappresentazioni del sindacato anche quando consentono un richiamo all’unità, in realtà rischiano di allontanare questa prospettiva perchè perseguono le proprie convinzioni con scelte essenzialmente solo proprie e, comunque, di rendere più fragili le espressioni di unità , che divengono quindi assai meno centrali di quel che si afferma a parole.
Tutto questo avviene proprio quando, invece, la moda di parlar male del sindacato, di associarlo al vecchio”, ad un mondo politico superato e non cristallino, sta cedendo se non altro per la contemporanea caduta delle velleità decisioniste, nonché per i timori verso i pericoli dei vari populismi in circolazione. Ed anche quando la debolezza della politica, senza pensare a supplenze anacronistiche, lascia teoricamente più campo libero al sindacato e magari, lo carica di nuove responsabilità generali.
Lo stesso avvertimento del Papa, “la gente non vi capisce se siete troppo simili ai poteri che dovreste criticare” (poteri che lui, per la verità, critica in modo esemplare), è più uno stimolo ad osare e ad agire, che la coda di polemiche altrui che si sono svuotate da sole e per i limiti di quei politici ed opinion leader che presuntuosamente le esternavano.
Ma questo è avvenuto perché il movimento sindacale ha tenuto duro là dove doveva e poteva farlo: la contrattazione. Anche se la Confindustria dimostra di non aver capito del tutto la lezione dei rinnovi contrattuali, trincerandosi dietro la difesa di una rappresentatività che mostra comunque crepe evidenti, non si può non considerare la chiusura di tanti ed importanti contratti per quello che è stata: un segno di grande vitalità del sindacato, che fra l’altro ha avuto il merito di saldare gruppi dirigenti e lavoratori su obiettivi davvero unitari. Sono contratti che ci hanno visti protagonisti, come Uiltec in particolare, e che sono stati in grado di smontare le critiche sulla presunta incapacità sindacale a guardare avanti, iniziando a camminare con decisione sui nuovi terreni di sfida, dall’industria 4.0 al welfare aziendale, all’organizzazione del lavoro. E lo hanno fatto con realismo e concretezza.
Ritrovare il filo di una proposta di relazioni industriali sempre più aggiornata, mantenere una centralità del ruolo della contrattazione riconquistato in questi mesi ed il cui valore forse non è stato percepito come meritava, il tutto sempre meglio collegato alle mutazioni che i vari settori economici subiscono in continuazione( e con sacrifici occupazionali) potrebbe essere questo sì il modo giusto per procedere in avanti senza separatezze, ma facendo fruttare il meglio della creatività di ogni organizzazione sindacale. In tal modo riusciremmo a non sprecare la grande opportunità che si è aperta con i recenti rinnovi, ma affermerebbe anche una nuova volontà sindacale di non limitarsi alla difesa del proprio giardino davanti casa in attesa di tempi migliori. E la vera ripresa dei rapporti unitari non può che passare dai passi in avanti che Cgil, Cisl e Uil nel loro complesso riusciranno a fare nel prossimo futuro dando ulteriore impulso allo sviluppo della contrattazione collettiva più che cercare ancoraggi che ricordano antichi paradigmi. E questa scelta non può essere considerata come “riduttiva” perché invece implica la necessità di grandi approfondimenti culturali che tengano il passo dei cambiamenti profondi del lavoro e l’esigenza di una capacità di collocare i contenuti rivendicativi in una politica economica coerente da rivendicare con grande determinazione. Fisco, welfare, politiche attive del lavoro, tre titoli che dicono però molto su quanto ci sia da fare.
Le ragioni degli esclusi, la tutela di diritti fondamentali devono stare in questo nuovo disegno strategico, non serve immaginare un altro sindacato. Non possono essere assenti perché il valore della solidarietà e quello della promozione umana sono una costante delle lotte del movimento sindacale. Ma possono essere sostenute con successo se stanno dentro una visione del ruolo sindacale ben definita e nella quale la dimensione collettiva resta fondante pur se con attenzione alle peculiarità ed alle professionalità che esistono e che vanno tutelate.
La cultura laica e riformista della Uil, della Uiltec, ha dunque un compito importante da svolgere. Perché in essa possiamo ritrovare motivazioni ideali e concrete in grado di favorire la ricerca di una crescita del ruolo sindacale che non sia quella di una semplice coesistenza non conflittuale fra mondi diversi. Perché in essa c’è apertura al dialogo, capacità di costruire progetti, di confrontarsi. Il nostro mondo è solo uno: quello del lavoro che ha un grande bisogno di sentirsi nuovamente parte di un progetto di società migliore di quella nella quale siamo costretti a vivere. Tanti lavoratori che non accettano di venire dispersi ancor di più verso incerti destini individuali, che non intendono subire diseguaglianze insopportabili ma neppure il predominio di una indifferenza verso il lavoro che c’è, che ha qualità, che sa realizzare quello che serve per evitare il declino di tutti. Quando il sindacato ha volato alto lo ha potuto fare perché nelle grandi vertenze e nei grandi negoziati contrattuali era un protagonista riconosciuto di coesione sociale, di vera unità su obiettivi riconoscibili. La strada da percorrere con convinzione resta questa.