Non sappiamo ancora se la crisi è ormi alle nostre spalle come lascerebbero credere aumento del PIL, seppur modesto, e ripresa della occupazione, specie femminile. Per gli scettici, come il nuovo Cavaliere nero dell’Apocalisse Giulio Tremonti, invece il barlume di ripresa è solo la quiete prima della tempesta, perché il peggio presto arriverà spazzando via le esili difese di quel che resta dei gloriosi stati nazionali.
Di sicuro sappiamo cosa ha prodotto la crisi e quello che ogni giorno matura dalla semina di gramigna con cui la recessione ha infestato i raccolti
L’effetto più evidente è l’immiserimento della stragrande maggioranza della popolazione e la polarizzazione della ricchezza verso un numero sempre più esiguo di beneficiari. Ricchezze smisurate, vergognose oserei dire per chi conserva un lume di timore di Dio, verso povertà estrema e senza riscatto.
L’immiserimento non è tuttavia esclusivamente una questione di beni; c’è infatti un impoverimento di quelle forme di convivenza civile che danno “forma” e dunque “sostanza” al contratto sociale. Quegli istituti di solidarietà, di rispetto reciproco, di mutuo riconoscimento che un grande antropologo del passato Marcel Mauss ha dimostrato nel suo libro Il dono de 1925 essere le premesse indispensabili per potere realizzare le transazioni commerciali. Lo scambio dei doni come segno di amicizia senza il quale nessun commercio è possibile.
Su questo terreno, della immaterialità, i signori della crisi e tutti coloro che in ogni caso dalla crisi cercano di lucrare posizioni di vantaggio, lavorano seminando i semi dell’odio che frutti porteranno, non importa se avvelenati.
E così la politica che non ha saputo governare gli spiriti selvaggi del capitale finanziario e non può distribuire ricchezze, ormai sottratte al controllo degli stati, tenta una vile operazione di redistribuzione al contrario investendo moneta fuori corso sui rottami della globalizzazione: i poveri, la gente delle borgate, il sottoproletariato che vive la squallida condizione urbana delle periferie metropolitane.
E’ il messaggio è chiaro: la povertà non è il segno, anzi la conseguenza, di un modello di sviluppo crudele e fallimentare; la povertà è causata da quanti (immigrati, stranieri) venuti da fuori vogliono rubarvi lavoro, case, pensioni. Da quanti vi tolgono la possibilità di sentirvi padroni di squallidi quartieri ammalati di abusivismo selvaggio, degrado, sporcizia e bruttezza infinita.
Su questo terreno i signori della paura (I vari Salvini, Meloni e come ultimo arrivato Di Maio) cercano di costruire la loro tela di fidelizzazione degli scoraggiati cronici della politica, offrendo loro a buon mercato un nemico su cui scaricare frustrazioni, amarezza, rabbia.
Una semplificazione del linguaggio politico che mistifica la realtà e se ne infischia dei dati di fatto.
Agli impresari della paura non interessa quello che i demografi (uno fra tanti il Prof Golini) dicono da almeno dieci anni, e quindi da tempi non sospetti, sulla nostra insostenibile condizione di triplice invecchiamento: degli individui, delle famiglie e della popolazione; e della necessità di dover porvi assolutamente riparo accogliendo milioni di immigrati per riportare in pareggio il nostro equilibrio demografico. A questi signori non interessano i dati del Presidente dell’INPS Boeri né la recente analisi delle faks news sugli immigrati fatta da Saviano. A nessuno interessa preservare la possibilità che nel futuro abbiano copertura le pensioni dei non più attivi
I signori dell’odio hanno un solo obiettivo: convincere i loro potenziali elettori che il male ha un nome e cognome a portata di mano: la massa di poveri disgraziati che sbarcano sulle nostre coste come diretta conseguenza delle politiche di rapina perpetrate da centinaia di anni verso i paesi africani e del medio oriente.
La paura viene montata creando una nuova figura antropologica: il migrante in possesso di danari (sottratti alla comunità) che dispone di telefoni di ltima generazione ( il famoso Iphone 7 dell’immigrato eritreo) e che specula subaffittando il suo misero pagliericcio. Una reincarnazione in chiave moderna del vecchio Fagin di Dickens.
Questa massa cenciosa di immigrati nullafacenti che facciamo vivere in alberghi di lusso secondo Salvini e che invece vivono in condizioni indegne per un essere umano sono i nuovi lebbrosi della postmodernità
Sporchi, brutti, contagiosi. Sono questi esseri abusivi che minano la bellezza dei nostri quartieri desertificati e contro questi usurpatori bisogna insorgere per non farsi rubare quel che ci resta: il privilegio della nostra italianità. Una appartenenza di latta di cui i nostri giovani farebbero volentieri a meno visto che sono costretti a emigrare per fuggire da un paese orami come il nostro inospitale e senza generosità e dunque senza futuro.
Inascoltate le parole del Papa che parla di fratellanza, di famiglia da difendere indipendentemente dalla provenienza, di bambini nati in Italia a cui si vuole negare anche il diritto di avere la nazionalità del paese che amano, di cui consumano il cibo e di cui parlano lingua e dialetto.
L’indifferenza batte il suo tempo inseguita dal rancore. Prego signori accomodatevi c’è posto anche per voi.