Mario Ricciardi
1. La sottoscrizione dell’ accordo per il rinnovo di secondo biennio del comparto scuola, avvenuta alle prime luci dell’ alba del 15 febbraio dopo la rituale nottata di trattative, ha sollecitato nei protagonisti del negoziato e negli osservatori, reazioni contrastanti. Da un lato, il sollievo per aver chiuso, senza gravi danni né conflitti troppo aspri, una pagina di relazioni sindacali tra le più complesse e tormentate degli ultimi anni. Dall’ altro, un’ onda di critiche, provenienti sia da alcune organizzazioni sindacali che non hanno sottoscritto il contratto perché sostenitrici, nell’ occasione, di un più spinto neo-ugualitarismo salariale, che da quanti attendevano l’ intesa a penna alzata, pronti a stigmatizzarne il presunto lassismo rispetto a più rigorosi criteri selettivi.
In realtà, la vicenda conclusasi nella notte di San Valentino è assai più complessa, e viene da molto più lontano di quanto la maggior parte dei commentatori sia disposta a riconoscere. Anche limitandosi, però, ad un breve commento dell’ accordo, non si può non fare, sia pur brevemente, riferimento al contesto in cui esso ha visto la luce.
2. Tutto l’ anno 2000, com’ è noto, almeno a partire dalla primavera, è stato punteggiato da un’ aspra conflittualità nel mondo della scuola, conflittualità determinata da una serie complessa di cause, ma coagulatasi contro il cosidetto ‘concorsone’ . Tale conflittualità, pur avendo avuto il positivo effetto di indirizzare l’ attenzione del Paese verso i problemi della scuola, ha contribuito ad accendere i riflettori su alcune ragioni del malessere diffuso tra gli insegnanti ma ha lasciato molti dubbi circa le soluzioni capaci di risolvere i problemi da essi sollevati.
E’ apparso chiaro, innanzitutto, che il livello retributivo raggiunto dopo le complesse vicende politico-contrattuali degli anni novanta nel comparto scuola è considerato inadeguato, se non umiliante, da gran parte della categoria. E’ apparso chiaro altresì che tale disagio è determinato in parte anche dall’ appiattimento retributivo, che è particolarmente forte per il personale che ha maggiore anzianità e lavora nella scuola superiore. E’ evidente, infine, che una parte consistente, e comunque assai attiva sul piano della mobilitazione, del corpo insegnante, non intende accettare aumenti legati al merito, soprattutto se mal congegnati come quelli escogitati , nell’ inverno del 1999, al ministero di viale Trastevere.
Al di là di queste certezze, le turbolenze sociali della primavera-estate 2000, e il dibattito da esse sollecitato, non sono stati in grado di delineare, come pur sarebbe stato necessario, soluzioni alternative. Anche se l’ ugualitarismo abbastanza radicale di alcune rivendicazioni era evidentemente fragile, e sarebbe probabilmente bastato un dibattito più approfondito per far emergere, anche all’ interno del mondo della scuola, atteggiamenti diversi e più maturi, ciò non si è verificato. La forza della contestazione sembra anzi aver indotto, almeno, nell’immediato, i protagonisti della vicenda, ad adottare la più classica e forse inevitabile delle tattiche, quella di adattarvisi e cercare di cavalcarla. Le stesse autorità di Governo – con particolare forza nei ripetuti interventi del ministro della PI. – hanno a più riprese sottolineato l’ intollerabilità della condizione retributiva generale degli insegnanti, con ciò stesso archiviando sul nascere ogni ipotesi di soluzione del problema diversa da un aumento generalizzato delle loro retribuzioni.
L’ impasse del dibattito è andata poi a sfociare, intorno alla fine dell’ anno, verso due appuntamenti assai diversi tra loro, ma entrambi significativi: l’ elezione delle Rsu nel comparto scuola, e l’ elaborazione della legge finanziaria, l’ultima della legislatura.
E’ noto che l’ elezione delle Rsu, che avrebbe dovuto effettuarsi contestualmente agli altri comparti del pubblico impiego nell’ autunno del 1998, era stata rinviata, principalmente per dissensi tra le organizzazioni sindacali circa l’ ambito, provinciale o d’ istituto, in cui avrebbero dovuto essere elette. Il caso ha voluto che la nuova data fissata consensualmente (il dicembre 2001) fosse appunto collocata ‘ in coda’ alla vasta contestazione, contro il governo ma anche contro i sindacati firmatari del Ccnl quadriennale, di cui si è detto. Era ragionevole prevedere che le organizzazioni sindacali storiche ne sarebbero uscite penalizzate, a vantaggio di quei sindacati minori (Gilda e Cobas) che erano stati alla testa della contestazione. I risultati elettorali sono stati invece in parte sorprendenti. Mentre i sindacati ‘ contestatari’ hanno effettivamente avuto un incremento dei loro consensi, in particolare Gilda, i sindacati ‘ tradizionali’ hanno registrato esiti elettorali piuttosto differenziati. I risultati elettorali, e le cause che li hanno determinati, andranno attentamente valutati non appena i dati completi saranno ufficializzati, e saranno noti anche nei dettagli. L’elezione delle Rsu ha comunque determinato, nell’ immediato, alcune polemiche post-elettorali, ma soprattutto ha causato un cambio della guardia nello Snals, e l’ instaurarsi di una nuova leadership e di nuovi equilibri all’ interno di tale sindacato.
L’ altro appuntamento di fine anno era, com’ è noto, l’approvazione dell’ ultima legge finanziaria della tredicesima legislatura. I sindacati della scuola non hanno, ovviamente, perso l’ occasione per inserirsi anch’ essi nella lunga processione di coloro che intendevano far valere in tale occasione le aspettative e i diritti delle categorie rappresentate. Tra novembre e dicembre il personale della scuola è stato così chiamato a diversi scioperi e mobilitazioni, che hanno condotto ad una trattativa con il governo, e infine ad un accordo a palazzo Chigi, il 15 dicembre. I termini fondamentali dell’ accordo sono così sintetizzabili: a) il rinvio della ‘questione carriera’ per gli insegnanti al prossimo quadriennio contrattuale; b) la destinazione delle risorse (1260 miliardi) che il CCNL aveva destinato al ‘ concorsone’ , più un consistente flusso di risorse ‘ fresche’ (850 miliardi all’ anno, a partire dal 2001, più, ovviamente, il recupero dell’ inflazione), a retribuire ‘ gli impegni professionali di tutti i docenti legati alla piena attuazione dell’ autonomia delle istituzioni scolastiche secondo modalità da definire in sede contrattuale’ , nonché a far raggiungere alle retribuzioni degli insegnanti ‘ significativi avvicinamenti ai parametri europei’ . L’ accordo, insomma, mandava, sia pure in forme non prive di qualche ambiguità, un messaggio abbastanza chiaro: quello di chiudere al più presto, e nel modo meno conflittuale possibile, la vicenda iniziata con il Ccnl del 26 maggio 1999, rinviando al successivo quadriennio (e alla prossima legislatura) la questione che ormai da un decennio agita, irrisolta, le giornate dei negoziatori: come costruire una carriera, e una diversificazione retributiva basata (anche) sul merito, per gli insegnanti italiani.
Essendo questo il contesto generale in cui si è svolta la trattativa, i margini per i negoziatori (Aran e sindacati di categoria) non erano molto ampi. L’ eventuale fantasia dei negoziatori era fortemente imbrigliata, da un lato, dall’ esigenza di chiudere al più presto le trattative, e dall’ altro dalle strette linee guida dettate dall’ accordo del 1 5 dicembre, nonché dai conseguenti atti d’ indirizzo inviati dal governo all’ Aran. Circa l’ urgenza di chiudere la trattativa, insistentemente ribadita dal Governo e dalle stesse organizzazioni sindacali, le interpretazioni più maliziose l’ hanno attribuita alla volontà di catturare il consenso elettorale del personale della scuola in vista delle imminenti scadenze elettorali. Verosimilmente, però, Governo e sindacati hanno anche condiviso la volontà di indirizzare al più presto verso i naturali destinatari risorse finanziarie che da tempo avrebbero dovuto essere nelle tasche del personale, volendo altresì concludere in questa legislatura e in questo quadriennio contrattuale una pagina che qui aveva trovato la sua origine e percorso le sue vicissitudini.
3. Nei primi giorni di gennaio 2001 si è aperto quindi, per il comparto scuola, un rinnovo di secondo biennio assai atipico, perché non limitato al consueto adeguamento dei salari all’ inflazione, prevista e trascorsa, ma anche a definire le destinazioni di risorse ingenti, come quelle ricordate. L’ accordo siglato il 15 febbraio ha cercato di indirizzare tali risorse verso direzioni utili, da un lato, a rasserenare, almeno in parte, l’ ambiente scolastico dando risposta al malessere salariale emerso con forza negli ultimi mesi e, dall’ altro, ad inviare agli istituti scolastici un ‘ pacchetto’ di risorse capaci di rendere un po’ meno arduo il decollo dell’ autonomia scolastica. Il contratto ha preso atto, inoltre, di alcuni importanti mutamenti intervenuti di recente nell’ assetto scolastico, cominciando ad adeguarvi il sistema di relazioni sindacali.
Per quanto riguarda la parte salariale, una quota consistente delle risorse originariamente previste per il ‘ concorsone’ (960 mld), e una tranche rilevante delle risorse fresche è stata indirizzata, com’ è noto, a tutti gli insegnanti, con l’ obiettivo dichiarato di compensare l’ aggravio di lavoro dovuto all’ autonomia, e di avvicinare le loro retribuzioni non tanto ai livelli , quanto alle dinamiche di sviluppo, degli altri Paesi europei. Per questo, l’ accordo non ha previsto una semplice ‘ spalmatura’ ditali risorse, ma ha compiuto un’ operazione un poco più complessa. Innanzitutto, gli aumenti sono stati distribuiti in maniera non eguale per tutti, ma distribuendoli, in un rapporto 100/150, su tre fasce d’ anzianità. Tali fasce sono state individuate sulla base di studi che rivelavano come proprio in relazione all’ accrescersi dell’ anzianità la dinamica retributiva degli insegnanti italiani si appiattisca, diversamente da quelle degli altri principali Paesi dell’ Unione. Va sottolineato che tale diversificazione non modifica stabilmente la progressione economica per anzianità esistente (basata su gradoni sessennali), ma serve, una tantum, a correggere le tendenze esistenti e ad evitare che aumenti ‘ spalmati’ in maniera indifferenziata finiscano con l’ aggravare l’ appiattimento retributivo.
Il secondo aspetto riguardante gli aumenti generalizzati riguarda la creazione di una nuova voce retributiva, chiamata ‘retribuzione professionale docenti’ , nella quale sono confluiti gli aumenti della retribuzione accessoria erogati con il secondo biennio, e un istituto (il Compenso individuale accessorio) corrisposto nel primo biennio. La creazione di questo istituto contrattuale va nella direzione, a più riprese indicata dai sindacati, di creare una struttura retributiva specifica e identificativa della professione docente, sia pure all’ interno di un unico comparto contrattuale.
Il resto delle risorse indirizzate agli insegnanti, per un totale di oltre quattrocento miliardi, sono invece confluite ad arricchire il fondo d’ istituto, dove dovranno prevalentemente compensare, come recita l’ art. 15 dell’ intesa, ‘ l’ impegno professionale dei docenti, realizzabile come disponibilità ad un ulteriore impegno didattico rispetto a quello previsto’ , nonché ‘ l’ attuazione di forme di flessibilità organizzativa e didattica’ . L’ importanza ditale previsione non è stata sufficientemente sottolineata dai commentatori. In realtà, non è affatto retorico dire che con l’ autonomia, ma anche a seguito delle intense trasformazioni verificatesi nel contesto socio-economico del Paese, l’ offerta didattica, e con essa il ‘ mestiere’ di chi insegna, si è fatto più complesso ed impegnativo. Le risorse a disposizione delle scuole per compensare le attività cui comunque una parte almeno degli insegnanti è tenuta e/o disposta a prestarsi, oltre le attività tradizionali, sono però estremamente modeste, e dunque l’ ulteriore flusso di denaro disposto da questo accordo è incontestabilmente rivolto al miglioramento della qualità scolastica.
Accanto alla parte più direttamente economica, l’ accordo del 15 febbraio ha poi introdotto alcune innovazioni strutturali e normative tutt’ altro che secondarie, e per certi aspetti destinate probabilmente ad incidere notevolmente sul futuro della contrattazione collettiva della scuola.
E’ necessario ricordare che negli ultimi mesi l’ amministrazione scolastica è stata attraversata da cambiamenti molto simili a un terremoto. Innanzitutto, il vecchio ministero di viale Trastevere è sempre più destinato a trasformarsi in un guscio (semi)vuoto, man mano che procede la devoluzione di competenze, da un lato alle neonate direzioni regionali, e dall’ altro alle stesse istituzioni scolastiche. A livello dei singoli istituti, poi, vi sono le novità rappresentate, da un lato, dall’ attribuzione della qualifica dirigenziale ai capi d’ istituto, e, dall’ altro, dall’elezione e dall’entrata in funzione delle rappresentanze sindacali unitarie.
Il progressivo svuotamento di funzioni del ministero rappresenta naturalmente, come tutti i fenomeni ‘rivoluzionari’ di questa portata, un processo che non potrà che avvenire gradualmente, e la cui attuazione andrà verificata nel tempo. Comunque, l’ accordo del 15 febbraio si adegua per certi aspetti a tali trasformazioni, e per certi aspetti addirittura le anticipa.
Non può sfuggire, infatti, che l’ accordo del secondo biennio contrattuale ha una struttura assolutamente diversa da quella consueta nel comparto, essendo totalmente svolto in una dialettica bipolare tra accordo in sede Aran e contrattazione d’ istituto. Le risorse gestite a livello nazionale vengono disciplinate dall’ accordo Aran, senza quei rinvii alla contrattazione nazionale di ministero che erano consueti nella prassi precedente, e che avevano trasformato il contratto di ministero, da contratto integrativo, in un vero e proprio secondo contratto nazionale. Analogamente, le somme rinviate alla contrattazione integrativa vengono direttamente inviate ai singoli istituti, senza alcun filtro del ministero.
E’ difficile dire quanto questo – peraltro auspicabile- ridimensionamento del contratto integrativo nazionale sia definitivo, e se dipenda dalla volontà di dare una vera svolta al sistema contrattuale, o sia destinato a restare episodico. Certo, ha pesato molto l’esigenza di dare rapidamente gli aumenti agli insegnanti, e ciò non poteva conciliarsi con un altro ‘ passaggio’ contrattuale. Ma il by-pass del ministero è anche meno accidentale. I sindacati hanno sperimentato sulla propria pelle i negativi effetti di una trattativa troppo all’ insegna di una cultura burocratica, come quella maturata al ministero nell’ estate del 1999, dopo la firma del Ccnl, e che produsse il disastro del ‘ concorsone’ . Allo stesso tempo, pare evidente la volontà di concentrare il vero baricentro dell’ amministrazione e delle politiche scolastiche piuttosto a livello regionale e dei singoli istituti, e dunque è inevitabile che la contrattazione segua il nuovo dislocarsi dei poteri reali.
E’ appunto qui, a livello di singole istituzioni scolastiche, che si concentra la parte più innovativa dell’ accordo, per quanto riguarda le relazioni sindacali. Occorre ricordare, peraltro, che già il Ccnl quadriennale aveva previsto che, dopo una breve fase transitoria, la contrattazione collettiva e le altre forme di relazioni sindacali presenti nella panoplia del lavoro pubblico dovessero fare il loro esordio anche negli istituti scolastici. Già il contratto quadriennale aveva elencato una serie di materie rinviate alla contrattazione collettiva tra dirigente scolastico, da un lato, e Rsu e sindacati locali, dall’ altro. L’ accordo di febbraio aggiunge alle materie già previste dal Ccnl la determinazione della misura dei compensi da corrispondere al personale docente per le attività di flessibilità didattica da retribuirsi con il fondo d’ istituto, nonché i criteri generali per l’ impiego delle risorse del fondo, ivi comprese quelle provenienti, eventualmente, dall’ esterno dell’ amministrazione scolastica. Si tratta di materie tutto sommato abbastanza circoscritte, e non tali da determinare quell’ invadenza sindacale nell’ ambito scolastico da alcuni paventata. Ciò non toglie che il problema del rapporto tra la diverse forme di relazioni sindacali in ambito scolastico, e le competenze di programmazione didattica e organizzativa spettanti ai diversi organi che, nel mondo della scuola, condividono il posto di guida, si ponga, soprattutto in prospettiva. La linea adottata in questo accordo, e che potrebbe comunque costituire un’ indicazione anche per il futuro, è quella di evitare invasioni di campo, da parte di organi sindacali, degli ambiti attinenti alla programmazione della didattica e dell’ offerta formativa, limitando invece le prerogative sindacali ai limitati spazi di contrattazione salariale aperti a livello d’ istituto, e alla determinazione di contrappesi al potere di organizzazione del personale esercitabili dal dirigente scolastico. E’ peraltro evidente che i confini tra questi ambiti sono in alcuni casi assai sottili, e non determinabili, in astratto, una volta per tutte. Starà alle capacità relazionali e al buon senso dei vari attori il compito di trovare, di volta in volta, gli opportuni equilibri.
L’ esigenza di chiudere rapidamente la trattativa, oltre all’ opportuna preoccupazione di non appesantire eccessivamente un accordo che, nonostante le già richiamate specificità, resta comunque un accordo di secondo biennio, hanno dissuaso le parti dall’ introdurre nel testo molti altri contenuti riguardanti la parte normativa.
Oltre alle materie fin qui ricordate, l’ intesa disciplina quindi alcuni aspetti retributivi propri del personale Ata, soprattutto rispetto alle conseguenze determinate dal recente trasferimento di personale dagli Enti locali alla scuola, adegua in parte la retribuzione dei direttori dei servizi generali e amministrativi a quanto previsto a suo tempo dal Ccnl, regola anche nel comparto scuola la materia dei congedi parentali. Le materie rimaste aperte come sequenze contrattuali dall’ accordo quadriennale, saranno trattate in una serie di incontri a breve scadenza. La fase di profonde trasformazioni strutturali determinate dall’ intensa produzione riformatrice del lavoro pubblico in questa legislatura ha reso in diversi casi necessaria questa forma di destrutturazione del sistema contrattuale data dalle ‘ code’ ai contratti. Si tratta però di una prassi che rischia di tenere in continua fibrillazione il sistema contrattuale pubblico, complicando e rendendo anche alla fine meno chiara la normativa. E’ questo uno dei problemi su cui occorrerà probabilmente soffermarsi, in sede di consuntivo sui risultati, non solo in termini di contenuti, ma anche di funzionamento e di struttura di questo quadriennio contrattuale nel lavoro pubblico;
4. Come si è ricordato in apertura, l’ accordo sembra essere stato accolto con una certa soddisfazione da parte dei firmatari e del Governo. Sul gradimento da parte della categoria interessata e da parte dei cittadini è difficile dire; ma, anche sulla base delle assemblee sindacali di consultazione, non sembra che questo accordo abbia suscitato le forti emozioni che hanno percorso il mondo della scuola nell’ultimo anno. Quanto ai critici, tralasciando le legittime, ma evidentemente un poco ‘ estremistiche’ posizioni di chi accusa l’ accordo di essere ancora troppo permeato di intenti selettivi, ci si può legittimamente chiedere in quale Paese abbiano vissuto, nell’ ultimo anno, coloro che accusano invece il contratto del 15 febbraio di avere rinunciato a premiare il merito del personale docente. Come abbiamo sottolineato, infatti, la discussione sui problemi della scuola e del corpo insegnante è stata, a partire dall’ affossamento del cosiddetto ‘ concorsone’ , totalmente dominata dal tema dell’ insufficiente livello delle retribuzioni, mentre quasi del tutto assenti sono state le proposte (e la ricerca di consensi) circa la revisione dei meccanismi di valorizzazione della qualità didattica, o le ipotesi di costruzione di una carriera, anche solo in prospettiva, per gli insegnanti. Così stando le cose, appare evidente che la trattativa , a partire dall’ accordo politico del 15 dicembre, per arrivare all’ accordo contrattuale del 15 febbraio, non poteva che rinviare a tempi più favorevoli la soluzione del problema, ripromettendosi di chiudere dignitosamente questa pagina, e di introdurre, tutt’ al più, elementi capaci di agevolarne la soluzione nella prossima legislatura e nel prossimo quadriennio contrattuale.
Da questo punto di vista, i risultati appaiono interessanti. Si può dire innanzitutto che l’ accordo corrisponde incrementi retributivi tutt’ altro che disprezzabili a tutto il personale docente, rimuovendo così, almeno in parte, uno degli argomenti ‘ orti’ degli avversari del concorsone, quello secondo cui non si poteva condividere una diversificazione per merito delle retribuzioni finché i livelli salariali di tutto il personale restavano così bassi. Tale incremento è stato corrisposto, inoltre, in modo da andare in controtendenza rispetto all’ appiattimento (per anzianità, oltre che per livello di scuola) che rappresenta un altro dei motivi di malessere diffusi nel ceto docente.
Un secondo risultato positivo risiede nell’ aver potuto indirizzare una parte, anche se ancora non abbastanza consistente, di risorse, verso il fondo d’ istituto, per compensare l’ ulteriore impegno didattico. E’ opportuno sottolineare, infatti, che la qualità dell’ offerta scolastica non dipende soltanto dalla pur necessaria introduzione di meccanismi capaci di verificare la qualità e la preparazione dei docenti, ma anche dalla possibilità di incentivare l’ ulteriore attività didattica dei molti docenti bravi ed impegnati che operano nella scuola italiana.
Un terzo risultato positivo è stato quello di aver cominciato a spostare il baricentro delle relazioni sindacali del comparto dal centro alla periferia, depotenziando la contrattazione di ministero e trasferendo compiti e competenze ai livelli regionale e d’ istituto. Si è più volte avuto modo di sottolineare l’ ipertrofia burocratizzante tipica della contrattazione ministeriale, e la stridente contraddizione tra il processo di decentramento e di semplificazione connesso all’ autonomia e la barocca complessità della macchina contrattuale. Indicare negli istituti la principale sede decisionale anche per quanto riguarda le relazioni sindacali potrebbe essere d’ aiuto anche rispetto all’ esigenza di identificare le sedi in cui indicarne un eventuale meccanismo di valutazione della qualità didattica del personale docente.
Certo, rispetto a qualche problema cui si è cominciato a dare soluzione, molti altri restano del tutto aperti, a partire dalla domanda ‘ capitale’ di come si possa gestire un problema di così ampia portata come quello dell’adeguamento e della modernizzazione della professione docente nel nostro paese.
Rispetto ai problemi che rimangono sul tappeto, e che non si limitano peraltro alla costruzione di una carriera per gli insegnanti, ma riguardano compiti e ruoli di tutto il personale della scuola in questa fase delicatissima di trasformazione, sarebbe opportuno che si riaprisse una discussione, non limitata alle parti sociali, più pacata, ma non meno impegnata di quella svoltasi all’ indomani del ‘ concorsone’ , almeno per evitare che, anche nel prossimo quadriennio, si sia costretti ad assistere alla riproposizione di un copione già recitato.