Raffaella Vitulano
NUOVE nubi sociali in vista in Francia con l’annuncio di un drastico piano di ristrutturazione di Moulinex Brandt, gruppo controllato dall’italiana El.Fi., che comporterà chiusura di stabilimenti e pesanti tagli occupazionali. Il progetto prevede infatti la soppressione di oltre 4.000 posti di lavoro e l’abbandono di tre fabbriche, due di Moulinex e una di Brandt. Tra gli stabilimenti condannati, vi sarebbe quello di Alencon, in Normandia, che è la culla del re francese del piccolo elettrodomestico.
I sindacati, che avevano approvato l’anno scorso la fusione tra Moulinex, in crisi da anni, e Brandt, filiale francese di El.Fi, hanno già fatto sapere che intendono opporsi al piano di ristrutturazione ma sono divisi sulle forme di lotta, con la Cgt favorevole al boicottaggio dei prodotti e la Cfdt contraria.
Il drastico piano di ristrutturazione colpisce anche l’Italia, dove la sorte dell’unità di produzione di La Spezia che impiega circa 300 persone sembra ormai segnata. La chiusura della fabbrica che produce lavatrici sarebbe addirittura imminente, e i dipendenti dello stabilimento hanno attraversato oggi le strade del centro con bandiere, trombe e tamburi sollecitando la solidarietà di tutti per una vertenza che rischia di cancellare una presenza storica nel panorama industriale spezzino. Altre manifestazioni si sono tenute oggi anche in Francia. Ma l’annuncio di soppressione di 1.500 posti in Francia, 1.700 in Polonia e il resto in Italia, Irlanda , Germania e Brasile, non ha convinto né mercati nè i sindacati. Subito dopo il suo annuncio infatti le azioni di Moulinex hanno perso il 2%, scendendo a 4,38 Euro. Il numero 3 europeo dell’elettrodomestico ha attualmente 21.000 dipendenti. Secondo la nuova direzione il piano, il quarto in meno di 10 anni, è quello dell’ultima spiaggia, con una situazione finanziaria “che non ha nulla a che vedere con quella di Danone”, gruppo agroalimentare nella tormenta per avere annunciato la soppressione di posti di lavoro insieme ad alti profitti, fatto che ha indotto il governo Jospin a studiare un piano per contrastare le manovre imprenditoriali.
Ma cosa sta succedendo in Europa, che sembra stia vivendo una nuova stagione di tagli? “La solita storia delle multinazionali e dei profitti. Per questo la realtà dei comitati aziendali europei rappresentano una realtà in continua evoluzione: si firmano nuovi accordi, e quelli in vigore vengono messi alla prova da continui processi di ristrutturazione e fusione”, spiega al “Diario del Lavoro” Claudio Stanzani, responsabile dell’Infopoint Ces a Bruxelles. I cae, infatti, spesso si trovano nella condizione di doversi scontrare con le direzioni aziendali perchè queste non offrono informazioni. E’ il caso della Sara Lee, che ha giocato in maniera molto pesante nel tentativo di aggiramento del cae.
Ma tutte le multinazionali tentano di aggirarli? No, qualche cae riesce a procedere e a portare a casa i risultati. E’ il caso di quello dell’Electrolux-Zanussi, che di fronte a un processo di ristrutturazione si è riunito, ha fatto il punto con l’azienda, ha salvato posti di lavoro. E sembra stia rispettando le procedure la fusione tra la British Steel e la Koninklijke, che insieme hanno creato il Corus, un gruppo dell’acciaio che sta costituendo un nuovo Cae sulla base di due esistenti. Stesso discorso – racconta Stanzani – per la fusione in corso tra Usinor e Arbed, che potrebbe dar luogo alla nascita di uno tra i più grossi gruppi dell’acciaio nel mondo. “In questo caso, una volta approvata la direttiva europea sulla società europea, la direzione ha già manifestato il suo interesse a darsene lo statuto. E questo è veramente innovativo”.
Casi in cui la concentrazione avviene in modo reale e la consultazione è prassi ormai consolidata. I casi Danone e Marks & Spencer, invece, stanno facendo la storia di relazioni con i cae assai poco soddisfacenti. Sara Lee si stava avviando sulla stessa china, s’è ravveduta di colpo solo di fronte alle pressioni del sindacato e dei comitati aziendali, facendo marcia indietro ed accettando il confronto. Il mancato rispetto delle procedure avrebbe potuto condurla dritto in tribunale.
I fatti: a dicembre scorso a Chicago l’azienda annuncia la chiusura di alcuni stabilimenti in Europa. Il comitato aziendale ristretto in Europa si solleva, ma nella riunione di febbraio l’azienda comunica processi di ristrutturazione su diversi marchi in Europa, in Germania, in Francia e altrove, annunciando la chiusura di impianti, ma assicurando che non saranno soppressi posti di lavoro. Tuttavia, dopo neppure pochi giorni, s’avvia il processo di vendita della Liabel in Italia, con la chiusura di un analogo stabilimento in Spagna e il rischio concreto di tagli. Parte una richiesta dei cae di incontro urgente con la direzione. La Federazione europea dei tessili replica alla multinazionale che non è vero che la materia non è coperta dai cae, dato che interessa due paesi. Ma di fronte alle pressioni del cae l’azienda accetta due giorni fa di incontrare il comitato ristretto sindacale e la federazione di categoria. Comunque, il rispetto delle procedure è un conto e i risultati, ahinoi, sono altri. Come italiani, siamo coinvolti quasi in un caso su due di ristrutturazioni, considerando che in Europa i cae costituiti sono circa 645 e quelli che hanno o la casa madre o filiali in Italia sono circa la metà. “Siamo fortemente esposti, come è accaduto con l’Oreal. Ecco perchè le nostre federazioni devono abbandonare la gestione troppo locale e non basarci troppo sull’accordo interconfederale del ’96, che non ha mai avuto una legge di trasposizione nel nostro ordinamento”, conclude Stanzani.