Roberto Benaglia – segretario generale Fim Cisl Lombardia
L’accordo separato per il rinnovo biennale del contratto nazionale dei metalmeccanici firmato da Fim e Uilm e non dalla Fiom ha riportato in primo piano il tema della democrazia sindacale, chiamata in causa anche nel successivo confronto con i lavoratori, che hanno apprezzato in maggioranza i contenuti salariali dell’intesa, simili a quelli unitariamente raggiunti in passato, ma che sono rimasti in parte disorientati da come il sindacato ha assunto le proprie decisioni. La stessa Fiom ha ormai concentrato le proprie critiche sul metodo: il documento dell’assemblea di Verona con cui si proclama lo sciopero di sola organizzazione per il 16 novembre prossimo punta infatti tutto sulla democrazia.
L’accordo non può essere e non sarà sottoposto a referendum tra i lavoratori, sia perché non è previsto dalle attuali regole unitarie, sia perché un eventuale consultazione si sarebbe trasformata in pura competizione tra sigle, dimostrandosi deleteria qualunque ne fosse l’esito. Ma non c’è dubbio che un problema di democrazia esista e vada ormai affrontato, modificando e migliorando le regole attuali: in questo il 3 luglio 2001 è per la Fim un punto di svolta.
Il tema della democrazia sindacale non è certamente estraneo alla cultura sindacale della Fim, le appartiene e non sarà lasciato in mano alla sola Fiom. Non sarà una sola organizzazione sindacale a dettare regole per tutti. Va riaperto, non appena saranno ripristinate normali relazioni tra le organizzazioni, un confronto unitario a partire dalla ridefinizione delle regole. Siamo infatti consapevoli che proprio sulla democrazia sindacale il sindacalismo confederale italiano ha costruito buona parte della propria credibilità.
Tuttavia le regole attuali mostrano difetti e contraddizioni che devono essere superate:
· l’uso del referendum finale tra i lavoratori per validare gli accordi ha sempre poggiato sull’ambiguità di fondo di non aver mai previsto con chiarezza cosa succede quando prevalgono i “no” ad un’intesa. E non basta dire che stracciato un contratto, si ricomincia da capo, perché ogni sindacalista sa che non è mai stato così;
· i nostri referendum non raggiungono tutti i lavoratori, ma solo quelli delle aziende sindacalizzate;
· si fa votare in alcuni casi lavoratori garantiti a tempo indeterminato su normative relative a lavoratori precari senza dare voce a questi (esempio bocciatura dell’accordo sul job on call in Zanussi);
· spesso chi ha firmato accordi non li ha poi sostenuti con coerenza tra i lavoratori, mentre non sono mai stati regolamentati gli atteggiamenti di veto o prevaricazione tra le organizzazioni;
· le regole referendarie sono adottate solo dai metalmeccanici, mentre dentro Cgil, Cisl, Uil altre categorie si limitano a votazioni per alzata di mano o a semplice informazione.
La Fim vuole ripartire nella ridefinizione delle regole, da una tesi centrale: occorre stabilire regole democratiche chiare e trasparenti sia nei meccanismi che negli effetti, anche attraverso un sostegno legislativo, ma senza indebolire la rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Ecco da quali punti la Fim pensa di potere ripartire:
· il voto delle Rsu e degli organismi sindacali deve diventare il principale momento decisionale; il voto dei lavoratori ratifica ma non abroga automaticamente, queste decisioni;
· la fase di mandato a chiudere e di coinvolgimento dei lavoratori prima che si raggiungono intese deve diventare il momento centrale del rapporto democratico, che unisce democrazia a responsabilità; è prima di chiudere eventuali accordi che si può rinsaldare un chiaro ed onesto rapporto democratico tra lavoratori e sindacato;
· referendum finali e conclusivi vanno previsti solo tra alternative possibili o su singole soluzioni;
· va previsto un diverso ruolo degli iscritti ed un aumento del loro peso nelle decisioni della organizzazione, a partire dalla costruzione delle piattaforme
Per la Fim la democrazia rappresentativa (quella generata dal rapporto con i propri iscritti) e la democrazia di mandato (quella che si esercita prima della sottoscrizione degli accordi) sono i perni sui quali si possono stabilire le regole. E’ sbagliato contrapporre a questo la democrazia diretta. Oggi ci divide dalla Fiom anche la concezione della titolarità del contratto. Dire che il contratto è dei lavoratori può sembrare popolare, ma è fuorviante. Per la Fim il contratto è un risultato dell’azione sindacale, che in quanto tale media e rappresenta gli interessi collettivi. I contratti si fanno perché ci sono i sindacati. Per noi contrattare e rappresentare sono una cosa sola.
Siamo anche convinti che la Cisl debba tornare a ragionare diversamente circa il rapporto tra legislazione, temi del lavoro e sindacato. Una eventuale legge sulla rappresentanza va a questo punto prevista; essa dovrà però essere il risultato di un percorso che deve vedere il sindacato unitario e le parti sociali raggiungere intese preliminari. Con l’attuale maggioranza parlamentare, una legge sulla rappresentanza va maneggiata con cura, poiché si rischia di indebolire i sindacati più che rafforzare i diritti dei lavoratori.
Una legge dovrà intervenire su:
· regole sulle Rsu (superando quelle attuali per la distribuzione privilegiata di un terzo dei seggi, mantenendo il rapporto tra Rsu e sindacati, potenziando anche i diritti e le agibilità a favore dei delegati);
· certificazione degli iscritti ai sindacati, con l’ampliamento delle modalità della delega sindacale;
· sistema di definizione della rappresentatività (mix di iscritti, voti e diffusione territoriale);
· misurazione della reale rappresentatività delle controparti datoriali e regole vincolanti circa i loro comportamenti, con previsione di sanzioni;
· definizione di una sede per la certificazione delle procedure (iscritti, Rsu, consultazioni), dotata di propri fondi.
Stiamo attraversando una delle fasi più deboli della tensione e della spinta unitaria in tutte le organizzazioni sindacali, ma in ognuno di noi la prospettiva unitaria continua a restare un orizzonte vivo. Noi sappiamo che questo orizzonte sarà non quando Cgil Cisl Uil avranno trovato una comune visione dei temi del lavoro ed una comune strategia contrattuale e politica, ma quando avranno trovato un modo per decidere insieme al di là delle singole sigle, superando veti e prevaricazioni. Oggi più di ieri siamo consapevoli che la democrazia sindacale sarà la prova su cui l’unità sindacale si farà o non si farà. E’ proprio per dare ali a questa consapevolezza che a testa alta rivendichiamo il merito di quanto abbiamo fatto il 3 luglio scorso.