“Siamo davanti all’ennesima vicenda nella quale la speculazione finanziaria prevale sul valore del lavoro, il ruolo della politica e il buon senso”. È questo il commento di Bernardo Marasco, segretario della Filctem Cgil Toscana, riguardo alla vicenda che sta interessando la Richard Ginori, uno degli emblemi del made in Italy e marchio storico nella produzione di ceramiche di livello mondiale. Salvata dal fallimento qualche anno fa, oggi la Richard Ginori e’ nuovamente sull’orlo dell’abisso, per motivi legati non alla produzione, ma a una vicenda di terreni. La Kering, il gruppo del lusso internazionale che produce anche Gucci e che ha rilevato la Richard Ginori nel 2013, possiede infatti il marchio, ma non il terreno sui cui sorge lo stabilimento, rimasto in capo alla fallita Ginori Real Estate, e per il quale oggi la Kering paga un affitto molto elevato. Di qui, la decisione di acquistare il terreno, anche alla luce degli 80 milioni investiti negli ultimi cinque anni per rinnovare lo stabilimento. Ma la principale banca creditrice delle Ginori Real Estate, la doBank, del gruppo Unicredit, ha rifiutato l’offerta di acquisto, gettando così nell’incertezza totale il futuro di tutta l’azienda.
Marasco, una vicenda che non sembra trovare una pacifica conclusione. Ma come si è giunti a questo ennesimo capitolo?
Sinceramente non so dire quale siano le motivazioni che abbiano spinto la doBank, tra le principali creditrici del fallimento della Ginori Real Estate, ad agire in questo modo. Siamo davanti ad una situazione che va oltre il normale buon senso. Sembra di stare nel film Il giorno della marmotta, dove il protagonista è costretto a rivivere continuamente la stessa giornata. Quello che è evidente è una totale mancanza di attenzione al valore di questa fabbrica, non solo come uno dei nomi storici del made in Italy, ma perché rappresenta un punto di riferimento per Sesto Fiorentino e tutto il territorio circostante. C’è inoltre, da parte del potere finanziario, un scavalcamento delle decisioni e degli accordi presi in sede politica e istituzionale, a tutti i livelli.
Crede che ci siano state delle carenze da parte delle istituzioni nella gestione della vicenda?
Niente affatto. In questa vicenda tutte le istituzioni, comune, regione e ministero, si sono mosse in modo compatto e all’unisono, trovando una soluzione che permettesse allo stabilimento di continuare la produzione. Ma poi è arrivata l’ennesima doccia fredda.
Una doccia fredda che e’ legata alla questione del terreno: crede che ci sia dietro una speculazione finanziaria o edilizia?
Come ho detto è molto difficile, data l’attuale situazione, trovare il motivo che ha portato a questa situazione. Partiamo da fatto che la doBank ha acquisito un credito deteriorato, e quindi con un valore molto più basso, perché stiamo comunque parlando di una fabbrica che aveva dichiarato il fallimento. Se si dovesse trattare di una speculazione finanziaria, probabilmente la doBank spera che il gruppo Kering, che a suo tempo ha rilevato lo stabilimento, alzi il prezzo della propria offerta per il terreno. Tuttavia la domanda che mi pongo è perché la doBank non abbia avanzato delle richieste maggiori durante le trattative per l’acquisizione, cioe’ prima che si arrivasse, in sede ministeriale, a degli accordi. È chiaro che giocare al rialzo, dopo che sono state stabilite le regole, non è un comportamento propriamente corretto. Se poi si dovesse trattare di una speculazione edilizia, lo scenario sarebbe ancora peggiore: perché vuol dire che l’intento è solo uno, ossia di mandare via Ginori per utilizzare quel terreno per farne profitto. Comunque sia, in entrambi i casi, di speculazione si tratta.
Quale scenario si prospetta per i 300 lavoratori dello stabilimento?
La vicenda di Ginori è l’esempio perfetto di come vanga svalutato il valore del lavoro, e di come si stia svendendo anche la cultura. L’attività produttiva della Ginori rappresenta il cuore di Sesto Fiorentino, è un punto di riferimento intorno al quale si è sviluppata tutta l’area circostante. È una partita chiarissima che vede contrapposti da una parte, industria, lavoro e cultura, e dall’altra la speculazione. Per quanto riguarda il futuro dei lavoratori, stiamo parlando di una fabbrica che, nonostante sia un marchio storico, viene da un fallimento, e che necessità di investimenti strutturali per rilanciare la produttività. È chiaro che con il veto posto dalla doBank sull’acquisto dei terreni, anche la nuova proprietà nicchia nel fare gli investimenti che servono, perché non sa se potrà andare avanti con la produzione. Siamo dunque in una situazione sostanzialmente congelata, che, probabilmente, potrà sbloccarsi solo con un rialzo dell’offerta. Ma è lampante che si tratta di un atteggiamento privo di qualsiasi moralità. Come ho detto, è un perfetto esempio di come il potere finanziario possa prevalere e prevaricare non solo sul mondo del lavoro, ma anche sulle decisioni prese al livello politico.
Tommaso Nutarelli