Giuseppe Orizio – segretario nazionale Fiba Cisl
Come ha deliberato all’unanimità l’esecutivo nazionale della Cisl, il Libro bianco sul mercato del lavoro è da considerarsi una base di discussione con le parti sociali…. Questa affermazione, che in nessun modo va interpretata come lasciapassare o accondiscendenza, va letta nella tradizione di autonomia e libertà che sin dalle origini ha contraddistinto la Cisl. Che mi ricordi o che io sappia, non ci è mai capitato di avere interlocutori che sin dalle fasi di avvio del confronto condividessero analisi, percorsi e conclusioni di matrice sindacale.
Sempre abbiamo messo in campo la credibilità e la coerenza del sindacato ed in non pochi casi anche la forza dei milioni di iscritti, spesso coinvolgendo l’intera società. Sempre, abbiamo raggiunto dei risultati, anche prima del 1993 (Eur 1, Eur 2, ecc.), anno in cui, come sindacato, con le imprese ed il Governo abbiamo fatto nostra la politica della concertazione, che grandi ed importanti risultati ha prodotto per l’intero Paese. Tanto più erano complesse le situazioni e difficili gli obiettivi da raggiungere, tanto più l’unità tra i sindacati ha facilitato le soluzioni individuate.
Fermarsi a disquisire sul fatto che si tratti di vera concertazione, di dialogo o di confronto, ci porta poco lontano; come sempre e come è giusto che sia, perché questo ci chiedono gli iscritti, sono i risultati a contare. Certo, i comportamento del Governo (rogatorie, Finanziaria, rientro dei capitali, ecc.), più che in molte occasioni del passato, con altri Governi, non lasciano presumere un confronto facile, ma non per questo dobbiamo rinunciarvi in partenza. Non sarà facile confrontarci, anche nel merito, con chi fa fatica a riconoscere alle parti sociali un ruolo ben definito nel decidere sulle materie di loro vitale competenza.
Lascio al documento dell’esecutivo della Cisl le analisi sui contenuti, mi limito ad una breve riflessione per far comprendere la lontananza culturale tra le posizioni governative contenute nel Libro bianco e quelle della Cisl, del sindacato. Trasuda dall’intero documento la visione di un modello di società finalizzata a conseguire il massimo dell’efficienza, avendo come motore il massimo dei profitti da conseguire nel massimo di libertà. Nelle 89 pagine i lavoratori sono di volta in volta definiti come “dipendenti”, “capitale umano”, “risorse umane”…, ma sempre sono considerati uno strumento per raggiungere il profitto.
Due soli esempi, ma ce ne sono a volontà:
”La responsabilità sociale intesa come investimento in capitale umano, può rappresentare una scelta strategica vincente per l’impresa, nel senso di migliorare il rendimento dei dipendenti, generando maggiori profitti, ed allo stesso tempo destando una crescente attenzione nei consumatori e negli investitori. Del resto in alcune regioni italiane la situazione del mercato del lavoro impone all’operatore economico un comportamento assai attento ai profili sociali, finalizzato ad attrarre e trattenere il capitale umano di migliore qualità..” (I.3.6. pag. 41)
“Le parti sociali hanno un interesse convergente a perseguirlo, in una logica di valorizzazione e fidelizzazione delle risorse umane, per motivarle più convenientemente, esaltandone la lealtà e la produttività..” (II.2. pag. 60)
Non mi pare che questo modo di intendere il rapporto di lavoro collimi molto con la visione del sindacato.
Personalmente, ancora una volta, mi aiuto nella riflessione leggendo alcuni passi della Centesimus Annus sul profitto e sul sindacato.
Profitto
“Scopo dell’impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società. Il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; a esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa…”
Sindacato
non è da intendersi come “semplice strumento di contrattazione ma piuttosto come luogo di espressione della personalità dei lavoratori aiutandoli a partecipare in modo pienamente umano alla vita dell’azienda”.
Il confronto con il Governo (ci saranno anche gli imprenditori?), con queste premesse e con queste divergenti chiavi di lettura della società, si presenta evidentemente non facile, ma non questo va rifiutato. Ancora una volta il sindacato deve accettare la sfida di non sostituirsi alla politica, tutelando il mondo del lavoro con l’originalità, la credibilità ed anche, se necessario, la forza, di cui dispone.