La questione salariale sta tornando al centro delle riflessioni e delle questioni economiche relative al nostro paese. Deve tornare al centro delle relazioni sindacali e del confronto tra parti sociali. Ne abbiamo bisogno. In Italia esiste una forte questione salariale. Complessa, dovuta a più fattori e non affrontabile da un solo lato. Molti economisti si chiedono come mai, e diversamente dal passato, in Occidente la ripresa non stia trascinando un aumento dei salari reali.
Da sindacalista, da semplice contrattualista che cerca sempre più restare connesso con un mondo del lavoro in cambiamento, osservo diversi fattori che pesano più di ieri sulla compressione dei salari. Dopo 10 anni di dura recessione la globalizzazione non ha fatto altro che aumentare l’offerta e la concorrenza di beni e servizi generati in paesi a più bassi salari, la propensione delle persone ad avere un lavoro prevale sulla rivendicazione salariale, il mercato del lavoro italiano sta generando un aumento dei posti soprattutto a bassa qualifica e specializzazione nel settore dei servizi, sono esplosi i contratti a part time involontario, si diffondono forme di lavoro occasionali e parcellizzate che sfuggono alle regole dei contratti nazionali.
Tutto questo non deve diventare un alibi, anzi costituiscono problemi da risolvere con politiche nuove e devono portare tutto il sindacato a riflettere e a confrontarsi anche unitariamente su come riprendere una incisiva e nuova azione salariale. E’ stato importante difendere e salvare il nostro sistema contrattuale negli anni non facili della deflazione, della recessione e della produttività piatta, condizioni terribili per ogni contrattualista. Ma è tempo di guardare avanti. Se perfino i sacerdoti delle banche centrali invocano più valore ai salari europei e italiani, non possiamo non sentirci coinvolti e chiamati in campo.
Non esistono ricette magiche o scorciatoie per una inversione di tendenza nella politica salariale italiana. Meno politica dei redditi e più contrattazione innovativa mi sembra tuttavia essere il principale paradigma che deve orientare la responsabilità e l’azione delle parti sociali.
Per quanto, nell’indicare gli elementi che possono caratterizzare una nuova stagione per i salari, non posso che partire da una prima questione di politica economica. In Italia, ma anche in Europa, le nostre società vivono su di una eccessiva tassazione basata sul lavoro, non più sostenibile né concorrenziale. Mantenendo i livelli di welfare e di protezione sociale, occorre con gradualità ma in modo deciso avviare una riforma della tassazione e della contribuzione sociale che sgravi il costo del lavoro e gli stessi salari netti e che sposti verso rendite, consumi e combustibili fossili un maggiore peso fiscale.
Ma oltre a ciò è la contrattazione salariale che deve riprendere ruolo e iniziativa. Anzitutto difendendola dalle malattie che la stanno investendo. La proliferazione dei contratti nazionali, come certificato di recente dal CNEL soprattutto a seguito della stipula di accordi tra parti di dubbia rappresentatività, e il dumping contrattuale da parte dei cosiddetti “contratti pirata” sono fenomeni che hanno assunto una abnorme rilevanza soprattutto nei comparti del commercio, dell’edilizia e del terziario e che vanno combattuti. La Cisl, storicamente diffidente verso ogni forma di intervento legislativo in tema di relazioni sindacali, ha da tempo “varcato il Rubicone” e oggi chiede non una legge sulla contrattazione ma un intervento legislativo che possa definire criteri per la rappresentatività di tutte le parti sociali (datoriali e sindacali) ai fini della applicabilità generale dei contratti stipulati, meglio se recependo le regole già pattuite in materia.
Contratti nazionali più certi nella loro validità e applicazione sono una esigenza da recuperare che non può che favorire tempi più celeri nei loro rinnovi. Oggi l’allungamento dei tempi di vacanza contrattuale, arrivato in alcuni settori a debole rappresentatività sindacale a misurare anni di ritardo, costituisce il primo fattore di indebolimento dei salari reali. Non abituare le imprese a stare senza rinnovo contrattuale, sostituendolo con elargizioni unilaterali, deve diventare un ammonimento per chi contratta.
La Cisl crede che un sistema basato su 2 livelli contrattuali, sempre più definiti nella distinzione di ruoli ed integrati nel costruire per le imprese un orizzonte di certezze, continui ad essere il modello più moderno ed efficace per il nostro paese, a condizione che la contrattazione decentrata allarghi la propria azione e capillarità.
Ha ragione chi dice che oggi non possiamo contare ancora su una contrattazione di secondo livello maggioritaria, per quanto il nostro osservatorio ci dice che la popolazione lavorativa (è questo il parametro da utilizzare e non il numero di imprese) coperta dalla stessa sia oggi almeno attorno al 40% della forza lavoro nel settore privato, soprattutto se conteggiamo anche i risultati della contrattazione territoriale di secondo livello che in settori come l’artigianato, l’edilizia, l’agricoltura è rimasta ad un discreto grado di diffusione nonostante la crisi.
Ma il punto è proprio questo. E’ illusorio pensare ad una contrattazione esclusivamente di carattere aziendale, data la struttura di impresa del paese a forte diffusione di Pmi e microaziende; serve invece riformare le relazioni per diffondere e moltiplicare una contrattazione settoriale a base territoriale che offra un set di aumenti salariali legati a parametri specifici, anche su base aziendale. Dobbiamo puntare a rendere normale e diffusa una contrattazione territoriale che non punti solo a soluzioni mediane ma che permetta ad ogni realtà aziendale di perseguire, misurare e riconoscere ai lavoratori miglioramenti coerenti e tangibili. Sono i territori il nuovo baricentro della crescita delle economie e dei salari.
Ma se parliamo di contrattazione innovativa il sindacato tutto deve riflettere, confrontare ed elaborare nuove piste di contrattazione salariale. Non possiamo pensare, in parole più chiare, che il futuro dei salari contrattati ruoti da un lato attorno al solo adeguamento all’inflazione dei minimi nazionali e dall’altro ai soli premi di risultato interamente variabili. La Cisl e le sue categorie sono state già da diversi anni pioniere convinte di una contrattazione salariale per obiettivi, ben prima delle giuste misure di detassazione introdotte nelle ultime 2 leggi di stabilità. Ma quando abbiamo reso variabile il 10-15% del salario annuo di un lavoratore (a questi livelli ormai sono arrivati i premi di produttività più avanzati) dove ancora vogliamo andare?
Il punto, la novità verso cui dobbiamo indirizzare la contrattazione sia nazionale che decentrata è sapere riconoscere e pagare meglio il valore del lavoro, la sua qualità, le competenze che lo compongono e le prestazioni che lo caratterizzano. Sebbene il lavoro stia subendo una sorta di polarizzazione, esso è sempre più qualificato e denso di contenuti. Le nuove tecnologie digitali e le nuove organizzazioni che avanzano piallano le gerarchie, rottamano il taylorismo e chiedono al lavoratore di curare e realizzare sempre più risultati e obiettivi qualificanti.
Il sindacato italiano ha mantenuto la capacità di contrattare, anche salarialmente, le flessibilità e le disponibilità temporali. Ha perso da troppo tempo la cura, la conoscenza e la passione per l’organizzazione del lavoro, per il riconoscimento, la misurazione e la valorizzazione delle prestazioni, tra l’altro sempre più ricche, che i lavoratori esprimono.
Non saranno, a mio avviso, riforme sempre più rinviate degli inquadramenti professionali a realizzare ciò. Occorre aprire, con il protagonismo delle categorie, un cantiere che sappia riformare la contrattazione salariale, arrivando a rivendicare il riconoscimento e la misurazione anche a livello individuale (attraverso parametri socialmente condivisi e negoziati con le controparti) delle prestazioni e dei nuovi contenuti del lavoro.
Da tempo il nostro osservatorio Ocsel ci dice che anche nella contrattazione aziendale non è più tempo di aumenti uguali per tutti. Occorre un ulteriore salto di qualità per rivendicare in modo non velleitario ma appropriato una crescita dei salari legata alla crescita del valore del lavoro. Abbiamo strumenti e idee per rilanciare in modo nuovo la contrattazione salariale e contrastare la diffusa pratica degli aumenti unilaterali, a cui non vogliamo e non dobbiamo rassegnarci.
Gigi Petteni, segretario confederale Cisl