Raffaella Vitulano
La confederazione europea dei sindacati (Ces) non ha ricevuto da parte degli imprenditori privati europei (Unice) significativi segnali tali da consentire un rilancio dei negoziati, in stallo da tempo, sul lavoro interinale. “La dichiarazione dell’Unice offre un’apparente apertura ma in fondo le posizioni padronali restano immutate” sostiene il segretario generale Emilio Gabaglio da Bruxelles. “Ad esempio, l’Unice dà l’impressione di accettare una parità di trattamento nell’impresa utilizzatrice sulla sanità e sicurezza, ma una direttiva comunitaria esiste già in materia!”. E lo stesso sulla prevenzione degli abusi, laddove l’Unice, in sostanza, propone di riprendere una clausola della convenzione 181 dell’Oil già esistente e che non concerne la prevenzione degli abusi tale quale è già stata accettata dagli imprenditori nel precedente accordo sui contratti a tempo determinato.
L’Unice, dal canto suo, continua a dirsi in favore del proseguimento dei negoziati sul lavoro interinale. “Siamo convinti” ha dichiarato il presidente Jacobs “che i partner sociali siano i più adatti a trovare un giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza. Un accordo a livello europeo dovrebbe essere possibile se i sindacati sono disposti a fare qualche compromesso”. Ma qui non tanto di compromesso si tratta, quanto di smantellamento delle regole fondamentali. Gli imprenditori europei sostengono invece di avere offerto una protezione giuridica dei lavoratori interinali contro la discriminazione esistente all’inizio del negoziato. Tale protezione s’applicherebbe ad ogni condizione d’impiego. Tuttavia, la flessibilità – aggiungono gli imprenditori – deve essere preservata e l’Unice la vuole mettere in pratica con la differenza di trattamento tra un lavoratore dipendente dall’impresa utilizzatrice e un lavoratore interinale. Gli imprenditori accettano che la parità avvenga sul piano della tutela della salute e della sicurezza, oltre che per l’orario massimo di lavoro e il periodo minimo di riposo, e non esitano a giudicare “non giustificata” l’insistenza della Ces affinchè i dipendenti fissi dell’azienda rappresentino il punto di riferimento per le altre condizioni di lavoro. A decidere quale sia il riferimento dovrebbero essere, per gli imprenditori privati, gli Stati membri, tramite legislazione, o i partner sociali, per contratto collettivo.
Il secondo punto di divergenza con la Ces, come ricordano gli stessi sindacati, riguarda la prevenzione degli abusi. “Siamo pronti a proseguire i negoziati su tali basi, ma l’Unice non sarà complice della creazione di un sistema che danneggi l’occupazione. Sarebbe contrario agli obiettivi di Lisbona” commenta Jacobs. Una precisazione pretestuosa. “La Ces ha vanamente cercato con le differenti proposte fatte agli imprenditori di assicurare ai lavoratori interinali una vera e propria clausola di non-discriminazione e delle garanzie che permettano di prevenire l’uso abusivo di tali forme di lavoro. Garanzie che l’Unice ha ostinatamente rifiutato col pretesto che tali misure sarebbero d’ostacolo allo sviluppo dell’occupazione. Migliori condizioni di lavoro non sono mai pregiudizievoli e alternative al numero dei posti di lavoro” replica infatti Gabaglio.